La rotta balcanica è ancora oggetto di dibattito per la gestione dei migranti provenienti da Paesi terzi all’Unione europea. Secondo i recenti dati dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere Frontex, dai primi di gennaio fino a settembre ci sono stati più di 106 mila attraversamenti illegali dai Balcani occidentali verso l’Ue. È una cifra del 170% più alta rispetto a quella dello stesso periodo del 2021 e sette volte più alta del 2019 (15 150 attraversamenti) – anno procedente ai lockdown per contenere la pandemia da Covid-19.
A favorire questo fenomeno è stata la Serbia che è diventata meta preferita di migranti di altre nazionalità come siriani, afgani, turchi, indiani, burundesi, cubani e tunisini che – dopo essere arrivati sul suolo serbo grazie ad accordi bilaterali di liberalizzazione dei visti – provano a entrare negli stati Ue confinanti come Croazia e Ungheria. La ministra dell’Interno tedesco, Nancy Faeser, ha detto che la politica dei visti serba è “basata su Stati che non riconoscono il Kosovo e che il Paese deve adattare la sua pratica dei visti all’UE se vuole diventare un serio candidato all’adesione” all’Unione.
“Non escluderei nulla” su un’eventuale sospensione dei liberi visti per i cittadini Serbi in Ue “ma penso e spero che avremo una buona cooperazione” con la Serbia, aveva dichiarato venerdì 14 ottobre la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, dopo il termine del Consiglio dell’Ue a Lussemburgo.
La Serbia è infatti uno Stato candidato a entrare nell’Unione europea – dal 2007 – ha un accordo di agevolazione per il rilascio dei visti per chi vuole soggiornare per un massimo di 90 giorni in uno o più Stati membri dell’Unione.
Mentre siriani e afgani hanno spesso motivi per chiedere asilo nell’UE, molte delle altre nazionalità “devono essere rimpatriate nel loro paese di origine”, ha affermato Johansson.
Ma per il momento la pratica più semplice da adottare sembra quella del rafforzamento dei confini interni. Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia (tutti e tre paesi che fanno parte dell’area di Schengen che non prevede controllo di documenti transfrontalieri) hanno reintrodotto controlli di confine, mentre la Bulgaria ha introdotto un parziale stato di emergenza sul suo territorio.
Nel frattempo il commissario europeo per l’allargamento, Oliver Varhelyi, ha scritto il 20 ottobre in un tweet, dopo la riunione informale di alcuni ministri dell’Interno Ue a Berlino, che “accoglie con favore il fatto che la Serbia abbia fatto un passo per allinearsi all’elenco di Stati terzi per cui l’Ue richiede il visto”. Ma resta da capire per quali Stati di preciso la Serbia rimuoverà il regime di visa-free.
La situazione sul campo resta però tesa, con recenti e persistenti violenze perpetrate dalla polizia serba verso i migranti.
“Tanti cittadini arrivano al confine tra la Serbia e Bosnia-Erzegovina o tra la Bosnia-Erzegovina e Croazia e vengono massacrati dalle polizie di frontiera”, racconta a Open Migration Silvia Maraone, esperta delle migrazioni nella regione balcanica e coordinatrice di progetti a sostegno di rifugiati e richiedenti asilo per la Ong IPSIA-ACLI. Molti migranti spesso raccontano di ricevere false promesse di rilascio passaporti dopo l’arrivo in Serbia e “la mala gestione delle migrazioni da parte delle autorità dei Paesi Ue ha un impatto disastroso sulle vite umane”, sottolinea Maraone.
Alla fine di agosto, il Consiglio d’Europa ha dichiarato che “il numero dei rimpatri forzati in Serbia è aumentato considerevolmente, con oltre 75 000 casi segnalati solo nel 2022” e che “le accuse di maltrattamenti e uso sproporzionato della forza durante i respingimenti persistono”.
Respinti, molti migranti si ritrovano bloccati in Serbia. A inizio ottobre, secondo la Ong serba Kikaktiv, c’erano circa 28 squat e campi informali nel nord della Serbia vicino ai confini con Ungheria e Croazia. Questa cifra potrebbe aumentare – secondo Kikaktiv – con nuovi arrivi dalla Macedonia del Nord.
Le violenze in Serbia hanno riguardato recentemente anche i siriani bloccati sulla rotta balcanica dopo essere fuggiti dalla guerra. In un report del 20 settembre di Border Violence Monitoring Network viene denunciato l’arresto di tredici uomini, tre donne e due bambini che avevano provato a entrare in Ungheria. Dopo che la polizia ha “picchiato con manganelli e preso a calci” due uomini e ha “ammanettato tutti – compresi i bambini – in modo così stretto da lacerare la pelle dei polsi” li ha respinti verso la città serba di Horgos.
I migranti non vogliono comunque rimanere in Serbia, quindi continuano il loro cammino verso nord. È il caso di P., ex professore universitario e migrante cubano, che ha lasciato l’isola per la Serbia grazie al regime di liberalizzazione dei visti. Dopo aver scoperto che il suo permesso di rimanere nel Paese scadeva dopo 3 mesi ha continuato la rotta balcanica fino ad arrivare a Verona, dove ora lavora come cameriere ininterrottamente per 12 ore al giorno. P. racconta a Open Migration come il viaggio è stato “la peggior esperienza della vita, dove stress, ansia e depressione l’hanno fatta da padrona.” Ora aspetta il diritto di ottenere l’asilo politico in Italia.
In copertina: campo informale di rifugiati a Belgrado (foto: Frode Bjorshol, su licenza CC BY 2.0)