Quest’anno la Giornata Mondiale del Rifugiato ha coinciso con uno dei momenti più controversi nel dibattito politico sui richiedenti asilo e sulla gestione dei flussi migratori, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti. Al punto da caricarsi di un significato ancora più simbolico che va al di là del messaggio di solidarietà che la Giornata continua a veicolare a 67 anni dalla Convenzione di Ginevra, per assumere un valore imperativo di resistenza e di obbligo morale.
Ecco perché la decisione di distribuire nelle sale italiane proprio il 20 giugno il film-documentario di Vanessa Redgrave “Sea Sorrow – Il dolore del mare” sembra uno scudo contro le parole aggressive e cariche di odio e di disprezzo pronunciate in queste ultime settimane dal nuovo Ministro dell’Interno Salvini.
“I governi stanno violando le leggi internazionali”, accusa con fervore Vanessa Redgrave nel suo italiano pressoché perfetto, quando la raggiungo al telefono in Inghilterra. “Il governo italiano, sia prima che anche adesso, quello del mio paese, e l’Unione Europea in generale. Stanno tutti violando le leggi. Tutti i politici, che se ne fregano e sono ignoranti, usano la parola ‘delicato’, ma non c’è niente di delicato nel violare i diritti dell’uomo. Delicate semmai sono le reputazioni dei politici in Europa, in Italia e in tutti i governi. Ho letto quello che ha detto Salvini. Le sue parole non sono delicate. Per questo è importante il messaggio di cui mi faccio portatrice. È il tema centrale del mio film”.
“Sea Sorrow” segna il debutto alla regia di Vanessa Redgrave che, all’età di 81 anni e con una lunghissima carriera da attrice, ha sentito l’urgenza di far sentire la propria voce, contribuendo ulteriormente all’attività umanitaria che la vede impegnata in prima linea da molto tempo. “Abbiamo fatto tutto con i nostri soldi. Che c’è di strano?” puntualizza, specificando che il produttore è Carlo Nero, suo figlio.
Arte e ricordi della Seconda guerra mondiale
Durante la Seconda guerra mondiale, la Redgrave era solo una bambina, ma ricorda lucidamente di essere stata sfollata con la sua famiglia da Londra alla vigilia dei bombardamenti. Da questa esperienza, e dalla speranza che le infuse l’ascolto alla radio della lettura degli articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, è maturato un impegno umanitario che un po’ alla volta l’ha portata a diventare ambasciatrice dell’associazione inglese Safe Passage, oggi presente anche in Italia, specializzata nel riunire i bambini che viaggiano da soli con le loro famiglie in Europa.
Quando le chiedo che cosa la vicenda dell’Aquarius le abbia fatto venire in mente, l’attrice inglese non ha esitazioni: “mi fa pensare ai profughi ebrei in una barca. Al fatto che nessuno volesse dare loro il permesso di raggiungere un porto. E agli orrori vissuti dagli ebrei negli anni Trenta”. E aggiunge: “Il passato è contenuto nel nostro vissuto quotidiano. Queste leggi per i diritti umani erano, sono e rimangono una vittoria contro il fascismo. Uomini e donne hanno lavorato per la creazione di queste leggi dopo la sconfitta del fascismo, di Mussolini e di altri dittatori al termine della Seconda guerra mondiale. Rappresentano la nostra eredità”.
Uno degli aspetti più interessanti del documentario è l’importanza che assumono la Storia, l’arte e la cultura in generale nel dialogo col presente, attraverso l’utilizzo di inserti di repertorio e rievocazioni dell’opera di Shakespeare (“La tempesta”) e Virgilio. Queste, in particolare, sono state affidate ad attori come Emma Thompson e Ralph Fiennes che con le loro performance permettono agli insegnamenti del passato di diventare uno strumento di comprensione e un monito per evitare che gli errori di un tempo possano ripetersi.
“Arte e cultura hanno un ruolo essenziale”, ci dice Carlotta Sami, portavoce di Unhcr. “E non dimentichiamo gli studi accademici e universitari. In questi ultimi anni si è venuta a creare una conoscenza molto approfondita sull’argomento che però gode ancora di pochissimo spazio. I politici, per esempio, non ascoltano gli esperti. Arte e cultura servono invece a colmare quell’allontanamento fra le persone. Se oggi esiste questa ondata di populismo e di strumentalizzazione delle paure è anche perché le persone si sono allontanate dal mondo della cultura e dell’arte, senza le quali la comprensione e l’accettazione dell’altro diventano complicate. Senza contare l’aiuto che possono dare a noi che lavoriamo sul campo ad assumere uno sguardo diverso, una chiave di lettura e un modo di parlare dei rifugiati e dei migranti differente, che tocca la sfera emotiva. È come se ci fossero due pezzi di strada da fare insieme per riuscire a trasmettere l’idea che i diritti civili degli altri sono i nostri. Al di là di tutta la propaganda, posso dire per esperienza diretta che nel momento in cui le persone si incontrano per davvero e parlano, tantissimi preconcetti e atteggiamenti difensivi, perfino arroganti, crollano”.
Imparare a convivere attraverso l’esperienza
Carlotta Sami porta un esempio significativo di cui è stata testimone qualche giorno prima mentre si trovava in un paesino del Friuli al confine con la Slovenia, la cui fama di essere una terra poco accogliente nei confronti degli stranieri è nota. “Ebbene, ho incontrato degli amministratori locali che, in questo paese piccolissimo, dove è vero che ci sono pochi rifugiati ma si tratta comunque di persone culturalmente molto diverse dagli abitanti che ci vivono, hanno fatto delle iniziative come mettere due sedie in una piazza e semplicemente far dialogare un rifugiato e un cittadino. L’assessore alla cultura di questo paesino mi ha detto che è stata un’esperienza incredibile. Si sono fermati in tantissimi, ha permesso alle persone di conoscersi e a me, personalmente, ha dato la carica”.
Qualcuno potrebbe obiettare che di fronte ai grandi numeri operare in questa direzione diventa più complicato. “Però”, continua Sami, “proprio perché in realtà si può lavorare capillarmente, ci si può provare. Certo è che se ci si rifiuta di pensare in termini di inclusione, dialogo e integrazione, si fa solo del male. Non solo perché non si trova una soluzione, ma si fa del male anche agli italiani, perché di fatto non si dà una chiave per capire e mettersi in gioco direttamente. Li si sta solo escludendo dal partecipare direttamente a un cambiamento epocale”.
Ascoltare è anche l’atteggiamento adottato dalla Redgrave nel suo documentario, in particolare quando raccoglie le drammatiche testimonianze di alcuni profughi ospitati all’interno di una struttura gestita dalla Chiesa nel Sud Italia. “Sono tre giovani”, spiega la regista. “Uno è arrivato dall’Afghanistan due anni fa. Gli altri due sono originari dell’Africa, e più precisamente della Guinea. Hanno sofferto l’imprigionamento in Libia, con cui l’Italia ha fatto un accordo nefasto”.
Nefasto rischia di essere anche l’effetto che le azioni per rendere difficoltose e incerte le procedure di sbarco possono avere a lungo andare sui salvataggi in mare. Lo si è visto in questi giorni con Aquarius, prima di arrivare nel porto di Valencia, poi con la nave militare americana Trenton, con la nave della Guardia Costiera italiana Diciotti e infine con la Lifeline. “Tralasciamo il caso delle Ong che operano per motivi umanitari e continueranno a farlo”, spiega Carlotta Sami. “Emblematico è invece il caso della nave militare americana Trenton a cui è stato vietato l’approdo nel porto di Augusta o, come è successo in passato, delle tantissime navi commerciali. Se non rendi sicuro il meccanismo di sbarco, di fatto scoraggi chiunque dal fare salvataggi. Ci rincuora il fatto, se non altro, che all’indomani dell’incidente dell’Aquarius la rete internazionale degli armatori commerciali ha rilasciato un comunicato stampa dicendo che salvare vite umane è un imperativo assoluto e che loro continueranno a ottemperare a quest’obbligo quando sarà necessario”.
Certo è, ci tiene a precisare Sami, che se si pensa di scoraggiare le partenze penalizzando chi salva o creando difficoltà sui luoghi di sbarco, si otterranno solo moltissimi morti: “c’è ancora chi pensa che siano le persone che stanno sui gommoni a decidere come e quando partire. Non è così. È una mistificazione. Come dimostrano le tantissime prove in nostro possesso, si tratta di persone che sono finite all’interno di reti di trafficanti molto prima della Libia e quindi inserite in una sorta di meccanismo diabolico che da diversi paesi dell’Est, Ovest e Centro Africa spingono le persone verso la Libia. A quel punto vengono sottoposte ai lavori forzati, alla schiavitù e ad abusi di ogni tipo. E quando questo livello di sfruttamento e di ricatto, che punta a estorcere denaro anche alle famiglie di queste persone, giunge a esaurimento perché la persona sta sostanzialmente per morire, è allora che la mettono sui barconi. Quindi non è che un individuo decida di partire, sono i trafficanti a disfarsi delle persone buttandole sui barconi. È un meccanismo rodato. Non un passaggio. È l’ultima fase di una rete ben organizzata e transnazionale. Non c’è differenza fra il trafficante libico, nigeriano o ruandese”.
La partita che si gioca su Dublino e Global Compact
Al di là dell’esito del tentativo di riformare il Regolamento di Dublino, è interessante vedere se gli sforzi per istituire e rendere operativi il prima possibile il Global Compact for Refugees e il Global Compact for Migrants riuscirà a creare un’alternativa. “È quello che ci auguriamo”, sospira Carlotta Sami. “Ci stiamo lavorando con convinzione, e contro qualsiasi reticenza o perplessità. Sarebbe importante che il nuovo governo italiano fosse coinvolto e capisse l’importanza di questa dimensione. È la prima volta che si tenta di coinvolgere gli stati in modo globale su un tema che è globale. È un processo che ha lo scopo di togliere il peso – se questo dev’essere considerato un peso – dai singoli paesi per farlo diventare un lavoro globale. Speriamo che il governo italiano capisca l’utilità di questo processo che si concluderà a settembre 2018”.
Nel frattempo Vanessa Redgrave continua, inarrestabile, nella sua missione umanitaria. “Due settimane fa sono stata a Bruxelles. Ho espresso ufficialmente la mia preoccupazione e l’urgenza di coordinare le forze europee contro il traffico del sesso. Fra qualche giorno, invece, andrò in Sicilia, di mia iniziativa, per salutare un grande uomo e i suoi colleghi, il sindaco Leoluca Orlando”. Come se non bastasse, in questi giorni è impegnata a promuovere in Italia “Sea Sorrow – Il dolore del mare”, a cominciare da Roma dove ha partecipato, insieme a Carlotta Sami e ad alcuni rappresentati dei rifugiati e delle istituzioni, alla celebrazione della Giornata del Rifugiato presso la sede dell’associazione della stampa estera. E non ha intenzione di lasciare il suo progetto di costituire un gruppo di artisti di cinema e di teatro, fra i quali anche l’attore Benedict Cumberbatch e l’ambasciatore dell’Unhcr Alessandro Gassman, con cui creare un fronte comune a livello europeo.