Gli Stati Uniti chiudono la porta a rifugiati e cittadini di (alcuni) stati musulmani, con effetto immediato. Questo, in sintesi, il contenuto dell’ennesimo ordine esecutivo emanato da Trump nel tardo pomeriggio di venerdì 27 gennaio, il quattordicesimo di una serie di atti con cui ha inaugurato la sua presidenza.
Una decisione che si pone in evidente violazione non solo del più fondamentale diritto internazionale ma della stessa costituzione statunitense, e che ha provocato una forte reazione a livello nazionale e internazionale.
In tantissimi hanno protestato fuori dagli aeroporti, soprattutto di quello di New York, dove centinaia di persone venivano già fermate e trattenute in esecuzione della nuova politica governativa. E in tantissimi hanno poi festeggiato la notizia del successo del ricorso presentato dagli avvocati dell’American Civil Liberties Union (ACLU), che hanno ottenuto da un giudice federale un’ordinanza che blocca parzialmente il decreto presidenziale.
Una importante vittoria, che però è solo il primo passo di una lunga e impegnativa battaglia – legale e culturale.
Facciamo il punto sugli eventi di questi giorni e cosa ci possiamo aspettare dal futuro.
Cosa prevede esattamente il blocco di Trump
Misure per proteggere gli Stati Uniti dall’ingresso di terroristi stranieri sul territorio nazionale, titola il contestato decreto.
In pratica?
Congelati per tre mesi gli arrivi da sette paesi a maggioranza islamica – Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen – e per quattro mesi il programma di relocation dei rifugiati (che poi ripartirà a quote annue dimezzate, passando da 110.000 posti a 50.000). Bloccato totalmente e a tempo indeterminato l’ingresso dei profughi in fuga dalla Siria, definito come “dannoso” per gli interessi statunitensi.
Nel divieto di ingresso per i cittadini dei paesi interessati sono inclusi anche coloro in possesso di green card – e cioè con legittima residenza sul suolo statunitense – e i titolari di doppia cittadinanza (statunitensi esclusi, ovviamente). Restano possibili eccezioni sulla base di una valutazione caso per caso.
In aggiunta, una ulteriore clausola sulla base della confessione religiosa: nella severa selezione dei rifugiati provenienti da stati islamici, priorità ai cristiani e altre minoranze religiose rispetto ai musulmani.
A margine: la sicurezza nazionale non c’entra
Non è discriminazione, dicono, è una questione di sicurezza nazionale.
Ma, pur mettendo da parte la questione (imprescindibile) dell’illegittimità dei provvedimenti discriminatori sulla base di nazionalità e religione, è evidente che il veto “anti-musulmani” di Trump ha ben poco a che fare con la conclamata esigenza di proteggere gli americani dal terrorismo – e molto con una discriminazione che è tanto arbitraria e illegale quanto priva di fondamento. Come ha detto Anthony Romero, direttore esecutivo dell’ACLU, “si tratta di un veto anti-Islam mascherato dietro la non credibile scusa di esigenze di sicurezza nazionale”.
Il veto, come detto, include sette paesi a maggioranza musulmana. Non si tratta però dei paesi da cui proviene la maggior parte dell’immigrazione islamica negli Stati Uniti.
Nessuno degli attacchi terroristici avvenuti negli ultimi anni su suolo americano è stato commesso da cittadini dei sette stati sulla lista nera di Trump o tantomeno da rifugiati siriani.
Stando ai dati a disposizione, la maggioranza delle persone (anzi, tutte) che hanno perpetrato attacchi terroristici sul suolo americano sono erano nati o residenti negli Stati Uniti. Inoltre il Cato Institute in un recente studio scientifico ha dimostrato la mancanza di correlazione tra immigrazione e terrorismo. Ad oggi, la probabilità che un cittadino statunitense perda la vita a causa di un atto di terrorismo commesso da un rifugiato è estremamente remota (1 su 3.6 miliardi).
Quindi, come è facile intuire la nuova, demagogica politica di Trump sull’immigrazione non avrà nessun effetto in termine di prevenzione del terrorismo. Anzi, perpetuando ingiustizia e discriminazioni fornirà senz’altro nuova forza alla voce di quanti incitano alla violenza contro gli Stati Uniti e non solo.
Le prime conseguenze
Subito dopo l’entrata in vigore del decreto, i rifugiati “approvati”, dopo gli anni necessari per concludere il severissimo processo di “vetting”, si sono trovati bloccati e abbandonati a se stessi in paesi terzi; mentre i cittadini degli stati sulla black list a cui è stato impedito di imbarcarsi verso gli Stati Uniti o che sono stati fermati all’arrivo negli aeroporti americani. In poche ore, erano già centinaia le persone bloccate dalle autorità aeroportuali – tra questi numerosi titolari di green card, studenti universitari di Stanford, Yale e MIT, accademici, collaboratori del governo americano (soprattutto tra gli iracheni).
Stando alle cifre ufficiali rilasciate dalla sicurezza nazionale, sino a sabato 109 persone in transito sono state bloccate negli aeroporti statunitensi ed a 173 è stato impedito di imbarcarsi su voli per gli Stati Uniti. Secondo quanto riportato da The Intercept, sarebbero circa 500.000 le persone colpite dal decreto di Trump nell’immediato. Ed è tutto da vedere per quanto concerne gli effetti nel lungo periodo.
Una vittoria e una battaglia
Al decreto di Trump ha fatto seguito l’indignazione della comunità internazionale e della società civile, e l’apertura di una vera e propria battaglia legale: mentre numerosi avvocati accorrevano negli aeroporti per garantire assistenza legale pro bono ai trattenuti, altri portavano in tribunale l’atto presidenziale.
Ottenendo, con la decisione del giudice newyorkese Ann Donnelly (cui hanno poi fatto seguito atti analoghi di giudici in Massachusetts, Virginia e Washington), una importante vittoria: il blocco dei rimpatri forzati per le persone già arrivate negli Stati Uniti con regolare titolo di viaggio. Sul resto – costituzionalità del decreto inclusa -, però, è ancora tutto da vedere.
Come ricorda Anthony Romero – che, con l’ACLU ed il suo team di avvocati ha svolto e svolgerà un fondamentale ruolo nella vicenda – ora bisogna dunque prepararsi per continuare a combattere. Perché quella contro le politiche (illegali, è bene ricordarlo) di Trump su rifugiati e immigrazione sarà una battaglia lunga e complessa.
Foto di copertina: Lorie Shaull (CC BY-SA 2.0).