Secondo le stime delle Nazioni Unite, nei primi cento giorni di guerra in Ucraina quasi due bambini su tre hanno dovuto abbandonare la località di origine: di questi, tre milioni non hanno lasciato il paese ma si sono spostati nelle città dell’Ovest, lontano dai combattimenti, mentre altri 2,2 milioni hanno attraversato il confine.
Dai rapporti dell’Ohchr, Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights, ogni giorno almeno due minori muoiono sotto i colpi dell’artiglieria o nei bombardamenti aerei e altri quattro restano feriti, soprattutto nella parte meridionale e orientale del paese. Al primo giugno scorso, i bambini uccisi dalla guerra erano già 243, e quelli feriti 446, come riportato dal Commissario per i diritti dei bambini Daria Herasymchuk.
I numeri potrebbero essere anche più alti, a causa dell’impossibilità di verificare con esattezza le informazioni provenienti dalle zone occupate, dove molte testimonianze di civili in fuga parlano anche di deportazioni forzate di minori dalle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk in Russia, con cambio di documenti e successive adozioni. Sarebbero oltre 230 mila i bambini dei quali si sono perse le tracce.
Se tutta l’infanzia del paese è stata resa vulnerabile dal conflitto, i bambini senza famiglia o con gravi problemi in casa, tanto da esserne allontanati, sono quelli che oltre ai traumi personali si trovano oggi ad affrontare anche quelli legati alla guerra.
Prima del 24 febbraio, in Ucraina esistevano 702 istituti tra orfanotrofi, strutture sanitarie pediatriche di riabilitazione, case famiglia; alcuni statali, altri privati e gestiti da associazioni e organizzazioni non governative locali e straniere. Di questi, 264 sono stati evacuati per ragioni di sicurezza, per un totale di 6.465 bambini e adolescenti residenti, riallocati in altre zone del paese (2.375) o all’estero (4.090).
A Brovary, pochi chilometri da Kyiv e ancora meno dalle zone occupate dalle truppe russe quando all’inizio puntavano alla capitale, c’è l’unica sede ucraina di Sos Children’s Village, un’organizzazione per l’accoglienza dei minori in case-famiglia, che fa parte della rete internazionale nata in Austria nel 1949, e oggi attiva in 136 paesi del mondo.
“Per fortuna abbiamo capito in tempo che poteva succedere qualcosa di grave – racconta Olena Kripak, direttrice della sede di Brovary – e così il 16 febbraio ci siamo mossi per portare nella parte occidentale del paese la maggior parte dei bambini e delle coppie affidatarie che vivono qui. Organizzare un’evacuazione per così tante persone, dopo che la guerra è cominciata, sarebbe stato impossibile. Inoltre è stato un bene per i più piccoli non dover assistere ai bombardamenti, e vivere costantemente nella paura. Qui siamo rimasti in pochi operatori, e ogni giorno la prima attività del mattino era quella di chiamare tutti per verificare che fossero vivi e che stessero bene. Abbiamo persino pensato di scavare un rifugio qui ma mi rendevo conto che non sarebbe servito.”
Olena è stata fra quelli che hanno accompagnato i bambini e le coppie affidatarie fino alla stazione di Kyiv, assicurandosi che prendessero il treno e che all’arrivo trovassero altri colleghi ad accoglierli. Una volta messi in salvo i suoi ospiti, ha continuato a lavorare come volontaria per i concittadini rimasti a Brovary.
“La nostra realtà è unica nel suo genere qui in Ucraina – spiega Olena – ed è molto diversa dagli istituti tradizionali, dove per ogni educatore ci sono trenta, quaranta bambini. Qui ogni coppia può richiedere l’affidamento di otto, dieci minori al massimo, che crescono in casa con loro, con il supporto di una rete di psicologi, logopedisti, educatori.”
Il villaggio si trova in una grande pineta e gli appartamenti sono tutti indipendenti, con spazi comuni, di studio, di gioco e di terapia, collocati in altri edifici. Tutti gli abitanti si trovano oggi in Polonia, come la maggior parte dei minori che con il conflitto hanno lasciato l’Ucraina.
I bambini residenti nelle diverse strutture, che invece sono stati riallocati in altre zone dell’Ucraina, si trovano oggi nella regione di Lviv (37%), Zakarpattia (18%), Ivano-Frankivsk (11%), Chernivtsi (7%), Dnipropetrovsk (3%), Khmelnytsky (3%), Mykolaiv (2%).
All’estero, dopo la Polonia che ha accolto il 47% dei minori, il 14% è ospitato in Germania, il 6% in Austria, il 5% in Italia, il 4% in Turchia, il 3% in Repubblica Ceca, Spagna e Paesi Bassi, il 2% in Svizzera e Romania.
Tra le organizzazioni più attive nell’organizzazione dei trasferimenti dei bambini c’è la fondazione polacca Happy Kids, con sede a Łódź, che sin dai primi giorni ha spostato una parte dello staff al confine per accogliere i pullman in arrivo con i minori e i loro accompagnatori.
“Abbiamo cominciato a lavorare in collaborazione con il governo ucraino e con le istituzioni polacche da subito – spiega Przemyslaw Macholak, coordinatore del progetto per i bambini ucraini della Fondazione Happy Kids – grazie anche al fatto di essere una piccola organizzazione indipendente e quindi in grado di fornire una rapida risposta umanitaria. Abbiamo chiesto come potevamo essere utili e siamo riusciti a ricollocare oltre 1.500 tra minori e operatori degli istituti di provenienza in diverse città e strutture qui in Polonia.”
Nella sede di Łódź oggi vivono i bambini evacuati dall’istituto di Kovel: una parte di loro ha problemi di disabilità, altri vivono disagi generazionali e traumi che si portano dietro da quando vivevano con le famiglie d’origine.
“I gruppi che si trovano qui non hanno vissuto molto la guerra, fortunatamente – racconta Agnieszka Zych-Grzelak, coordinatrice di Happy Kids a Łódź – perché sono partiti i primi giorni, ma comunque ricordano il rumore delle sirene, le corse negli scantinati per mettersi in salvo, il freddo che sentivano lì sotto, il buio, i topi. Non hanno capito cosa stesse succedendo, ma si sono sentiti in pericolo e lo ricordano bene. Altri gruppi che oggi si trovano in città diverse provengono da Mariupol, da Kharkiv, e hanno subito traumi più importanti perché hanno visto la loro casa crollare sotto i bombardamenti, hanno visto morire delle persone, e quindi con loro il percorso da fare è diverso. Per tutti però è una grande sfida, perché da un giorno all’altro si sono trovati in un paese straniero, con una nuova lingua da imparare, scuole diverse. Per fortuna che alcuni educatori che erano con loro li hanno accompagnati.”
Una di loro è Halyna Yovik, direttrice dell’istituto di riabilitazione psico sociale di Kovel, che ha affrontato il viaggio in treno e bus con i “suoi” bambini per assicurarsi che fossero in salvo.
“Oggi siamo al sicuro – racconta – ma siamo scappati perché i bambini erano in pericolo. Qui non ci fanno mancare nulla, ci sentiamo accolti, ma speriamo comunque di poter tornare presto a casa, perché siamo sempre in una situazione provvisoria.”
Nel frattempo, il 10 giugno scorso, è stata approvata una risoluzione che modifica le regole per i viaggi dei minori ucraini all’estero, che oggi con la legge marziale possono attraversare il confine solo con un genitore, un fratello o sorella maggiorenne, un nonno, o un tutore legale. E in questi casi non è richiesto il consenso notarile di altri familiari per l’espatrio. Nei casi in cui il bambino sia accompagnato da un adulto che non risulti essere un parente fra questi, dovrà esibire il consenso scritto del genitore autenticato dall’agenzia di tutela dei minori. I documenti per i gruppi di bambini trasferiti all’estero vengono verificati tramite i Servizi Sociali nazionali, e in nessun caso aprono al momento possibilità di adozione, dato che le pratiche sono state sospese a causa del conflitto.
Di contro, quello che è stato semplificato è la burocrazia relativa al collocamento temporaneo presso i parenti, e a confermarlo sono ancora i dati dei Servizi Sociali che parlano di oltre 74 mila bambini residenti in istituto, che con la guerra sono tornati a casa.
Contrariamente a quanto si possa pensare, la maggior parte dei minori che si trovano in una struttura non sono orfani, ma sono stati allontanati dalla famiglia d’origine per problemi di varia natura, dalle dipendenze da alcol e stupefacenti dei genitori, a seguito di maltrattamenti o incuria, o sono stati affidati a terzi dalle stesse famiglie per eccesso di povertà, prima causa di abbandono.
In copertina: foto del Sos Children’s Village di Brovary. Foto di Ilaria Romano.