“I soldati russi sono venuti a scuola e hanno portato via cinque di noi, il più piccolo aveva cinque anni e il più grande ero io”. Artem, di Kharkiv, oggi 19 enne ma 16 enne al momento dei fatti, nel 2022, ricorda di essere stato prelevato così dai militari e portato in un orfanotrofio. “Ci sono rimasto sei mesi – ricorda – ci hanno diviso in diverse classi, e dal giorno successivo all’arrivo ci hanno fatto partecipare alle lezioni di russo; ci davano da mangiare sempre le stesse cose, e potevamo stare all’aria aperta solo dieci minuti al giorno, e sempre sotto sorveglianza.”
Artem è stato liberato e riportato a casa in una delle operazioni di recupero organizzate da Bring Kids Back, un programma istituito dalla Presidenza ucraina per restituire alle famiglie i bambini e gli adolescenti prelevati forzosamente dai russi nei territori occupati e trasferiti in orfanotrofi o presso altre famiglie.
Al suo rientro ha raccontato che lui e gli altri ragazzi chiusi in questo istituto erano obbligati a indossare la divisa militare russa quando ricevevano le visite di alti ranghi dell’esercito, non potevano parlare ucraino, e venivano costantemente minacciati di essere dati in affidamento a “nuovi” genitori. “Mi hanno detto che non avrei mai più rivisto la mia famiglia – racconta – e io ero spaventato perché non sapevo nemmeno se i miei stessero bene, fossero in salvo.”
La via d’uscita si presenta attraverso il telefono di un suo compagno di classe, che gli consente di chiamare la madre. Pochi giorni dopo, in orfanotrofio, gli dicono che ci sono delle visite per lui e può finalmente riabbracciare la sua famiglia e tornare a casa.
Il processo di recupero di questi minori è estremamente complicato – spiega Daria Herasymchuck, funzionaria incaricata dalla Presidenza della Repubblica Ucraina per i diritti dei minori e il loro reinserimento – anche perché i parenti che riescono a entrare nei territori occupati per cercare di riavere i propri figli sono sottoposti a interrogatori estenuanti di otto, dieci ore, gli vengono chiesti una serie di documenti che spesso non possono produrre, e non di rado sono costretti a consegnare il passaporto. A quel punto, i russi cercano di convincerli a restare lì, con la minaccia che altrimenti non vedranno più i loro bambini. Abbiamo avuto un caso in cui una nonna è riuscita a viaggiare fino ai territori occupati ma non ha retto all’interrogatorio, ha pregato i soldati di fermarsi e per questo non ha potuto riportare a casa il nipote.”
Attualmente sono almeno 20 mila i minori sottratti alle famiglie e riaffidati ad orfanotrofi o a privati cittadini nei territori della Federazione Russa, portati via con la forza, spesso prelevati direttamente da scuola, con il pretesto di una “vacanza” di pochi giorni. Di quelli che si trovano in strutture statali è più facile riuscire a reperire qualche informazione, mentre per coloro che finiscono in nuove case diventa praticamente impossibile risalire alla vera identità, dato che gli vengono forniti documenti falsi che recidono completamente la possibilità di riconnetterli con la famiglia d’origine.
“Oggi le nostre missioni consentono la liberazione e il rientro in Ucraina dei minori solo in piccoli gruppi, ma si organizzano costantemente. Si tratta di viaggi complessi perché la Russia pone una serie di ostacoli alla restituzione dei bambini sottratti arbitrariamente alle proprie famiglie, e non rilascia alcun tipo di informazione alle organizzazioni internazionali né tantomeno a quelle ucraine. Nei casi in cui abbiamo delle tracce cominciamo le ricerche. Ma il numero ufficiale di 20 mila minori pensiamo sia inferiore a quello reale che nessuno conosce. Ciò che sappiamo con certezza è che nei territori ucraini occupati vivono al momento un milione e mezzo di minori, e che ogni giorno rischiano di essere vittime di deportazioni.”
Olexander ha 12 anni e nel 2022 ha vissuto per poco più di un mese in un orfanotrofio russo. Originario di Mariupol e ferito a un occhio durante un bombardamento, ricorda di essere stato portato prima in una sorta di ospedale da campo allestito in città, trasferito a Novoazovsk e poi a Dontestk. “Non avevamo acqua, gas ed elettricità – ricorda – e così per cucinare andavamo fuori e accendevamo il fuoco; quel giorno hanno cominciato a bombardare e io ad un certo punto ho sentito un occhio che bruciava. Mia madre mi ha portato via e ha cercato aiuto nello stabilimento Illich che era stato riconvertito in un centro di primo soccorso. Mi hanno curato ma quando sono arrivati i soldati russi siamo stati fatti tutti prigionieri e trasportati in una specie di capannone.”
Il bambino viene separato dalla madre, che ancora oggi risulta dispersa. Nella struttura di Donetsk riesce a mettersi in contatto con la nonna: dopo un mese, richiesti tutti i permessi per entrare nei territori occupati, la donna lo ha raggiunto e riportato in Ucraina.
Il caso dei bambini deportati illegalmente e trattenuti lontano dalle famiglie d’origine è stato valutato anche dalla Corte penale internazionale che, il 17 marzo del 2023, ha incriminato per crimini di guerra Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova, Commissaria per i diritti dei bambini presso l’Ufficio del Presidente della Federazione Russa, disponendone l’arresto.
Dato che la Russia non ha mai ratificato lo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale, e quindi non ne riconosce la giurisdizione, la decisione resta simbolica, seppure di grande impatto sul piano del diritto internazionale umanitario, e non ha avuto alcun effetto reale su una trattativa per il ricongiungimento dei bambini con le loro famiglie, né per uno scambio di informazioni che faciliti le ricerche dei minori attualmente dispersi e presumibilmente in mano ai russi.
Proprio in questi giorni, alla vigilia dell’incontro di Istanbul e in attesa di capire se la Russia siederà al tavolo, il presidente Ucraino Zelensky è tornato a fare cenno alla liberazione dei minori deportati come condizione imprescindibile per aprire qualsiasi trattativa per un cessate il fuoco e un eventuale accordo di pace.
“Ci troviamo di fronte a un problema molto serio e ad una sfida enorme – continua Herasymchuck – che è il ritorno a casa di tutti i bambini rapiti. Purtroppo si tratta di un crimine di guerra compiuto su larga scala, per il quale c’è bisogno di una risposta altrettanto ampia. Il nostro stesso progetto, voluto proprio dalla Presidenza, è molto articolato, perché parte dalla ricerca di informazioni che consentano una missione di salvataggio e arriva fino alla reintegrazione di ciascun minore al momento del rientro.”
Come riferiscono i bambini recuperati e riportati a casa, all’interno degli orfanotrofi russi spesso presentati come campi ricreativi, si svolge un’intensa attività di rieducazione culturale che ha lo scopo di inculcare nuovi valori identitari. “I russi agiscono per cancellare l’identità di questi bambini – prosegue Daria Herasymchuck – affinché non ci siano future generazioni di ucraini. Violazioni di questo tipo riconducono a una politica genocidaria.”
Sui 20 mila casi accertati di deportazione di minori, i bambini recuperati sinora sono stati 1.300, e ogni singolo salvataggio è stato possibile grazie alla mediazione di diversi paesi, e ad una rete di organizzazioni, pubbliche e private, che lavora a fianco delle famiglie.
Il tema dei rientri degli ucraini detenuti o trattenuti in Russia o nei territori occupati è stato anche al centro della Conferenza di Montreal dell’ottobre scorso, dove sono state ascoltate diverse testimonianze di civili, anche minori, che hanno subito una deportazione forzata e hanno trascorso un periodo di detenzione o di permanenza in un orfanotrofio se minorenni.
“Al momento riusciamo a recuperare pochissimi minori al mese, è un processo molto lento, mentre i russi continuano a commettere altri crimini – dice ancora Herasymchuck – dobbiamo salvarli il prima possibile prima che perdano la loro identità. Non abbiamo ancora un meccanismo rodato che funzioni per tutti i casi, ma abbiamo creato una coalizione internazionale guidata dall’Ucraina in collaborazione con il Canada che oggi comprende 41 paesi, con l’intento non solo di salvare i bambini ucraini, ma di contribuire alla creazione di un nuovo sistema globale per la protezione e la sicurezza dei minori nel mondo.”
Nel mese di aprile sono stati riportati in Ucraina 38 bambini, a marzo erano stati 18. Nel frattempo è stata lanciata una nuova campagna nazionale basata sulla creazione di un database con i dati genetici dei parenti dei bambini scomparsi. Le famiglie che hanno un figlio disperso nei territori occupati sono invitate a fornire un campione di Dna per facilitare le identificazioni, e tutti gli ucraini che potrebbero essere stati testimoni di un rapimento o averne avuto notizia sono incoraggiati a segnalare questi casi ai centri specializzati per le persone scomparse. In attesa dell’unico strumento che potrebbe davvero accelerare questo processo, ossia la fine del conflitto.