Poco più di un anno fa, il primo dicembre 2019, si insediava la nuova Commissione UE. Da allora, per quanto riguarda l’immigrazione, molto è successo. Poco di positivo. Dagli scontri al confine greco-turco al proseguire delle violenze lungo la rotta balcanica. Dall’intensificarsi delle morti in mare, nel Mediterraneo centrale come nell’Atlantico, all’incendio di Moria fino alle inchieste sui respingimenti delle autorità greche e le complicità di Frontex. Dal punto di vista delle politiche, però, due sono state le iniziative che hanno segnato il primo anno al potere di Ursula Von der Leyen: il Patto sulla migrazione e l’asilo, dello scorso settembre, e il più recente Piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione.
Un piano (non vincolante) per l’integrazione
Il Piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione 2021-2017 è stato presentato pochi giorni fa, dal vicepresidente Schinas e dalla commissaria Johansson, i due membri dell’esecutivo comunitario incaricati di seguire l’intero dossier migratorio. Il piano fornisce agli stati membri delle linee guida in materia di formazione, lavoro, sanità, housing e, spiega un comunicato, “sarà attuato mobilitando finanziamenti UE e creando partenariati”. Il documento ha aspetti positivi, come l’inclusione delle persone con background migratorio (assente nel piano precedente) e un maggior coinvolgimento delle comunità locali, ma ha anche limiti evidenti.
“Manca la certezza che le voci di rifugiati e migranti siano ascoltate”, spiega la direttrice di New Women Connectors Anila Noor. “Presentando il piano, Johansson ha detto che l’integrazione è un tango che si balla in due. Apprezziamo il cambio di narrazione, ma c’è ancora molto da fare”, aggiunge Noor, che è lei stessa una rifugiata ed è appena entrata a parte di un gruppo di esperti della Commissione. L’altro grande limite è la natura non vincolante del piano. La maggior parte delle aree di cui si occupa sono di competenza dei governi nazionali, il che significa che, per gli stati membri, non vi sarà alcun obbligo legale di seguire quanto indicato da Bruxelles.
Ciò nonostante, secondo Schinas, il piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione “contribuirà a facilitare l’adozione del patto [sulla migrazione e l’asilo]”. Nella visione della Commissione, infatti, i provvedimenti sono legati, quasi fossero due facce della stessa medaglia. In realtà, hanno nature e pesi ben diversi.
Dall’armonizzazione alla differenziazione
Il Patto sulla migrazione e l’asilo è un’ampia proposta: contiene al suo interno idee vecchie e nuove, ma soprattutto numerosi documenti (bozze di direttive, regolamenti e raccomandazioni), che hanno valenze e iter di approvazione diversi. Prima del Coronavirus, il provvedimento era molto atteso, ma la sua presentazione, anche a causa della pandemia, è stata più volte rimandata, fino al settembre scorso, due settimane dopo la distruzione del centro di Moria. Come ben sintetizzato da ISPI, i punti centrali del patto sono “il rafforzamento dei controlli alle frontiere, il miglioramento dei programmi di rimpatrio, gli accordi con i paesi di partenza e di transito e un ‘meccanismo di rimpatri sponsorizzati’ che sostituisce il criterio delle ripartizioni obbligatorie”.
Soprattutto in Italia, il dibattito si è concentrato sulla reale capacità del patto di superare il sistema Dublino. Secondo la direttrice del Migration Policy Institute Europe Hanne Beirens, invece, il punto centrale è un altro: la cosiddetta solidarietà flessibile o, con le sue parole, “il passaggio dall’armonizzazione alla differenziazione”. La proposta offre ai paesi che si son sempre opposti all’accoglienza la possibilità di contribuire in altri modi, a cominciare dai rimpatri. Per Beirens, “riconoscendo le diverse realtà ideologiche e politiche, e creando una visione che crea un ruolo per ogni Stato membro basato su ciò che è disposto a fare piuttosto che perpetuare un approccio unico che ha palesemente fallito, i funzionari della Commissione hanno proposto una strategia forte”.
Molte Ong e altri analisti hanno una visione diversa, decisamente più negativa. Il Patto, secondo Oxfam, “dà priorità alla solidarietà interna tra gli Stati membri a discapito di quella verso migranti e rifugiati”. Secondo EuroMed Rights, cerca di normalizzare “quelle che dovrebbero essere componenti eccezionali, come le procedure accelerate di frontiera e la detenzione”. “In un’Europa in cui manca solidarietà – ha scritto Matteo Villa di ISPI – l’unico punto su cui tutti concordano è la riduzione degli arrivi irregolari. Con le buone (sviluppo) o le cattive (controlli e rimpatri)”.
Eppure, le prime reazioni di diversi stati membri non sono state entusiaste, né da parte dei paesi di frontiera, come l’Italia, né da parte dei contrari ad ogni redistribuzione, come l’Ungheria. Trarre conclusioni ora, però, sarebbe prematuro. Le trattative, che potrebbero intrecciarsi con quelle relative ad altri dossier, sono appena iniziate. Il punto è se evolveranno, come evolveranno e quali saranno le alternative qualora non si arriverà a nessun accordo.
La migrazione è ancora una priorità?
“Riconosco che il patto ha dei limiti”, riprende Beirens. “Se non si trova un solido approccio comune al fenomeno migratorio, però, la situazione non può che peggiorare. Fino al punto in cui i paesi più esposti potrebbero prendere decisioni che vanno contro il diritto comunitario”. Come è già successo. Il primo marzo scorso, durante la crisi innescata da Ankara al confine tra Grecia e Turchia, il governo di Atene ha sospeso temporaneamente la registrazione delle domande d’asilo delle persone entrate irregolarmente nel paese. Il giorno dopo l’UNHCR e molte ong hanno condannato la decisione. Non le istituzioni UE che, al contrario, il 3 marzo hanno visitato la Grecia, definita in quell’occasione dalla stessa Von der Leyen “lo scudo dell’Europa”.
Per Beirens, se lo status quo dovesse rimanere tale, situazioni come quella greca potrebbero ripetersi. Per Catherine Woollard, invece, lo status quo può e deve essere migliorato. “Mentre si svolgono i negoziati – ha scritto la direttrice dell’European Council on Refugees and Exiles – gli Stati membri non operano in un vuoto: hanno obblighi chiari in base al diritto dell’UE (e naturalmente al diritto internazionale) … E anche la Commissione dovrebbe concentrarsi sulla lotta contro le violazioni, sul sostegno al rispetto delle norme, sulla gestione delle emergenze umanitarie e, in generale, su un miglior funzionamento del sistema d’asilo”.
VIDEO – La visita della presidente della Commissione UE Von der Leyen al confine tra Grecia e Turchia, nel marzo 2020 – Euronews
Ma quanto possono durare i negoziati? Inizialmente, si pensava che la Germania potesse raggiungere dei primi risultati già durante il suo turno di presidenza del Consiglio dell’UE. Non è stato così. A fine anno, il semestre tedesco lascerà il posto a quello portoghese e, per quanto i funzionari di Berlino si dice abbiano lavorato duramente al dossier, dovrebbero lasciare ai colleghi di Lisbona solo un documento sui progressi compiuti.
“Sarà cruciale vedere se ci saranno successi intermedi prima del 2022, quando sarà la Francia ad assumere la presidenza. Uno di questi potrebbe essere la creazione dell’Agenzia Europea dell’Asilo, al posto dell’attuale EASO: è un file su cui sembra esserci molto consenso. Sarebbe un lampo di luce nel bel mezzo del tunnel”, riprende Beirens. “Per far si che il tema continui ad essere una priorità per questa Commissione – conclude – nei prossimi sei o nove mesi al massimo serviranno dei reali progressi”.
In copertina: Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione europea insieme a David Maria Sassoli, presidente del Parlamento europeo e Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, in visita a Kastanies in Grecia, nel marzo 2020 – Foto: EC – Audiovisual Service