Gli ultimi dati diffusi dall’ufficio di statistica europea Eurostat mostrano che nel 2021, 139.000 cittadini extracomunitari sono stati respinti nel territorio dell’UE, mentre 681.200 sono stati trovati illegalmente presenti in uno degli Stati membri. Il numero di cittadini extracomunitari a cui è stato impartito un ordine di lasciare uno Stato membro dell’UE è stato di 342.100 unità, solo la metà del totale degli irregolari. Ma solo 82.700 cittadini di sono stati rimpatriati nei loro Paesi di origine.
I ministri dell’interno europei si erano riuniti informalmente a Stoccolma il 26 e 27 gennaio scorsi per discutere di migrazione e lotta alla criminalità organizzata, hanno raggiunto un “consenso” a favore di un maggiore utilizzo del meccanismo che consente la concessione di visti per costringere i Paesi terzi “non cooperativi” ad accogliere i loro cittadini che hanno visto respinta la loro domanda di asilo in Europa. La ministra svedese per la Migrazione, Maria Malmer Stenergard, ha detto che “uno strumento per migliorare la cooperazione dei Paesi terzi in materia di riammissione è l’articolo 25a del Codice dei visti” per il quale la Commissione europea ha il potere di valutare il livello di cooperazione dei Paesi terzi e di riferire ai ventisette Stati membri dell’UE.
Il governo italiano ha mantenuto la sua posizione ferrea per voce del ministro degli affari interni Matteo Piantedosi che ha proposto di lavorare con gli Stati UE per “sviluppare un terzo modello di rimpatrio che potremmo chiamare rimpatrio forzato accompagnato”. Un’operazione di ritorno che sia associata “a progettualità di reintegrazione”, anche in caso di rimpatri forzati, può – secondo il ministro italiano – “agevolare la collaborazione dello straniero, stimolare i Paesi terzi di provenienza a rafforzare la cooperazione e concorrere a contrastare le cause profonde dell’immigrazione”.
Ma finora, le proposte della Commissione di complicare l’accesso ai visti per i Paesi riluttanti a reintegrare i propri cittadini sono state seguite solo per il Gambia (ottobre 2021). In pratica, ciò significa che ci vuole più tempo per ottenere un visto UE o che i richiedenti devono presentare più documenti. Altre proposte non sono state seguite da una decisione del Consiglio, come nel caso del Bangladesh e dell’Iraq. I 27 Stati membri promettono ora di agire con maggiore fermezza non solo sui visti, ma innanzitutto attivando tutte le leve disponibili, dalla cooperazione allo sviluppo, ai rapporti commerciali e diplomatici.
Strategia, quest’ultima, rimarcata dalla lettera inviata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ai capi di stato e governo in vista del Consiglio europeo straordinario del 9 e 10 febbraio. La presidente dell’Esecutivo UE ha ricordato le misure che potrebbero essere adottate a breve termine: rafforzare le frontiere esterne dell’Europa con l’uso di fondi europei a sostegno degli Stati per finanziare “infrastrutture fisse e mobili” (come per esempio installazioni per sistemi informatici, manutenzione del materiale e installazioni per la gestione delle frontiere – ma non muri come poi chiarito), accelerare il rimpatrio dei richiedenti asilo che hanno visto la loro richiesta rifiutata, dare maggiore sostegno a Paesi come Austria, Belgio e Paesi Bassi che ultimamente hanno accolto un numero alto di migranti in rapporto alla popolazione – sono i cosiddetti “movimenti secondari” – e cooperare più strettamente con i Paesi di origine e transito. Ma alcuni dei Paesi di transito, come ad esempio la Libia, sono stati a più riprese accusati di non rispettare i diritti umani dei migranti con pushback da parte della cosidetta Guardia di Costiera e torture nei centri di detenzione.
Il meccanismo volontario di solidarietà non sta dando, invece, gli effetti sperati. I 18 Paesi europei che l’hanno firmato al termine della presidenza francese hanno dato la loro disponibilità ad accogliere 8.000 richiedenti asilo già registrati in un Paese di primo ingresso. Ma all’appello mancano ben 9 Stati membri e la Francia dal 2022 ha preso in carico le analisi di richiesta d’asilo di sole 38 persone (delle 2000 promesse all’Italia entro la fine dell’anno in corso).
Il rafforzamento della politica dei rimpatri verso i Paesi di origine lanciata dal governo italiano ha trovato una sponda anche dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, visitato da Giorgia Meloni venerdì scorso. “Chi non ha diritto deve poter tornare al proprio paese di origine. Deve anche esser chiaro che ci devono essere vie legali per entrare nell’UE perché abbiamo bisogno di forza lavoro in Europa”, ha detto Scholz.
Ma il presidente del principale partito di centrodestra europeo, Il Partito popolare europeo Manfred Weber ha pubblicato ieri un op-ed sul Times of Malta, criticando nuovamente Bruxelles per essersi rifiutata di finanziare le recinzioni alle frontiere esterne UE e invitandola a fare di più. Weber ha inoltre sostenuto la richiesta del Governo Italiano di un “codice di condotta per le Ong” europeo, una proposta su cui finora la Germania era rimasta fredda.
Codici di condotta e muri non sono però la soluzione. Lo denuncia Il Consiglio europeo per i Rifugiati e gli Esiliati (ECRE), organizzazione che include 110 Ong, che in una nota della sua direttrice Catherine Woolard sottolinea come “la maggior parte delle persone che hanno fatto richiesta di asilo non ha attraversato i confini in modo ‘irregolare’, ma è arrivata con un visto”. Molte persone che arrivano in UE hanno inoltre diritto alla protezione: “il 40% riceve lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria in prima istanza, e un ulteriore 10% circa ottiene lo status di protezione ai sensi della legislazione nazionale”. Una fotografia della realtà che gli Stati UE sembrano, ancora una volta, non voler guardare.
Foto di copertina via European Union