Aissatou Aisha Barry, nata in Guinea, aveva 23 anni. Arrivata in Tunisia all’inizio del 2023, era salita su un’imbarcazione di fortuna a Sfax insieme ad altre 44 persone, diretta in Italia. Nella notte fra il 19 e il 20 febbraio è stata recuperata in mare viva durante le operazioni di soccorso e fatta sbarcare a Lampedusa. Solo più tardi si è saputo che era in coma ed era stata trasferita al poliambulatorio locale insieme a un’altra donna incinta. A questo punto di lei si sono perse le tracce: il compagno approdato in Sicilia con la stessa barca non viene informato del suo stato di salute, e solo nell’Hotspot gli viene poi riferito che la ragazza è morta.
La storia di Aissatou Aisha è fra quelle raccontate nel nuovo rapporto di Mem.Med, Memorie Mediterranee, “Violenze, resistenze e memorie tra le due rive del Mediterraneo”, dove si fa il punto dei casi più recenti seguiti dall’associazione, oltre che dell’inasprimento delle pratiche di esternalizzazione degli ultimi mesi.
Mem.Med ha supportato la sorella di Aissatou Aisha nella procedura di richiesta di riconoscimento del corpo, ostacolata da un’errata registrazione del nome della ragazza. Solo nel luglio scorso è stata accolta la domanda di rettifica del nome, e l’identificazione è avvenuta online. Al termine delle procedure di correzione delle generalità, il corpo potrà essere riesumato e finalmente rimpatriato in Guinea.
“Quello che offriamo è soprattutto un accompagnamento nell’accesso alle procedure di ricerca ed eventuale identificazione delle vittime del Mediterraneo che non sono accessibili in maniera autonoma alle famiglie – spiega Silvia Di Meo, dell’associazione Mem.Med. – troppo spesso i parenti non sono presi in carico, eppure sono loro che vivono la violenza del regime di frontiera, la negazione al diritto dell’identità per i loro cari e del diritto al lutto. Violazioni che il nostro Stato e l’Unione Europea tutta non riconoscono”.
I dati degli sbarchi al 25 novembre 2024
Secondo i dati del Ministero dell’Interno, dal primo gennaio al 25 novembre di quest’anno gli arrivi in Italia via mare sono stati 60.683, contro i 151.384 dello stesso periodo del 2023 e i 94.343 del 2022. Di questi, 7.664 sono i minori non accompagnati (nel 2022 erano stati 14.044 e nel 2023 18.820).
La maggior parte delle persone sbarcate sulle coste italiane sono arrivate nei mesi estivi: a giugno sono state 4.902, contro le 15.164 del 2023 e le 8.152 del 2022; a luglio sono state 7.465, mentre nel 2023 erano state 23.420 e nel 2022 13.802. Nel mese di agosto sono state 8.526, contro le 25.673 del 2023 e le 16.822 del 2022.
Al primo posto per nazionalità ci sono gli arrivi dal Bangladesh, seguiti da Siria, Tunisia, Egitto, Guinea, Pakistan, Sudan, Eritrea, Mali e Gambia.
“Se è vero che diminuiscono gli arrivi, a questo decremento non corrisponde un freno delle partenze, che continuano a esserci – prosegue Di Meo – ma che vengono intercettate più spesso ora anche dalla Guardia costiera tunisina, che ormai è quasi paragonabile a quella libica, grazie ai finanziamenti Ue e nello specifico agli accordi con l’Italia. Abbiamo raccolto molte testimonianze che riportano attacchi alle imbarcazioni al largo delle coste tunisine, con conseguenti naufragi e vittime.”
L’istituzione ufficiale della Regione Tunisina di Ricerca e Soccorso, avvenuta nel giugno scorso ad un anno dalla firma dell’accordo fra Tunisia e Unione Europea, ha reso la locale Guardia Costiera responsabile di coordinare le attività in mare dei diversi attori che operano nelle acque internazionali, incluse le Ong. Questa Regione si aggiunge a quella libica istituita nel 2018, e si è già resa responsabile di violazioni dei diritti umani. Negli ultimi mesi, come mostrano le testimonianze raccolte da Mem.Med e altre associazioni, si sono registrati casi di mancata assistenza e ritardi nelle operazioni di soccorso, oltre a interventi violenti contro le persone a bordo delle imbarcazioni il ricorso a manovre pericolose che in diversi casi avrebbero aggravato la situazione e provocato naufragi.
La rotta migratoria che passa dalla Tunisia
Mentre fino a qualche anno fa le partenze via mare dalla Tunisia riguardavano quasi esclusivamente cittadini tunisini, negli ultimi anni hanno cominciato a coinvolgere sempre più persone provenienti da altri paesi, per i quali la Tunisia è solo una tappa del viaggio. Secondo i dati pubblicati dal Ministero dell’Interno di Tunisi, la percentuale di cittadini di paesi terzi intercettati in mare è passata dal 59% del 2022 al 78% del 2023.
Come si segnala anche nel rapporto Mare interrotto di AlarmPhone, rilasciato alcuni mesi fa dalla Rete che ha istituito il numero di emergenza auto-organizzato per i migranti in difficoltà nel Mediterraneo, a partire dal 2022 gli attacchi delle autorità tunisine segnalati contro imbarcazioni di persone migranti è aumentato: esattamente due anni fa, nel mese di dicembre, la società civile tunisina aveva denunciato la brutalità delle intercettazioni in mare con una dichiarazione congiunta firmata da 56 realtà diverse.
“Come Mem.Med lavoriamo molto in Tunisia e abbiamo rilevato un numero crescente di morti e di persone scomparse che nella maggior parte dei casi non vengono registrate e quindi non rientrano nelle statistiche – dice Di Meo – e questa è una delle ragioni per cui si dice che diminuiscono i morti, perché tantissimi naufragi non vengono raccontati, soprattutto se avvengono a poca distanza dalle coste tunisine. Cerchiamo anche di sostenere le azioni che le famiglie portano avanti nei paesi d’origine. I familiari tunisini delle vittime del naufragio di Selinunte hanno organizzato diverse proteste, anche davanti al palazzo presidenziale, nonostante il clima di repressione che oggi c’è in Tunisia nei loro confronti. Tutto ciò che è commemorazione, rivendicazione, ricordo, sono azioni che supportiamo, perché crediamo facciano parte della costruzione di una memoria che non significa solo restituire un nome e un volto, ma anche ricordare che queste stragi sono provocate da politiche specifiche.”
La strage di Roccella Ionica
Una parte del Rapporto è dedicata alla strage di Roccella Ionica, avvenuto nella notte fra il 16 e il 17 giugno scorso, quando un’imbarcazione partita da Bodrum, in Turchia, è naufragata a circa 120 miglia dalle coste calabresi. Anche in questo caso, denuncia Mem.Med, AlarmPhone aveva lanciato senza seguito l’allarme sullo stato di difficoltà della barca. A seguito delle richieste di aiuto da parte dei familiari delle vittime, l’associazione ha presentato un’istanza di accesso civico alla Prefettura di Reggio Calabria per chiedere informazioni sul numero dei corpi ritrovati, identificati, sottoposti a prelievo del Dna. Dalla risposta della Prefettura è emerso che i corpi recuperati erano stati 35 su 67, dei quali 10 di uomini, 9 di donne e 15 di minori, oltre a uno non noto, e che 14 salme erano state rimpatriate (13 con un volo di stato iracheno e una con un volo organizzato dalla Caritas), mentre le altre 21 erano state sepolte nel cimitero di Armo a Reggio Calabria.
La seconda azione di Mem.Med, avendo ottenuto risposte parziali, è stata quella di presentare istanza di riesame al fine di avere informazioni più specifiche su età, genere, e nazionalità delle vittime, oltre ai metodi usati per il riconoscimento. La Prefettura ha risposto il 21 ottobre, riferendo che le indagini ancora in corso impediscono di diffondere ulteriori elementi.
“Questa strage è passata sotto silenzio come tante altre, e le procedure divise tra i vari territori, la dispersione dei corpi, sono serviti a depotenziare l’azione congiunta dei familiari giunti da varie parti d’Europa insieme ai sopravvissuti e alle associazioni – dice Silvia De Meo – se paragoniamo il caso di Roccella Ionica con quello di Cutro, lì la mobilitazione è scaturita proprio dalla visibilità che è stata data ai parenti delle vittime. Eppure anche a Roccella Ionica erano presenti i familiari, soprattutto afghani, ma sono stati divisi fra camere mortuarie e ospedali diversi e non hanno potuto avere la stessa efficacia nel portare avanti la loro battaglia per avere verità e giustizia.”
Il Mediterraneo Centrale: il contesto della diminuzione degli “sbarchi”
Secondo l’ultimo aggiornamento pubblicato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni dell’Onu in Libia, dal primo gennaio al 16 novembre, lungo la rotta del Mediterraneo Centrale, sono morte 515 persone e altre 830 risultano disperse. Un dato inferiore a quello dello scorso anno, quando le vittime accertate dall’Oim erano state 2.271.
Le segnalazioni che giungono ad associazioni come Mem.Med. da parte di familiari che hanno perso le tracce dei loro cari poco prima dell’imbarco raccontano che il numero dei morti è una stima al ribasso, e che possano essere molti di più, considerati i naufragi di piccole imbarcazioni che spesso al largo delle coste del Nord Africa non vengono registrati.
A questi numeri si aggiungono quelli delle persone intercettate in mare e riportate in Libia, diffusi sempre dall’Oim: 20.231 fra uomini, donne e minori costretti a restare in un paese dove rischiano detenzioni arbitrarie, torture e ricatti. La diminuzione del numero di arrivi sulle coste italiane deve essere quindi inquadrata tenendo conto anche di questi elementi.
Oltre il Mediterraneo Centrale: in aumento la rotta del Mediterraneo Orientale
La rotta del Mediterraneo Orientale si riferisce agli arrivi in Grecia, Cipro e Bulgaria, che dopo gli accordi Ue-Turchia del 2016 si sono ridotti fino al 2020, per poi ricominciare ad aumentare nel 2021. Nei primi dieci mesi di quest’anno, secondo i dati di Frontex, le persone che sono arrivate in questi tre paesi sono state 54.989, 6.750 solo nel mese di settembre e 7.300 nel mese di ottobre, con un aumento del transito nel Mediterraneo dell’Est del 15%.
I confini terrestri
Anche i transiti attraverso i confini orientali terrestri, in particolare tra Bielorussia, Ucraina e Polonia, sono cresciuti del 195%, con 13.200 attraversamenti di frontiera dovuti principalmente alla guerra in corso dal 24 febbraio 2022 in territorio ucraino.
La rotta balcanica invece, nel solo mese di ottobre 2024 ha portato a Trieste 1.412 persone, secondo l’International Rescue Committee Italia e la Diaconia Valdese. Dal Rapporto Vite Abbandonate realizzato dalla Rete solidale di Trieste, che comprende anche altre associazioni come Linea d’Ombra ODV, DonK-HUmanitarian Medicie, ICS-Ufficio Rifugiati Onlus, le persone che hanno ricevuto una qualunque forma di assistenza nel 2023 sono state 16.052. Anche in questo caso si tratta di una stima al ribasso rispetto al totale delle persone transitate, che non tiene conto di tutti coloro che non sono entrati in contatto con la rete, e che in condizioni di vulnerabilità hanno proseguito il loro viaggio.
Immagine di copertina di Ilaria Romano