Il graffito che apre questo articolo, scritto sul muro di un bagno in un bar nel centro di Bologna, rispecchia la difficoltà per chi cerca casa in questa città. Città dei portici, patrimonio dell’UNESCO e sede dell’università più antica d’Europa. Città che una volta si distingueva per il suo comune senso di accoglienza. Il sito ufficiale turistico di Bologna, infatti, si chiama BolognaWelcome (Bologna accoglie) ma purtroppo, ultimamente, sembra che siano soltanto i turisti ‘welcome’. Per chi arriva in città per viverci e cerca una casa, la storia è un po’ diversa.
Infatti, recentemente, sono usciti diversi articoli su questo tema. L’essenziale riporta che la crisi abitativa a Bologna va avanti da anni, affidando in parte la responsabilità alla crescita degli affitti a breve termine e il costante aumento degli studenti fuori sede. Dal reportage di Inside Airbnb risulta che gli annunci per un posto letto in città attualmente sono 3.895 e che diverse ‘top host’ possiedono molteplici appartamenti. Alcuni arrivano ad averne addirittura più di 50! Questi, quindi, sono soluzioni abitative in meno sul mercato. Il Post nell’articolo ‘Il paradosso dei senzatetto lavoratori a Bologna’ , riporta come sia quasi impossibile trovare una casa per persone senza un lavoro a tempo indeterminato o garanzie (economiche).
Questi articoli, così come altri, non menzionano però un’altra barriera molto diffusa: il razzismo nel settore degli affitti privati. La tematica del razzismo è emersa durante la mia ricerca con ragazzi africani giunti in Italia come minori stranieri non accompagnati. ll progetto, finanziato dalla Leverhulme Trust (Regno Unito), analizza la loro vita una volta uscita dal Sistema Accoglienza Integrazione (SAI) e le difficoltà che essi devono affrontare, inclusa la discriminazione, in un contesto sociopolitico sempre più ostile ai migranti razzializati.
Chi è lo straniero?
Il mio compagno (che è bianco, italiano ed ha un accento modenese) telefona ad un agente immobiliare in merito ad un annuncio di un appartamento. Egli chiede all’agente se la casa è ancora disponibile.
L’agente immobiliare gli risponde di sì, in quanto: “finora sono soltanto gli stranieri a chiamare per l’appartamento e il proprietario non vuole affittarlo agli stranieri. Sa, era la sua casa di famiglia e ne è un po’ sentimentale …” (evidentemente al telefono, ha preso mio compagno per un italiano (inteso come bianco).
Qualche giorno dopo, quando andiamo a visitare l’appartamento, parlo con l’agente per la questione degli ‘stranieri’, essendo anche io non italiana, e perciò straniera. Gli chiedo:
“Il mio compagno mi ha avvisato che il proprietario non vuole affittare agli stranieri… Sa, io sono straniera, vengo dal Regno Unito, quindi non vorrei che questo possa essere un problema per il proprietario”.
L’agente immobiliare mi risponde “oh, no, no, no. Il proprietario è un uomo di mondo, nessun problema!”
Evidentemente, non tutti gli stranieri sono stran(ier)i nello stesso modo, e io essendo bianca e britannica sono meno ‘stran(ier)a’ di altri.
Per indagare di più su questo tema nella mia ricerca, assisto lo Sportello Casa del Centro Astalli in centro a Bologna. Qui si presentano migranti in cerca di casa, alcuni di cui sembra possiedano tutti gli (elevati) requisiti: contratto a tempo indeterminato, garanzie del datore di lavoro, possibilità di lasciare deposito cauzionale/ fidejussione bancaria…Persone che sembrerebbero, quindi, inquilini modello. Ma.
Manca un requisito non specificato negli annunci: quello di essere bianco. Quindi, nonostante loro abbiano tutti i presupposti richiesti, le case, a loro difficilmente vengono affittate.
Qui a Bologna assisto Umesh, un ragazzo venuto dal Pakistano in cerca di una vita migliore. Egli è ospite del progetto di terza accoglienza, un passaggio tra SAI e l’affitto privato che dovrebbe assistere fino a giungere all’autonomia quelle persone che hanno un lavoro. Umesh lavora in un ristorante, e pure il suo capo lo sta aiutando a cercare casa adesso, avendone capito le difficoltà. Anche per i datori di lavoro, la situazione sta diventando difficile, visto che i propri dipendenti non riescono a trovare casa. Dopo settimane di assidua ricerca, non troviamo nulla. Spesso ci sentiamo dire che “il proprietario non vuole affittare agli stranieri”. Umesh avrebbe già dovuto lasciare il Centro Astalli per lasciare il suo posto ad altre persone bisognose di assistenza ma, visto che finirebbe a vivere per strada, hanno allungato un po’ le tempistiche. Purtroppo, che abbia trovato casa o no, a breve Umesh dovrà uscire. Lui è solo uno dei tanti in questa situazione.
Il fatto del razzismo è ben noto ai centri di accoglienza, le ONG e le altre strutture che cercano di assistere i richiedenti asilo i quali, una volta usciti dalla SAI, devono trovare casa in affitto a Bologna – come segnalato sopra, già difficilissimo per chi è italiano. Poi, ci sono le agenzie predatorie che si fanno pagare anche 250 euro da persone ormai disperate, per un servizio di finta ‘assistenza’ nel cercare casa. Non fanno altro che girare link delle poche case disponibili online. Sono cadute in questa sorta di truffa molte persone migranti che ho conosciuto, non sapendo che altro fare, incluso Umesh.
Parlo con i ragazzi che partecipano alla mia ricerca di questa situazione. Raccontano le stesse cose, quando si cerca casa, il razzismo verso di loro è forte, sentito.
‘Ha paura che tu sia nero’
Innocent, che ora ha 22 anni ed è in Italia da quando è arrivato dodicenne dalla Nigeria tramite viaggio lungo via Libia ed il mare mediterraneo, parla perfettamente italiano, con l’accento bolognese. Mi racconta di quando chiama in risposta agli annunci al telefono e lo scambiano per un Italiano (inteso come bianco). Poi, però, quando va a vedere l’appartamento e si rendono conto che lui è nero, misteriosamente l’appartamento non è più disponibile.
Sento molti racconti simili a questo. Una signora italiana bianca del Centro Astalli mi spiegava che lei ha chiamato un’agente immobiliare per un ragazzo africano poi, quando è andato a vedere la casa con il ragazzo, l’agente le ha risposto: “Signora! Mi avrebbe dovuto dire che era per un nero! Non si affitta ai neri qui.”
È pratica così comune, quasi da essere considerato accettabile che un proprietario non vorrebbe affittare agli ‘stranieri’. Infatti, la sociologa Alice Lomonaco ha identificato un evidente discriminazione nel settore dell’affitto privato contro chi è considerato ‘straniero’. Discriminazione che, però, viene vista dagli agenti immobiliare come se fosse una semplice ed accettabile ‘esigenza’ da parte del proprietario.
Innocent mi spiega che gli agenti immobiliari spesso gli dicono cose del tipo ‘sai, il proprietario è un anziano e non vuole stranieri’”. ‘Ha paura che tu sia nero’ (paura che gli africani non paghino, paura che gli africani possano rovinare la casa, paura degli odori di una cucina diversa). In più, Innocent mi spiega come viene regolarmente fermato senza motivo dalla polizia intorno alla stazione centrale, dove deve prendere il treno per andare a lavoro. Gli chiedono di mostrare i suoi documenti. Succede spesso.
Gli chiedo: “Come ti fa sentire questo?”
Mi risponde: “malissimo, anche per il fatto della casa…” “Noi neri non siamo niente qui”.
“Io mi sento quasi più italiano che nigeriano, ormai sono qui da quasi metà della mia vita”, “sono come una persona normale che può vivere in Italia, ma non del tutto italiano…. Ma anche se nasci in Italia, è così se sei nero a causa della legge della cittadinanza” … “non è una cosa bella.”
“Non si affitta agli stranieri”
Saaki, un 22enne del Gambia, è idraulico. Ha preso la sua qualifica tramite un centro d’accoglienza per minori a Bologna. Lui sostiene che “anche se hai un lavoro a tempo indeterminato e guadagni 10.000 euro al mese, se sei nero non prendi la casa a Bologna.” Saaki parla bene l’italiano con un leggero accento gambiano. Mi racconta di quando chiamava in risposta a degli annunci e gli veniva detto che le case non c’erano più. Poi, chiedeva al suo collega italiano di chiamare due minuti dopo, e l’appartamento era disponibile. Racconta come a volte al lavoro, quando deve intervenire per risolvere problemi idraulici nelle case degli italiani, al collega italiano viene offerto da bere, ma a lui niente. Mi spiega “una volta ci hanno portato del caffè – al mio collega in una tazza di porcellana e a me in una di plastica. Io l’ho rifiutato.” È molto soddisfatto del suo lavoro, ma questi episodi gli pesano. Alla fine, Saaki ha trovato casa a Cento, piccolo paese a circa 45 minuti di macchina da Bologna.
“Un permesso di soggiorno, ma nessun posto di soggiorno”
Edrisa (22 anni gambiano) riflette sul paradosso che molti migranti hanno “un permesso di soggiorno ma nessun posto di soggiorno”. Il lavoro c’è: c’è bisogno di manodopera. Edrisa lavora come muratore, ha una qualifica, ma nonostante abbia sempre avuto un lavoro e un permesso di soggiorno, ha passato quattro mesi senzatetto, dovendo dormire da amici, addirittura anche nel furgone di lavoro. Per Edrisa, questa è una combinazione sia della crisi abitativa della città sia del razzismo contro gli africani. Mi racconta di avere visto una manifestazione contro gli affitti alti in centro: ‘se non trovano loro, che sono bianchi italiani, che speranza ho io.’
Per Edrisa, il razzismo deriva dall’ignoranza, dai numerosissimi documentari sull’Africa in cui il continente viene presentato come luogo abitato soltanto da animali selvatici, una terra vasta e vuota, priva di progresso o modernità. A quest’immagine si aggiunge anche quella delle migrazioni nel dibattito pubblico, dibattito dove i migranti sono presentati sempre in maniera negativa, come invasori, inferiori, minaccia. Una clima di legittimazione strisciante aggravato dai politici “imprenditori della paura”, come li definisce Ezio Mauro nel suo libro l’Uomo bianco.
La senatrice Sandra Zampa, il cui nome è prestato alla Legge 7 aprile 2017, n. 47 che da’ ai minori stranieri non accompagnati gli stessi diritti dei minori cittadini italiani o europei, sostiene che essi “ove accolti e inseriti in percorsi di integrazione sono una risorsa straordinaria che restituisce largamente al paese che li ha accolti ciò che hanno ricevuto”. Tuttavia, il paese, le città, devono essere in grado di accogliere i nuovi giovani abitanti a prescindere da dove provengono. Fino a quando non si affronterà meglio la complessa tematica del razzismo ancora fortemente radicato in Italia, questo, al momento, sembra restare difficile. Tante le iniziative nate: dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali che ha firmato un protocollo d’intesa volto alla prevenzione e al contrasto di ogni tipo di discriminazione nel settore immobiliare, al Comune di Bologna che lancerà a breve un Piano d’Azione Locale per una Città Antirazzista e Interculturale e irisultati del Primo rapporto dell’Osservatorio dello Sportello Antidiscriminazioni.
Tanti poi gli spazi di convivialità, o spazi di chi “rema contro”, come il Centro Astalli o BlackLivesMatter ed i Regaz dei Fava che svolgono una concreta attività sul territorio per cercare di “invertire la rotta” affinché a Bologna di aperto non rimangano solo i portici.
In copertina foto di Sarah Walker