C’è un giudice a Milano. In questo caso c’è un collegio di giudici amministrativi che ha accolto il ricorso presentato da un gran numero di associazioni (tra cui Asgi, Cild, Oxfam, Spazi Circolari, Naga e Spazi Circolari) e di persone migranti per la lesione subita a causa della mancata conclusione dei procedimenti amministrativi di emersione dalle legge n.77 del 2020. Eravamo in piena emergenza Covid-19 e nell’ambito delle tante misure di ristoro fu previsto all’articolo 103 che al fine di garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva, in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da COVID-19, fosse necessaria l’emersione di rapporti di lavoro irregolari con cittadini italiani o cittadini stranieri.
Grazie alla determinazione di un significativo numero di associazioni e di legali è stata presentata a Milano prima, e a Roma dopo, una vera e propria class action. Nel ricorso era specificato che a distanza di ben due anni dalla presentazione della domanda, e pur essendo ormai ampiamente spirato il termine di 180 giorni individuato dalla giurisprudenza per la conclusione del procedimento, la Prefettura di Milano avrebbe definito solo una minima e non significativa percentuale delle istanze presentate, mentre ancora un rilevante numero di pratiche risulterebbe inevaso. Al tempo della presentazione della class action su un totale di 25.900 domande ne risultavano non decise ben 19.069.
Una decisione che ha lasciato le persone in una condizione di vuoto umano, di incertezza, di indefinitezza nello status personale. Una ingiustificata mancanza di assunzione di provvedimenti che per consolidata prassi dei giudici avrebbe dovuto essere presi in non più di sei mesi. Sono invece passati tre anni.
I giudici del Tar della Lombardia hanno anche specificato che il sistematico ritardo nella disamina e trattazione delle domande di emersione non fosse giustificabile sulla base della paventata mancanza di risorse. Infatti la stessa legge del 2020 prevedeva esplicitamente un adeguato stanziamento di risorse. Il fatto che la copertura finanziaria presente nella legge fosse su base nazionale e non locale non può essere addotta come una causa di giustificazione dell’inerzia amministrativa da parte della Prefettura milanese. Così come è inaccettabile per i giudici il riferimento alla prospettata insufficienza del sistema informatico utilizzato dalla Prefettura per l’acquisizione delle domande. L’inidoneità delle tecnologie a disposizione di una qualunque amministrazione pubblica è un problema che va risolto e non può essere opposto a propria giustificazione, così come potrebbe fare uno studente di scuola media per evitare il cattivo voto all’interrogazione programmata.
Il dispositivo della sentenza è inequivocabile. Il ricorso è stato pienamente accolto. Il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Milano sono state condannate. Devono porre rimedio entro tre mesi all’inefficienza finora dimostrata. Un’inefficienza che si è tradotta in diritti fondamentali (lavoro, casa, salute) negati o sospesi. Dunque, non un’inefficienza neutra o indolore.
Nelle prossime settimane dello stesso tema dovranno occuparsene anche altri giudici amministrativi in giro per l’Italia. Questo è il ruolo del diritto e dei giudici in una società democratica: far rispettare la legge, sempre, anche quando questa non è proprio gradita ai potenti di turno.