«Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati». Era il 1748 quando Montesquieu nel suo Spirito delle Leggi ammoniva intorno alla necessaria frammentazione del potere a difesa e promozione della libertà politica. Ogni invasione di campo nell’autonomia e indipendenza giudiziaria costituisce un tentativo di ritorno alla pre-modernità illiberale, a forme anti-razionali e anti-illuministiche del potere. Ogni ipotesi di diretta o indiretta sottomissione del giudice, di ogni giudice, al potere politico è un attacco allo Stato di diritto, e quindi anche alle libertà politiche dei cittadini e di tutti coloro che vivono in un dato Paese. Lo spazio giuridico italiano è parte di quello europeo. Era il 5 novembre del 2019 quando la Corte di giustizia europea ha condannato la Polonia per violazione delle regole dello Stato di diritto e del diritto alla protezione giurisdizionale effettiva nell’ambito di applicazione del diritto UE, con particolare riferimento al mancato rispetto dei principi dell’irremovibilità e dell’indipendenza dei giudici. Dunque, non si può stare nell’Europa politica se non si rispetta lo stato di diritto e non viene garantita l’indipendenza piena della magistratura, senza ombre. Fortunatamente le recenti elezioni politiche hanno avviato un cambiamento nel segno europeista in Polonia.
Il giudice asservito al potere mina i diritti umani e la rule of law. Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo riuscirono nella fragile democrazia argentina a portare a processo i militari macchiatisi di crimini feroci contro l’umanità commessi durante il regime di Videla. Ecco a cosa servono i giudici indipendenti.
Un giudice indipendente non è un giudice disumanizzato, privo di idee. Un giudice indipendente non è riducibile ad un algoritmo. È semplicemente una persona che non risponde al potere esecutivo del suo lavoro di magistrato, della sua capacità di interpretazione delle leggi. È probabile che non ci sarebbero state reazioni indignate da parte di esponenti del Parlamento e del Governo (e qua la minaccia alla divisione dei poteri si fa più seria) se la giudice del tribunale di Catania Iolanda Apostolico si fosse occupata di altri provvedimenti della pubblica amministrazione e non del trattenimento in un Cpr di quattro migranti tunisini. È stata scandagliata la sua vita passata, privata e pubblica, per minarne la credibilità di giudice e negarne l’indipendenza. Quello delle migrazioni è il campo di azione di ogni populismo, nel nome di un sovranismo identitario che poco ha a che fare con la tensione universalista che si respirava nelle dichiarazioni di fine ‘700 e inizio ‘800. Dunque, è il tema su cui si gioca la partita del consenso e chiunque ponga ostacoli, in questo caso di diritto, è visto non come attore del gioco liberaldemocratico, ma come nemico. La giudice Apostolico è stata così inquadrata come nemico rispetto all’interesse superiore dello Stato. Eppure il Governo, con le sue rappresentanze, ha tutti gli strumenti, legittimamente offerti dal diritto interno ed europeo, per contrastare nelle sedi giurisdizionali previste, la decisione della giudice catanese che ha disapplicato le nuove norme in materia di migrazioni e asilo. Lo ha fatto affermando che «il trattenimento di un richiedente protezione internazionale per le direttive europee, costituendo una misura di privazione della libertà personale, è legittimamente realizzabile soltanto in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge». E queste condizioni legali lei non le riteneva sussistenti. Un provvedimento in punta di diritto, senza commenti. La divulgazione da parte di alte autorità ministeriali di video di svariati anni addietro dove la giudice partecipava a una manifestazione pubblica costituisce una sgrammaticatura istituzionale che va verso la frattura del patto fondativo della nostra democrazia. È stato previsto l’invio di ispettori (o qualcosa che gli somigli) da parte del ministro della Giustizia. A verificare cosa? Le idee della giudice? Cosa legge e quali giornali compra? I poster che ha in casa? Se gli ispettori dovranno viceversa occuparsi del merito della vicenda allora sarebbe stato sufficiente da desk preparare le deduzioni governative contro i suoi provvedimenti.
L’era digitale ci rende ancora più trasparenti. Siamo profilabili sulla base della nostra navigazione in rete e della gestione dei social. Ogni cellulare costituisce un patrimonio di informazioni su se stessi e sugli altri. Siamo oggi ben più visibili e ricattabili di qualche tempo fa, quando tutto viaggiava a ritmi cartacei o analogici lenti. Ogni giudice avrà messo qualche ‘mi piace’ nella sua vita. Oggi più che prima va rispettato il patto democratico a tutela delle libertà politiche di ciascuno di noi, giudici e migranti compresi. E quel patto è carta straccia se alla magistratura è negata l’indipendenza di diritto o anche solo di fatto.