Ci sono non poche ragioni per considerare politicamente, socialmente, umanamente, giuridicamente gravi le scelte del Governo in tema di immigrazione. Falsate da un paternalismo stucchevole e da un’apparente compassione per i bambini e per i morti, l’insieme delle decisioni del Governo costituisce un ritorno alla pre-modernità. In primo luogo va decostruito lo stereotipo per cui lo straniero è una minaccia. Già Beccaria nel lontano 1764 con il suo pragmatismo utilitarista, fuso all’interno di una prospettiva universalista, rompeva ogni forma di pregiudizio contro gli stranieri. Per il grande filosofo milanese bisognava diffidare degli oziosi ricchi nostrani piuttosto che prendersela con i forestieri. Anzi, questi ultimi avrebbero meritato una maggiore indulgenza nel caso di errori e finanche di delitti, a causa della ignoranza della lingua che li può rendere autori incolpevoli di crimini. In premessa, dunque, va ribadito che tutte le scelte del governo in tema di immigrazione rispondono a una filosofia politica sovranista che ci riporta indietro nel tempo. Il sovranismo è belligeno ci hanno insegnato Immanuel Kant, Hans Kelsen, Sigmund Freud, Albert Einstein, Altiero Spinelli, Boutros Ghali, Luigi Ferrajoli, papa Francesco. Al sovranismo va contrapposto un cosmopolitismo che ha il fondamento nel multilateralismo e nei principi di uguaglianza e dignità umana. Dunque la premessa per ogni critica nei confronti delle più recenti decisioni governative in tema di immigrazione resta una premessa che ha a che fare coi fondamenti della democrazia, dello stato di diritto, delle relazioni internazionali, della interdipendenza e indivisibilità dei diritti umani. Guardare ai movimenti di esseri umani come un rischio “per la tenuta democratica del paese” (Minniti, ministro degli Interni, 2017) significa assecondare una retorica di paure e chiusure che sono le premesse fondative del sovranismo nazionalista. Quello stesso sovranismo nazionalista che non favorisce il dialogo tra i popoli e che è anni luce distante dalla fraternità, quale precondizione dei rapporti umani, sociali e politici a tutti i livelli. Fratelli non come Caino e Abele, ma come persone che si riconoscono reciprocamente nelle loro diversità, anche di lingua, passaporto, tradizioni, religione. La fraternità cosmopolita non mette in discussione lo Stato di diritto ma ne limita i poteri arbitrari nel nome della pace e dei diritti umani. Il sovranismo si nutre di populismo che a sua volta è una strategia di azione che prescinde dalla razionalità dei dati statistici e dalla profondità delle analisi, affidandosi viceversa alla strumentalizzazione emotiva delle paure ancestrali delle persone. Sostanzialmente esso è la deriva dello stato di diritto in stato demo-consensuale.
La dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Governo per gestire gli arrivi dei migranti via mare risponde perfettamente a questa sotto-cultura politica. In primo luogo si prescinde dai dati visti nella loro dimensione diacronica. Gli arrivi via mare nei primi tre mesi e mezzo del 2023 sono stati circa 42 mila. Supponiamo che si mantenga questa proiezione di sbarchi sino a fine anno, si giungerebbe pari a pari al numero degli arrivi di migranti nel 2022 così come certificato da Unhcr, ossia poco più di 152 mila persone. Dunque meno delle persone giunte in Italia nel triennio 2014-2016. Un fenomeno strutturale non può essere trattato come se fosse un’emergenza. L’emergenza dovrebbe essere data da fattori imprevedibili, eccezionali, tendenzialmente di carattere naturale. La norma richiamata dal Governo per dichiarare lo stato di emergenza e affrancarsi dai limiti della legislazione ordinaria è stata pensata per affrontare con la protezione civile situazioni come terremoti, catastrofi ambientali. Tre anni fa sovranisti di destra (quelli che oggi hanno chiesto e ottenuto la commissione di inchiesta su come è stata affrontata la pandemia) e cultori della rule of law si erano opposti da postazioni distanti ma sovrapponibili negli esiti ai Dpcm con cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte poneva limiti alla libertà di movimento delle persone per fronteggiare la pandemia da Covid-19. Nel nome della ‘libertà individuale’ incondizionata e irriguardosa delle altrui libertà (basta tornare alla letteratura degli ultimi due secoli, da John Stuart Mill sino Amartya Sen, per comprendere come la nozione di libertà non sia assoluta ma necessariamente relazionale) quegli stessi sostenitori di oggi dello stato di emergenza sull’immigrazione ieri lo contestavano quando si trattava del virus che correva veloce e mortale per le strade del paese. Ecco il non detto di una simile posizione: lo straniero, nel caso in cui sia povero e non proprio bianco di viso, costituisce un rischio per la sicurezza del nostro Paese, addirittura più di un virus che nel mondo ha ammazzato quasi sette milioni di persone. Bizzarra interpretazione delle priorità di protezione dei cittadini italiani.
A cosa servirà dunque la dichiarazione dello stato di emergenza? Probabilmente a facilitare la realizzazione di nuovi Cpr, Centri di permanenza per immigrati irregolari, così moltiplicando i posti per la detenzione amministrativa. Anche qua sia argomenti giuridici che politico-culturali dovrebbero indurre a guardare con grande diffidenza a luoghi dove i diritti vengono sistematicamente violati, la salute delle persone compromessa, la libertà negata pur non essendovi alcuna infrazione penale commessa. Anche i numeri bassi dei rimpatri dopo la reclusione nei Cpr (meno del 50% nel 2021 è stato identificato e rimpatriato secondo i dati del Garante nazionale per le persone private della libertà) dovrebbero sconsigliare politiche costose e inutili. Ma il populismo sovranista ha bisogno di simboli e le prigioni amministrative per immigrati costituiscono uno straordinario (ma mistificante) simbolo di repressione, forza, severità. E così passa l’idea che quelle persone per stare in una quasi-prigione qualcosa devono aver pur fatto o comunque la potrebbero pur sempre fare. Ecco così che il diritto amministrativo si trasforma in brutalità penale senza le garanzie che il diritto penale stesso mette a disposizione per chi ha commesso un reato. Fortunatamente alcune regioni e altrettanti sindaci hanno deciso di non avallare una politica del genere. Gliene va dato atto.
Ricordo un precedente sullo stato di emergenza in un tema diverso ma simile (per le modalità demagogiche con cui viene approcciato) ossia il sovraffollamento penitenziario. Era il 2011 quando il governo Berlusconi dichiarò lo stato di emergenza per gli alti numeri di detenuti nel paese (ignorando che bastava cambiare le leggi su droghe e immigrazione per ridurli drasticamente). Affidò a un prefetto il piano di costruzione di nuove carceri. Come è finita quella storia? Con alcune inchieste per corruzione e abusi. Gli appalti troppo veloci destarono l’attenzione degli investigatori. Di carceri nuove non se ne vide l’ombra.
La seconda grave decisione del Governo è quella di cancellare la protezione speciale, istituto che aveva una vita giovane, stava funzionando e serviva a evitare che si forzassero le maglie del diritto di asilo o si espellessero persone che comunque rischiavano la vita o la perdita di altri diritti di rilievo costituzionale nel paese di origine. Pare che nel 2022 ne abbiano usufruito circa 10 mila persone, un quinto delle persone che l’hanno richiesta. Numeri non enormi che però sono serviti sicuramente a togliere dalla zona grigia dell’illegalità persone altrimenti facilmente abbordabili da organizzazioni criminali. Rendere invisibili le persone, nonché impossibilitarle a produrre reddito legale significa costringerle ad andare via (ma le politiche di rimpatrio sono da sole inefficaci, anche perchè è difficile giustificare il rientro concordato e sereno in paesi come Afghanistan, Egitto, Sudan citati a mero titolo di esempio) o a scegliere vie rapide e illegali di produzione di reddito (rapine e spaccio di sostanze stupefacenti in primo luogo).
Negli ultimi due anni c’è stata una diminuzione di migranti in carcere in termini percentuali e assoluti, nonostante l’aumento degli stranieri liberi. A fronte dell’importante crescita delle presenze di stranieri regolari in Italia il tasso di detenzione di cittadini non italiani ha visto un altrettanto decisiva diminuzione passando dallo 0,71% del 2008 allo 0,33% del 2022. Oggi gli stranieri sono il 31,3% della popolazione reclusa. Nel 2011 erano il 36,1%. Questi sono numeri tranquillizzanti che chiunque dovrebbe prendere in esame se autenticamente interessato a costruire politiche criminali e sociali degne di questo nome. Purtroppo però i dati statistici e le interpretazioni degli esperti non trovano spazio nella deriva demo-consensuale della nostra democrazia, la cui tenuta non è messa a rischio a causa di chi scappa dalle sue terre ma da chi riduce garanzie e diritti di stranieri e italiani.