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Homepage >> Idee >> Rifugiati, perché aumentano i “reati di solidarietà”
Nando Sigona
@NandoSigona
Professore associato presso l’Institute for Research into Superdiversity all’Università di Birmingham e ricercatore associato presso il Refugee Studies e il Centre on Migration, Policy and Society (COMPAS) alla Università di Oxford. Si occupa di asilo politico e migrazioni forzate in ambito europeo e di rom e sinti in Italia e Europa. Sigona è uno dei fondatori della rivista "Migration Studies" (Oxford University Press). E' tra i curatori dell'Oxford Handbook on Refugee and Forced Migration Studies.

Rifugiati, perché aumentano i “reati di solidarietà”

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16 marzo 2016 - Nando Sigona
Aumentano i processi (e le condanne) inflitte a volontari che hanno aiutato profughi a mettersi in salvo o a ricongiungersi con le proprie famiglie in Europa. Come scoraggiare la società civile europea e come questa può difendersi.

Questo articolo è stato pubblicato in inglese sul blog dell’autore.

Il Guardian riporta il caso del processo alla nota attivista danese Lisbeth Zornig, colpevole di aver accompagnato in auto una famiglia di siriani. Le è stata inflitta una multa di 22.500 corone danesi (circa tremila euro). Secondo l’articolo, Zornig è una delle 279 persone accusate di aver violato le leggi sul traffico di esseri umani nella sola Danimarca, nel periodo compreso fra il settembre del 2015 e il febbraio di quest’anno. A gennaio, mentre la polizia greca arrestava un gruppo di volontari spagnoli che soccorrevano i profughi sull’isola di Lesbo, rischiando fino a dieci anni di carcere, in Francia un militare inglese in pensione è stato processato per aver tentato il ricongiungimento fra una bambina afghana di quattro anni del campo profughi di Calais e la sua famiglia in Inghilterra (un caso simile è accaduto anche in Norvegia).

È questa la prossima “soluzione” alla crisi dei rifugiati proposta dai politici dell’Unione Europea? Minacciare i volontari per indebolire il sostegno a soluzioni più umane? Forse tutto ciò non porterà ad arresti di massa dei volontari, ma altri casi eclatanti potrebbero avere un esito simile. Per la loro natura “esemplare”, essi si prestano a diffondere rapidamente il messaggio in maniera forte e chiara, amplificati dai media, favorevoli o contrari che siano a questo tipo di azioni: ogni pubblicità è una buona pubblicità.

Forse, dunque, dovremo aspettarci altri processi “spettacolari” di questo genere. Se c’è una cosa che abbiamo imparato dall’attuale gestione della crisi da parte dell’Unione Europea è che le cattive abitudini si diffondono in fretta; come nel caso dei muri di filo spinato innalzati l’estate scorsa dall’Ungheria lungo il confine sloveno, accolti in un primo momento da forti opposizioni e oggi presi a modello da molti stati europei.

La criminalizzazione dei volontari mira innanzitutto a scoraggiare il coinvolgimento della società civile europea, e da ultimo a indebolire e dividere l’ultimo bastione contro una linea dura dell’Ue nei confronti dei rifugiati. È questa linea dura che sta portando anche alla chiusura sistematica di qualsiasi via d’uscita legale dalla Siria, intrappolandone la popolazione all’interno del paese. Come contrastare tali pratiche di intimidazione e dissuasione? Il caso francese può essere istruttivo.

Secondo Jennifer Allsopp, autrice di un’analisi dettagliata del dibattito sui reati di solidarietà in Francia alla fine degli anni 2000 (si veda anche il capitolo 6 del rapporto CEPS), l’unico modo per contrastare la tendenza a criminalizzare quanti sostengono gli immigrati e i rifugiati passerebbe da una mobilitazione costante e duratura della società civile del paese, che l’ha portata ad avere “una rete di protezione legale contro questi procedimenti fra le più estese e avanzate” oggi esistenti.

Traduzione di Francesco Graziosi

Etichettato con:rifugiati, volontariato

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