1. Iuventa libera: il fatto non sussiste
Il Tribunale di Trapani ritira le accuse di traffico di esseri umani contro i membri dell’equipaggio della nave di soccorso Iuventa, bloccata per sette anni e fatta marcire al porto della città, in un contesto di pregiudizi e depistaggi nelle indagini, come riporta il giornalista Giansandro Merli su Il Manifesto.
THREAD!
THE TRIAL IS FINALLY OVER‼️
BUT IT SHOULD HAVE NEVER STARTED‼️After 5 years of investigation and 2 years of preliminary trial, both the
prosecution and the judge admit that the accusations were baseless.
1/5 pic.twitter.com/a2TrvYtjuG— iuventa-crew (@IuventaCrew) April 19, 2024
“Le ong Medici Senza Frontiere, Save the Children e Jugend Rettet e vari loro dipendenti e volontari erano stati accusati di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, un reato secondo cui è punito con il carcere chi «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato». Secondo l’accusa, tra il 2016 e il 2017 le ong si sarebbero accordate segretamente con i trafficanti di esseri umani in Libia sull’orario e sul luogo in cui farsi trovare per raccogliere i migranti che partivano dalle coste libiche a bordo delle proprie navi”, riporta Il Post. E ancora: “qualcuno dovrà chiedere scusa, e dare conto del fatto che si è voluto proseguire con un’indagine politicamente motivata”, ha affermato uno dei legali della Ong, Nicola Canestrini.
No, le ong non collaborano con i trafficanti di esseri umani.
Lo abbiamo sempre detto.
Abbiamo sempre avuto ragione.— Eleonora Camilli (@EleonoraCamilli) April 19, 2024
“Da quando la Iuventa è stata sequestrata nell’agosto 2017, 10.000 persone sono annegate nel Mediterraneo. Trovo ancora incredibile come una nave di salvataggio funzionante ed efficace possa essere messa fuori servizio mentre il soccorso marittimo statale è quasi completamente chiuso e le persone sono in pericolo in mare quasi ogni giorno”, ha affermato Darius Bagui, capitano della Iuventa, intervistato da Alessandra Ziniti su Repubblica.
2. Meloni in Tunisia: solita propaganda, nessuna novità sulle migrazioni
La presidente Giorgia Meloni ha incontrato il presidente Kais Saied, per discutere quello che ha definito un “nuovo approccio” alla migrazione e alla cooperazione economica “reciproca”. “In un video rivolto alla stampa dopo i colloqui, Meloni ha definito il rapporto dell’Italia con la Tunisia “strategico” e di “massima priorità”, si legge su Info Migrants.
Tuttavia, nonostante Meloni abbia affermato l’importanza di “combattere i trafficanti, aumentare i rimpatri” e “garantire vie di accesso”, con ingenti finanziamenti da Roma, come riporta il giornalista Matteo Garavoglia su il Manifesto, quella di Meloni rappresenta “una propaganda di governo che si scontra, appunto, con la realtà dei fatti”, poiché “a oggi l’Italia rimane un paese inaccessibile per la popolazione tunisina e straniera. Lo sa bene Ghassen Chraifa, artista tunisino che avrebbe dovuto presentare il suo film alla Biennale d’arte di Venezia. “Avrebbe” perché la domanda di visto di Chraifa risulta ancora in corso. […] Una problematica che riguarda migliaia di cittadini tunisini e in particolare gli studenti universitari che vorrebbero recarsi in Italia, spesso bloccati in Tunisia a causa di procedure burocratiche dubbie”.
Tra i problemi di fondo quindi rimane l’insormontabile difficoltà, a livello burocratico, nell’ottenimento dei documenti per poter viaggiare, come spiega anche la giornalista Arianna Poletti in un articolo per il Middle East Eye: “ammesso in una facoltà del Centro Italia, dopo aver pagato le tasse annuali Moez si è visto rifiutare il visto. “Ho studiato a distanza, senza aver mai incrociato un italiano”.
Meloni è a Tunisi (anche) per firmare il MoU su scambi universitari nell'ambito del Piano Mattei. Ma c'è un grande non detto se si parla di cooperazione accademico-scientifica con la Tunisia: il costante rifiuto/ritardo dei visti Schengen per studenti, artisti, giovani tunisini. pic.twitter.com/bouXA1NDln
— Arianna Poletti (@AriannaPoletti) April 17, 2024
3. Il Mediatore Ue indaga sul MoU Ue-Tunisia
Il Mediatore Ue ha avviato un’indagine di propria iniziativa sul modo in cui la Commissione europea intende garantire il rispetto dei diritti umani nel contesto del memorandum d’intesa Ue-Tunisia.
Il motivo deriva dal fatto che il Mediatore abbia espresso “preoccupazioni circa l’assenza di una precedente valutazione d’impatto sui diritti umani, in particolare relativo al punto riguardante “Migrazione e mobilità” del memorandum d’intesa e alle azioni previste nell’ambito di tale punto”. Il Mediatore ha chiesto alla Commissione di rispondere a una serie di domande su come intende monitorare l’impatto in materia di diritti umani delle azioni nell’ambito del memorandum d’intesa e su quali misure ha previsto, anche per quanto riguarda l’eventuale sospensione dei finanziamenti dell’UE, qualora vengano individuate violazioni dei diritti umani”.
4. Lo “spreco di cervelli” dei lavoratori migranti in Ue
In una nuova indagine della testata giornalistica Lighthouse Reports, viene spiegato come l’elevato tasso di “brain waste” (spreco di cervelli), o meglio di talento, delle persone straniere immigrate in Ue non solo sia una grave perdita economica per la stessa, – relegando donne e uomini immigrati a un limitato numero di settori lavorativi, solitamente scarsamente qualificati – ma contribuisca a creare un sistema di segregazione occupazionale e discriminazione.
Europe’s xenophobic politics ignore coming economic decline. Millions of skilled jobs go unfilled but ½ of educated migrants work below their skill level. @LHReports @FT @el_pais @unbiasthenews used newly accessible data to investigate brain waste https://t.co/IGUgWpcWph
— Lighthouse Reports (@LHreports) April 19, 2024
Accedendo ai dati dell’Eurostat sul mercato del lavoro che riguarda le persone immigrate, è stato scoperto che: “quasi la metà delle persone migranti con istruzione universitaria in Europa sono sovraqualificate per il lavoro che svolgono e hanno quasi il doppio delle probabilità di essere disoccupati rispetto agli autoctoni”. Inoltre, “esiste una quasi parità nei livelli di istruzione tra autoctoni e nuovi arrivati, le donne migranti istruite si trovano ad affrontare tassi di disoccupazione più elevati”. Il costo di questa discriminazione è enorme: “ se le persone migranti svolgessero gli stessi lavori e guadagnassero gli stessi salari degli autoctoni […], l’economia europea potrebbe crescere di 33,8 miliardi di euro. Inoltre, dopo un decennio di programmi accelerati di riconoscimento dei titoli di studio, pubblicizzati come soluzioni rapide a questo enorme spreco, queste politiche hanno avuto scarso impatto”.
5. Il Ghana espelle richiedenti asilo in Burkina Faso
Mentre il Ghana ha accolto migliaia di rifugiati burkinabé in fuga dalla crescente violenza jihadista oltre confine, i gruppi per i diritti dell’etnia Fulani sostengono che il Ghana abbia espulso richiedenti asilo di etnia Fulani, prendendo di mira una comunità ingiustamente accusata di sostenere l’insurrezione.
“Dall’inizio del 2022, almeno 15.000 persone burkinabé sono fuggite nel nord del Ghana, fuggendo da un crescente conflitto tra i militari, sostenuti da ausiliari civili armati, e i due principali gruppi jihadisti: il JNIM, legato ad al-Qaeda, e il cosiddetto Stato Islamico. In tutto il Sahel, quasi quattro milioni di persone sono state sfollate a causa del conflitto in espansione”, spiega il giornalista James Courtright sul New Humanitarian. “In quello che è sempre più un conflitto basato sull’identità, le persone di etnia Fulani – una comunità semi-nomade diversificata di 30 milioni di persone diffusa in tutta l’Africa occidentale – sono vistesempre più come un “problema di sicurezza” dai governi regionali, compreso quello del Ghana. I gruppi jihadisti nel Sahel hanno astutamente manipolato le lamentele locali per reclutare sottosezioni storicamente emarginate delle comunità Fulani. Gli insorti hanno preso di mira tutte le comunità che collaborano con il governo, compresi i leader locali Fulani che si oppongono a loro”.
Negli ultimi due anni, il Ghana ha registrato più di 3.000 rifugiati burkinabé, principalmente provenienti dalle comunità Mossi, Kusasi e Bissa. Ma lamentano di lottare per essere riconosciuti come rifugiati e rischiano l’espulsione.
6. Le persone rifugiate di Gaza scarsamente tutelate in Egitto
Mentre il bombardamento costante di Israele continua a generare rifugiati, le persone palestinesi profughe in Egitto cercano invano di essere tutelate. E’ la storia di Rania, raccontata dal giornalista Edmund Bower per il Guardian.
“A differenza dei paesi vicini, nessun organismo delle Nazioni Unite si è assunto la responsabilità dei palestinesi fuggiti in Egitto, mentre le autorità egiziane sono accusate di trarre profitto dalle elevate tasse di attraversamento del confine (il valico di Rafah). Rania e la sua famiglia fanno affidamento su enti di beneficenza per pagare il cibo e l’affitto di un appartamento al Cairo. Dopo una settimana dall’inizio della guerra, le forze israeliane hanno lanciato volantini nel quartiere di Rania dando loro un preavviso di 24 ore per lasciare l’area. La loro casa è stata distrutta da un pesante bombardamento che è costato la vita a 20 membri della sua famiglia allargata. “Chi è sopravvissuto è rimasto disabile”, dice Rania. “Alcuni di loro hanno perso le braccia. Alcuni hanno perso le gambe”.
Mentre i viaggi da Gaza all’Egitto erano inizialmente orchestrati da più agenzie che applicavano prezzi molto diversi, da allora è emersa un’unica compagnia con il monopolio sui valichi di frontiera, addebitando una tariffa fissa di 5.000 dollari per un adulto e 2.500 dollari per ogni bambino. Dawn Chatty, professoressa emerita di antropologia e migrazione forzata all’Università di Oxford, afferma: “il governo egiziano non concederà loro asilo. Concedere asilo ufficiale alle persone in fuga da Gaza potrebbe “distruggere” il loro diritto teorico al ritorno in queste terre e potrebbe mettere l’Egitto in grossi guai con altri stati arabi”.
7. I nostri nuovi articoli su Open Migration
La Piana di Gioia Tauro, in Calabria, è uno dei principali luoghi di produzione di agrumi in Italia. Il settore agricolo del territorio poggia sulla forza lavoro composta da braccianti provenienti in particolare dall’Africa subsahariana che, in molti casi, sono vittime dello sfruttamento dei caporali e della criminalità organizzata. Dopo le proteste del 2010, non molto è cambiato a livello istituzionale, mentre sono sorte iniziative dal basso che rendono dignitosa la vita di questi lavoratori. Ce ne parla Marta Facchini.
Foto copertina via Twitter/Iuventa Crew