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Homepage >> Web review >> I migliori articoli su rifugiati e immigrazione 23/2025

I migliori articoli su rifugiati e immigrazione 23/2025

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10 giugno 2025
L’Italia al voto per i Referendum 2025. Nel frattempo l’Università di Bari pubblica un nuovo rapporto che dimostra che più Cpr non portano a più rimpatri. La Freedom Flotilla soccorre persone migranti nel Mediterraneo.

1. L’Italia al voto per il Referendum sulla Cittadinanza

L’8 e il 9 giugno si vota per i Referendum 2025. Uno dei quesiti riguarda la cittadinanza e, in particolare, la possibilità di ridurre da 10 a 5 anni gli anni di residenza obbligatori per poterla richiedere. Tuttavia, il quorum non è stato raggiunto.

“Secondo il comitato promotore per il Sì al referendum, questa modifica alla legge 91 del 1992 coinvolgerebbe 2,5 milioni di persone che lavorano, studiano e crescono in Italia senza il giusto riconoscimento giuridico. Non mi sento solo profondamente italiana, ma proprio romana. Romana nel cuore. È il paese in cui voglio stare, il paese che voglio cambiare. Aurora Iacob, 21 anni, attivista della Rete degli Studenti Medi, è nata a Roma da genitori rumeni. Racconta così il paradosso di una vita intera in Italia svanita per un cavillo: un temporaneo rientro in Romania ha azzerato i suoi 18 anni di residenza continuativa, costringendola a ricominciare il percorso da zero: ho dovuto ricominciare tutto l’iter burocratico da capo», racconta con amarezza. Sembra che la cittadinanza sia qualcosa che ci dobbiamo meritare, quando noi non dobbiamo dimostrare niente a nessuno”, riporta il giornalista Simone Manda su Domani.

E ancora: “la stessa sensazione di frattura pervade la storia di Stefania N’Kombo José Teresa, attivista per le associazioni Lunaria e Questaèroma, che oggi ha acquisito la cittadinanza italiana ma vive con il pensiero che lo stesso diritto è stato negato ai suoi genitori: è triste. Io posso viaggiare, loro no. È Daniela Ionita, presidenta del movimento Italiani senza cittadinanza, a cucire insieme i fili di queste esistenze sospese. Con la pazienza di chi ha combattuto diciassette anni per il proprio riconoscimento (ottenendo il documento solo a fine 2023), smonta la narrazione tossica del merito […]. Quando parliamo di cittadinanza non dobbiamo pensare solo all’identità, ma anche e soprattutto ai diritti. Ossia a quei servizi che permettono una vita migliore, non dover continuare per decenni a fare la fila interminabile in questure decadenti. Sa che la cittadinanza non è un premio da meritarsi, ma un diritto da riconoscere”.

2. Più Cpr non vuol dire più rimpatri ma solo repressione

L’Università di Bari ha pubblicato un nuovo rapporto dal titolo “Rimpatri forzati e pratiche di monitoraggio. Uno studio empirico” in cui è stato evidenziato come la permanenza prolungata nei Cpr non implichi più rimpatri, ma maggiori episodi di autolesionismo e repressione.

“L’analisi dei dati a nostra disposizione ci consente di svolgere alcune interessanti osservazioni sulla politica di rimpatrio italiana […]. Se guardiamo infatti al tasso di rimpatri effettivamente eseguiti, che è tipicamente considerato il principale indicatore dell’efficacia della politica di rimpatrio, l’Italia ha rimpatriato in media il 32% degli stranieri destinatari di un provvedimento di allontanamento nel periodo 1998-2023, con una tendenza in chiara decrescita […]. Un altro aspetto interessante da tenere in considerazione nell’analisi delle politiche di rimpatrio è quello relativo alla modalità esecutiva dei rimpatri […]. Anche se non siamo riusciti a ricostruire una serie storica completa relativa alla modalità esecutiva dei rimpatri effettuati dall’Italia, i dati a nostra disposizione indicano chiaramente che per tutto il periodo di tempo considerato oltre l’80% delle persone rimpatriate è stata coattivamente accompagnata alla frontiera”, si legge nel rapporto.

E ancora: “nonostante l’espansione dei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), la funzione di queste strutture continua a produrre più detenzione che rimpatri. Lo studio conferma che le politiche di trattenimento non incidono sulle politiche di rimpatrio. I Cpr restano il luogo in cui la procedura di allontanamento si arena spesso già nelle prime settimane. La permanenza prolungata nei Cpr genera tensioni crescenti: atti di autolesionismo, resistenze fisiche e psicologiche, somatizzazioni da detenzione forzata. L’intero sistema si regge su una gestione muscolare: i rimpatriandi vengono ammanettati con fascette in velcro — usate in modo generalizzato e sistematico anche in assenza di resistenza, in violazione delle stesse linee guida — e trasferiti sotto scorta fino all’aeroporto”, scrive il giornalista Giulio Cavalli su Domani.

3. La Freedom Flotilla soccorre persone migranti nel Mediterraneo

L’imbarcazione “Madleen” della Freedom Flotilla, diretta a Gaza con aiuti umanitari, composta da alcuni attivisti e attiviste solidali (tra cui l’eurodeputata francese Rima Hassan e l’attivista Greta Thunberg) ha risposto giovedì scorso a una richiesta di soccorso di Frontex relativa a un’imbarcazione persone di migranti in difficoltà, poi tratte in salvo.

“L’eurodeputata Rima Hassan ha dichiarato a InfoMigrants che i migranti salvati si erano gettati in acqua per evitare di essere rimpatriati in Libia […]. Arrivati ​​nella zona dell’imbarcazione in difficoltà, l’equipaggio della “Madleen” ha dichiarato di aver visto arrivare anche la guardia costiera libica. Sono arrivati ​​molto velocemente, avevamo paura che la barca [di migranti] si ribaltasse, ha detto Hassan”, riporta InfoMigrants. E ancora: “le foto pubblicate online dall’eurodeputata europea mostravano circa 40 persone su una piccola imbarcazione in mare aperto”.

https://x.com/SeaWatchItaly/status/1930582134336438608

Nel frattempo, la Freedom Flotilla è stata recentemente bloccata dalle autorità israeliane, arrestando gli e le attiviste a bordo.

4. Mentre gli attacchi delle RSF si intensificano, una città del Darfur lotta per dare rifugio agli sfollati

La regione più occidentale del Sudan, il Darfur, è la roccaforte delle Rsf, che combattono contro le Forze armate sudanesi (Saf) e i gruppi alleati in un conflitto durato due anni, che ha provocato la più grande crisi di sfollamento e fame del mondo.

“Formate come successori delle cosiddette milizie “Janjaweed”, responsabili del genocidio del Darfur dei primi anni 2000, le forze Rsf hanno commesso una  serie di uccisioni di massa dal 2023 a oggi, che i gruppi per i diritti umani affermano equivalgano a una pulizia etnica e a un  possibile genocidio […]. I recenti attacchi  si sono concentrati nel Darfur settentrionale , l’unico stato del Darfur in cui l’esercito mantiene ancora il controllo. I civili sono fuggiti a Tawila, sempre nel Darfur settentrionale, perché è controllata da un gruppo armato che ha assunto una posizione neutrale nella guerra”, scrivono i giornalisti Mohamed Jamal Alasmer e Ahmed Gouja sul New Humanitarian.

E ancora: “Tawila è considerata un rifugio sicuro perché è controllata dall’Esercito di Liberazione del Sudan-Abdul Wahid (Sla-Aw). Il gruppo ribelle, guidato da  Abdul Wahid al-Nur, ha preso il controllo dell’area alla fine del 2023 e ha mantenuto una posizione di neutralità nel conflitto. Circa un milione di persone risiede ora nella città e nei dintorni, secondo Regal, portavoce per gli sfollati e i rifugiati. Ha aggiunto che la maggior parte proviene da El Fasher, la capitale del Darfur settentrionale, e dai campi profughi circostanti […]. Gli aiuti internazionali nel Darfur  sono stati deboli per diverse ragioni : le parti in conflitto hanno bloccato l’accesso alle aree controllate dai rivali; le agenzie umanitarie non sono riuscite a reagire in modo efficace; e la risposta complessiva è  gravemente sottofinanziata”.

5. Raid anti-migranti: proteste a Los Angeles

In seguito alle violente deportazioni e raid effettuate dall’Ice, la polizia di frontiera statunitense, nei confronti di famiglie migranti, centinaia di migliaia di persone si sono riversate sulle strade per manifestare contro la repressione di stato.

“Secondo un recente rapporto dell’American Bar Association, un’associazione nazionale di avvocati, la maggior parte di loro sono richiedenti asilo provenienti dall’America centrale o meridionale, giunti in città in cerca di sicurezza e opportunità di lavoro. Non hanno condanne penali, eppure, privi di status legale, vivono sotto costante sorveglianza mentre i loro casi si snodano attraverso il sistema giudiziario statunitense per l’immigrazione, mal supportato”, scrive la giornalista Claudia Rosel sul Guardian. E ancora: “Il budget interno dell’ICE per l’ATD-ISAP è aumentato da 28 milioni di dollari nel 2006 a quasi 470 milioni di dollari entro la fine del 2024. Sebbene l’attenzione della seconda amministrazione Trump si sia concentrata sulla detenzione e la deportazione , il monitoraggio elettronico continua a rappresentare un fattore significativo nella vita di molti immigrati e negli ultimi anni lo è diventato sempre di più. Ice promuove l’ATD-ISAP come un’alternativa “umana ed economica” alla detenzione, ma sebbene sia sicuramente meglio della reclusione, avvocati e sostenitori sostengono che introduce un controllo statale non necessario nelle case, nei luoghi di lavoro e negli spazi pubblici, intrappolando le persone in cicli di paura, stigma e instabilità”.

Nel frattempo, scoppiano proteste a Los Angeles: “circa 2.000 soldati della Guardia Nazionale sono stati schierati a Los Angeles dal governo federale, contro la volontà del governatore della California Gavin Newsom. Anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha suggerito di schierare il Corpo dei Marines per rispondere alle proteste. Trump ha fatto ricorso a una legge che stabilisce che l’impiego della Guardia Nazionale può essere federalizzato se gli Stati Uniti “sono invasi o rischiano di essere invasi da una nazione straniera”; “c’è una ribellione o un pericolo di ribellione” contro il governo; oppure “il presidente non è in grado di far rispettare le leggi degli Stati Uniti con le forze regolari”, riporta Bbc.

6. I nostri nuovi articoli su Open Migration

Il 5 maggio 2025 il Tribunale civile di Roma ha emesso una sentenza che potrebbe segnare una svolta importante per migliaia di giovani cresciuti in Italia. Il caso riguarda un ragazzo neomaggiorenne a cui era stata negata la cittadinanza italiana per un cavillo burocratico: il ritardo dello Stato nell’esaminare la domanda di naturalizzazione della madre. Ne parliamo nel nostro nuovo approfondimento.

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