1. Persone rifugiate senza casa a Trieste
Le persone che arrivano perlopiù dalla rotta balcanica si trovano ancora senza casa, per le strade di Trieste.
“Sono a Trieste da un mese: vado tutti i giorni in questura a chiedere se c’è un posto per me – racconta Amir (nome di fantasia), giovane ragazzo afghano che vive sulla strada – ma mi mandano via, dicono sempre Go, go. Eppure, lui avrebbe diritto a entrare nel sistema di accoglienza. Lo testimonia il documento che tiene in mano, protetto da una copertina di plastica: è invitato in questura il 22 settembre -l a data è una correzione a penna, rispetto al precedente 22 agosto – per formalizzare la richiesta d’asilo. Come lui, almeno 113 richiedenti asilo attualmente dormono a terra o in ripari di fortuna”, scrive la giornalista Veronica Rossi su Altreconomia. E ancora: “Ma quali sono le motivazioni che portano il sistema a incepparsi in questo modo nel capoluogo giuliano? I trasferimenti da Trieste verso il resto del territorio nazionale hanno iniziato a rallentare intorno alla seconda metà di giugno – spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) e membro dell’Associazione per studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) – quindi la curva delle persone fuori accoglienza ha cominciato a salire relativamente presto. Poi, nel mese di luglio, il rallentamento è diventato più forte e sono state saltate addirittura tre settimane […]”.
Nonostante tutto, la solidarietà non si ferma: “Gian Andrea Franchi è un insegnante in pensione di storia e filosofia in un liceo di Pordenone. Dal 2018, assieme alla moglie Lorena Fornasir, psicoterapeuta e consulente degli uffici giudiziari, si è trasferito a Trieste dando vita a Linea d’Ombra, uno straordinario, variopinto laboratorio controcorrente che accoglie [le persone migranti] che arrivano dalla rotta balcanica”, riporta il giornalista Giuseppe Pietrobelli su Il Fatto Quotidiano.
2. I rifugiati in Germania denunciano la xenofobia ma cresce la domanda per la cittadinanza
Secondo una nuova analisi del Deutsche Welle dal titolo Germany takes stock of 10 years of integration, che si basa sui risultati di 10 anni di integrazione delle persone migranti, le persone rifugiate in Germania sono sempre più preoccupate per la xenofobia crescente.
“I ricercatori hanno chiesto […]: vi sentite benvenuti in Germania oggi? Secondo lo studio del DW, solo il 65% degli intervistati ha dichiarato di sentirsi benvenuto nel 2023, rispetto all’84% del 2017. Secondo lo studio, nel 2020 la percentuale era già scesa al 78%. Oltre la metà degli intervistati nel 2023 (54%) ha espresso una certa o grande preoccupazione per la xenofobia. Nel 2019, questa percentuale si aggirava ancora intorno a una persona su tre”, riporta InfoMigrants. E ancora: “lo studio ha coinvolto persone che hanno presentato domanda di asilo o protezione temporanea in Germania tra il 2013 e settembre 2022, intervistate annualmente tra il 2017 e il 2023, indipendentemente dall’esito positivo della loro domanda. Molti degli intervistati hanno affermato che la discriminazione è spesso legata all’etnia, alla lingua o al nome. I rifugiati hanno riferito di aver incontrato svantaggi in particolare nella ricerca di un alloggio (32%), nella candidatura per un lavoro (18%) e sul posto di lavoro (14%)”.
Infine: “nonostante le esperienze negative, il 98% dei rifugiati intervistati tra il 2013 e il 2019 ha dichiarato di voler diventare cittadino tedesco, di aver già presentato domanda o di aver completato la naturalizzazione. La quota di rifugiati naturalizzati è salita dal 2,1% nel 2021 al 7,5% nel 2023, mentre il numero di domande pendenti è balzato a oltre un quarto. I rifugiati siriani sono in vantaggio: il 13,1% aveva ottenuto la cittadinanza entro il 2023 e il 29,4% ne aveva fatto domanda. La doppia cittadinanza è comune, con quasi l’88% dei rifugiati neo-naturalizzati che mantiene la propria cittadinanza originaria”.
3. La violenza in Niger contro le persone rifugiate
Le autorità nigerine hanno arrestato sei rifugiati sudanesi da un campo alla periferia della città settentrionale di Agadez. La sorte degli arrestati nel raid della polizia del 21 agosto rimane sconosciuta.
“I rifugiati del campo affermano [credono] che gli arresti siano una ritorsione […] per il loro coinvolgimento nelle proteste e un tentativo di fare pressione sulla popolazione del campo […] che si svolgono da quasi un anno. Il 21 agosto ci hanno portato via 6 delle nostre voci più forti. Oltre 15 veicoli militari per mettere a tacere madri che chiedevano dignità. Siamo ancora qui. Stiamo ancora lottando, ha scritto su X Ismail Youssef, un rifugiato che vive nel campo. Mary Lawlor, relatrice speciale delle Nazioni Unite […], ha dichiarato via e-mail al New Humanitarian che gli arresti potrebbero costituire una sparizione forzata e una grave violazione degli obblighi del Niger in base alla legge sui diritti umani”, scrive la reporter Hannah Uguru sul New Humanitarian. E ancora: “secondo l’Unhcr, il Centro Umanitario di Agadez ospita attualmente circa 1.900 persone, la maggior parte delle quali provenienti dal Sudan. I rifugiati nel centro stanno organizzando manifestazioni dal 22 settembre dello scorso anno […] per chiedere l’evacuazione o il reinsediamento e per richiamare l’attenzione sul deterioramento delle condizioni e sulla mancanza di opzioni di integrazione locale”.
Infine, ricordiamo che tra i finanziatori del centro “umanitario” vi è anche l’Italia: “si tratta dello stesso centro inaugurato nel 2017 – nello stesso anno in cui l’allora ministro dell’Interno Minniti firmava un accordo che farà del confine Libia-Niger la frontiera d’Europa – finanziato dall’Italia attraverso il programma RDPP (Regional Development and Protection Program) North Africa, di cui è presente il logo nella stessa insegna del centro, con un protocollo d’intesa sull’identificazione e il monitoraggio dei migranti e dei rifugiati nel contesto dei movimenti misti che considera il Niger come “l’unico spazio alternativo per la protezione e le soluzioni per i richiedenti asilo e i rifugiati”, scrive la giornalista Lidia Ginestra Giuffrida su Fanpage.
4. Un nuovo naufragio al largo della Mauritania
Almeno 69 persone sono decedute e altre ancora disperse in seguito a un naufragio al largo della Mauritania.
“Il naufragio è avvenuto martedì, ma la Guardia costiera ha dato la notizia venerdì: inizialmente la stima era di 49 persone morte, poi è stata aggiornata a 69. Sono state soccorse 17 persone ancora vive e le ricerche di eventuali persone disperse sono tuttora in corso. Dalla Mauritania parte una rotta sempre più usata dalle persone migranti che vogliono raggiungere l’Europa attraverso le isole Canarie. Secondo la Guardia costiera del paese l’imbarcazione naufragata era una piroga di legno (cioè un’imbarcazione a remi, piuttosto precaria per un viaggio di quel tipo): era partita una settimana fa dal Gambia e Senegal”, riporta Il Post.E ancora: “in un rapporto pubblicato il 27 agosto, l’ong Human rights watch (Hrw) aveva accusato le autorità mauritane di gravi violazioni dei diritti umani di migranti e richiedenti asilo, compiute tra il 2020 e il 2025. Il rapporto, basato su centinaia di testimonianze, denuncia torture, stupri, maltrattamenti fisici, arresti, detenzioni arbitrarie ed estorsioni. I migranti internati nei centri di detenzione mauritani hanno riferito di “trattamenti disumani”, tra cui mancanza di cibo, pessime condizioni igieniche e percosse”, si legge su Internazionale.
5. La nuova ondata di vigilanti anti-migranti in Europa
Tra il razzismo e la propaganda politica di estrema destra, emerge la presenza di privati cittadini che decidono di diventare “vigilanti anti-migranti”.
“Indossando camicie nere con una croce di ferro, una dozzina di uomini ha marciato attraverso il centro di Reykjavík […]. In Polonia e nei Paesi Bassi, i vigilantes si accalcavano lungo il confine tedesco, pronti a respingere qualsiasi richiedente asilo […]. A Belfast, vagavano dopo il tramonto, chiedendo di vedere i documenti d’identità di migranti e persone di colore”, scrive la giornalista Ashifa Kassam sul Guardian. E ancora: “gli attivisti per i diritti umani e i governi hanno descritto le azioni come motivate dalla paura e alimentate dalla disinformazione. Nel periodo precedente ai disordini in Spagna, i messaggi razzisti sui social media sono aumentati vertiginosamente del 1.500%, secondo i dati del governo centrale, mentre la Fondazione Helsinki per i diritti umani, con sede a Varsavia, ha collegato le azioni in Polonia a una narrazione politica radicalizzante che dipinge la migrazione come una minaccia, alimentando paure sociali e sfiducia nelle istituzioni statali”.
Infine: “[…] Non fermano l’immigrazione. Non creano più sicurezza nelle strade”, ha affermato Tore Bjørgo, professore all’Università di Oslo ed ex direttore del Centro di Ricerca sull’Estremismo. È uno spettacolo per i media e […] per scopi politici perché, molto spesso, le organizzazioni di estrema destra [..] lo usano come un modo per farsi pubblicità e reclutare nuovi membri”.
6. I nostri nuovi articoli su Open Migration
Borgo Mezzanone è un luogo noto, non tanto per il piccolo centro urbano, frazione di Manfredonia con circa 400 abitanti, quanto per l’insediamento spontaneo fra i più grandi d’Europa, dove da ormai vent’anni vivono in condizioni disumane migliaia di braccianti agricoli provenienti soprattutto dal Nord Africa e dall’Africa Subsahariana. Ce ne parla Ilaria Romano.