1. Tutti liberi: tornano in Italia i richiedenti asilo deportati in Albania
In seguito alla deportazione di 16 persone migranti originarie del Bangladesh e dell’Egitto, 4 di queste ultime sono state riportate in Italia poiché vulnerabili e poiché minori. Subito dopo anche i 12 rimasti sono stati liberati grazie a una sentenza del Tribunale di Roma.
“La sezione immigrazione del tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei migranti all’interno del centro di trattenimento di Gjadër in Albania”, riporta Domani. “La motivazione: nel comunicato stampa a firma della presidente della sezione immigrazione del tribunale civile di Roma, Luciana Sangiovanni, sono fornite le motivazioni dei giudici: il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come “paesi sicuri” gli stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal Protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia”.
La sentenza fa tremare tutta la struttura del protocollo Italia-Albania, che già nell’iter di deportazione presenta importanti criticità, primo fra tutti, lo screening a bordo della guardia costiera italiana basato su selezioni sommarie e arbitrarie che non tengono davvero in considerazione le vulnerabilità delle persone, come notato dal giurista Fulvio Vassallo Paleologo.
2. Le bugie di Meloni su trafficanti e “guardia costiera libica”
Giorgia Meloni, riferendo al parlamento, ha attaccato la Ong Sea Watch sostenendo che la cosiddetta guardia costiera libica non sia composta da trafficanti e che i cosiddetti scafisti siano colpevoli.
Come spiega la portavoce di Sea Watch, Giorgia Linardi, sono le stesse Nazioni Unite che hanno ammesso la presenza di trafficanti nella cosiddetta guardia costiera libica, primo fra tutti Abdul Rahman al Milad, noto come “Bija” – ucciso recentemente a Tripoli – e conosciuto per torture e violenze nei confronti delle persone migranti.
In secondo luogo, riporta Linardi, i cosiddetti scafisti sono spesso persone costrette a guidare la barca sotto ricatto e che puntualmente vengono criminalizzate: oggi fino a 30 anni di carcere per il cosiddetto Decreto Piantedosi.
3. Mentre Israele bombarda il Libano, i deportati siriani rischiano detenzione e coscrizione obbligatoria
I rifugiati siriani deportati dal Libano affermano di aver subito abusi da parte delle forze di sicurezza su entrambi i lati del confine, tra cui pestaggi da parte delle autorità libanesi e la coscrizione forzata nell’esercito siriano. Alcuni sono morti in detenzione o sono scomparsi.
“Le loro esperienze sollevano preoccupazioni circa la sorte che attende le 276.000 persone fuggite dal Libano in Siria dopo l’intensificarsi degli attacchi aerei israeliani sul Paese il mese scorso; il 70% di queste persone sono siriane, secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Secondo il ministero della Salute libanese, gli attacchi di Israele hanno ucciso più di 2.300 persone e ne hanno sfollate circa 1,2 milioni, la maggior parte da fine settembre”, riportano i giornalisti Ali Al Ibrahim, Mohammed Bassiki e Jacob Goldberg sul New Humanitarian. E ancora: “I rischi del ritorno in Siria sono stati chiariti negli ultimi anni, quando le autorità libanesi hanno intensificato le espulsioni dei rifugiati siriani. Secondo l’Unhcr, nel 2023 l’esercito ha costretto almeno 13.700 persone ad attraversare il confine in Siria in operazioni di deportazione o respingimento”.
“Alla Quarta Divisione Corazzata sono stati consegnati […] due fratelli siriani deportati dal Libano nell’aprile 2023 […]. L’intelligence dell’esercito libanese ha fatto irruzione nei luoghi in cui vivevano i siriani… [e] ha arrestato circa 23 siriani dalle loro case […]. Siamo stati trattenuti per ore. Poi l’intelligence dell’esercito libanese ci ha lasciati tutti all’interno del territorio siriano vicino al posto di blocco della 4a Divisione al valico di Masnaa”, racconta Ahmad Adnan Shamsi al-Haydar, di 19 anni.
4. Sempre più soldi a paesi terzi: l’Ue dona altri 30 milioni di euro al Senegal per fermare le migrazioni
Il Senegal potrebbe essere la quarta economia più grande dell’Africa, ma sta anche vivendo un’instabilità politica ed economica, che ha portato a un aumento dell’emigrazione. Come parte di una serie di misure, l’Ue ha annunciato un pacchetto di finanziamenti da 30 milioni di euro per aiutarla a contrastare le migrazioni.
“L’Unione Europea ha annunciato un pacchetto da 30 milioni di euro per gestire l’immigrazione dal Senegal, ha riferito mercoledì (16 ottobre) l’agenzia di stampa Agence France Presse. Jutta Urpilainen, Commissaria europea per i partenariati internazionali, ha fatto l’annuncio e ha anche detto ai giornalisti nella capitale senegalese Dakar che i fondi saranno destinati principalmente a rafforzare la capacità del Senegal di frenare il traffico di migranti e la tratta di esseri umani, oltre a sensibilizzare sui pericoli derivanti dall’uso delle rotte marittime per entrare in Europa”, si legge su Info Migrants. I dati raccolti dall’Unhcr indicano che 10.580 persone hanno lasciato il Senegal nel 2023 e hanno fatto domanda di asilo in altri paesi. I paesi di destinazione più comuni per la protezione internazionale in Europa sono Spagna e Italia. Circa l’82 percento delle domande di asilo presentate da cittadini senegalesi è stato respinto.
E ancora: “essendo la quarta economia più grande dell’Africa, i think tank sulla migrazione come l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) hanno classificato il Senegal come paese di destinazione per molti altri cittadini africani in cerca di migliori opportunità economiche. Tuttavia, da una posizione di stabilità in una regione volatile, il Senegal sta ora assistendo a un aumento dell’emigrazione a causa del peggioramento delle sue condizioni politiche ed economiche”.
5. Naufragio nel canale della Manica
Un gommone sovraccarico diretto nel Regno Unito si è capovolto ed è affondato. Nonostante le autorità marittime francesi siano riuscite a salvare 65 persone, un neonato ha perso la vita.
“L’incidente è avvenuto al largo della città francese di Wissant, ha riferito all’AFP l’autorità marittima responsabile della Manica e del Mare del Nord, aggiungendo che 65 persone sono state tratte in salvo, ma “un neonato è stato trovato privo di sensi e purtroppo dichiarato morto. Con l’ultimo naufragio il numero dei migranti morti nel tentativo di attraversare la Manica quest’anno sale ad almeno 52, un record dal 2018. Il 3 settembre morirono sei bambini e altrettanti adulti. Un mese dopo, morirono un bambino di due anni e tre adulti dopo che imbarcazioni sovraccariche si misero nei guai durante la pericolosa traversata”, riporta France 24.
E ancora: “secondo i dati ufficiali britannici, quest’anno il numero di migranti arrivati in Gran Bretagna via mare è stato in media di 53, rispetto ai 13 del 2020. Secondo i dati del Ministero dell’Interno del Regno Unito, dal 1° gennaio sono sbarcati sulle coste britanniche oltre 26.000 migranti”.
6. I nostri nuovi articoli su Open Migration
Da decenni il Libano è un paese che accoglie rifugiati provenienti dai paesi vicini. Storicamente erano stati i palestinesi, poi negli anni più recenti siriani e iracheni. Ma dopo gli attacchi israeliani in molti hanno dovuto abbandonare le proprie case e, diverse persone, stanno riattraversando i confini per lasciare il paese dei cedri. Ce ne parla Ilaria Romano.
Yousef Wahid ha perso le sue quattro figlie nel naufragio dell’11 ottobre 2013. Prima di partire, costretto dalla guerra in Libia, dalle minacce ricevute e dall’impossibilità di tornare in Siria, il suo paese, a causa anche lì della guerra e delle frontiere chiuse, aveva chiesto un visto a diversi paesi europei. Ma non gli era stato concesso e quindi, per salvare la sua vita e quella della sua famiglia, l’unica possibilità era stato metterle a rischio. Ogni anno torna a Lampedusa, per sentirsi vicino alle sue figlie, ancora ufficialmente disperse. Ce ne parla Lidia Ginestra Giuffrida.
Foto via Twitter/Sea Watch