1. Il Decreto Flussi è peggiorato con le nuove modifiche di governo
Il testo del decreto 145/2024, così come approvato oggi dalla Camera con voto di fiducia, è decisamente peggiorato dopo l’esame parlamentare. Così dichiara la campagna Ero Straniero che da tempo monitora l’andamento delle politiche migratorie italiane.
“[Non] sono state introdotte misure di garanzia per le decine di migliaia di vittime di questo sistema iniquo, come abbiamo denunciato nel dossier di monitoraggio sugli esiti dei decreti flussi nel 2022 e 2023. Si tratta di persone che hanno fatto ingresso con il decreto flussi, magari hanno anche lavorato per un certo periodo col solo nulla osta, ma che poi non sono state assunte per cause indipendenti dalla loro volontà e sono destinate a diventare irregolari e a vivere e lavorare nel nostro paese nell’invisibilità: a loro va data la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per attesa occupazione che consenta di trovare un altro impiego e ottenere i documenti, così come chiedevano diversi emendamenti presentati in I commissione nei giorni scorsi, che non sono stati approvati. Addirittura, come nel caso del ricongiungimento familiare o della possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per le vittime di sfruttamento lavorativo, gli interventi sul testo normativo hanno finito per introdurre ulteriori rigidità e ostacoli”, denuncia Ero Straniero.
E ancora: “ribadiamo la necessità di un approccio nuovo, maggiormente flessibile, come prevedono le nostre proposte – continuano dalla campagna Ero straniero- superando quote e rigidità inutili attraverso canali diversificati, con l’introduzione della figura dello sponsor, di un permesso per ricerca lavoro e di un meccanismo di regolarizzazione su base individuale, sempre accessibile, senza bisogno di sanatorie”.
2. Il governo italiano ha definitivamente annullato la trasparenza sulle frontiere
L’Italia sta facendo un passo indietro gigantesco e preoccupante in termini di trasparenza sui confini e controllo democratico sull’esercizio del potere esecutivo. Alcune delle forniture italiane alla Libia per bloccare le persone che tentano di attraversare il Mediterraneo, che sono anche di natura militare, sono probabilmente nascoste dietro un velo oscuro.
“Alla fine del 2023, il Consiglio di Stato ha stabilito che un diniego “assoluto” di accesso agli atti governativi relativi a “gestione delle frontiere e immigrazione” non è illegittimo. Ciò svuota di fatto il diritto del pubblico generale di accedere alle informazioni. Non è una cosa da poco: la conoscenza dei documenti, dei dati, delle informazioni amministrative consente, o meglio, dovrebbe consentire, la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra chi governa e chi è governato, un consapevole processo di responsabilizzazione della classe politica e dirigente del Paese”, riporta Statewatch. Di questo ne aveva parlato precedentemente il giornalista Duccio Facchini su Altreconomia: “a fine 2023 il Consiglio di Stato ha pronunciato una sentenza che riconosce come non illegittima la “assoluta” inaccessibilità di quegli atti della Pubblica amministrazione che ricadono genericamente nel settore di interesse della “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, svuotando così di fatto l’istituto dell’accesso civico generalizzato che è a disposizione di tutti i cittadini (e non solo dei giornalisti). Non è un passaggio banale dal momento che la conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, o meglio, dovrebbe consentire la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione della classe politica e dirigente del Paese”.
Viene azzerata quindi la trasparenza sulle forniture ed equipaggiamento alle milizie libiche da parte dell’Italia, riporta Facchini: “le forniture italiane per ostacolare i transiti, intanto, continuano. Negli ultimi mesi la Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere del Viminale – retta da Claudio Galzerano, già a capo di Europol – ha ripreso con forza a bandire gare o pubblicare, a cose fatte, affidamenti diretti. Anche per trasferte o distacchi in Italia di “ufficiali” libici, tunisini, ivoriani o “esperti della polizia nazionale turca”.
3. Bloccati/e in Niger in un campo finanziato da Italia e Ue
Nel centro umanitario di Agadez, in Niger, si protesta da due mesi.
“Si tratta di un campo rifugiati che detiene attualmente 1.500 persone. Sono in gran parte persone con cittadinanza sudanese, ma anche di altri paesi caratterizzati da situazioni di violenza e instabilità come Repubblica Centrafricana, Camerun, Etiopia ed Eritrea. Bambini e adolescenti sotto i 18 anni rappresentano quasi il 40% della popolazione del campo. Alcune delle persone che vi risiedono sono state portate lì in seguito a respingimenti illegali da Algeria, Libia e Tunisia”, riporta Laura Morreale su Melting Pot Europa. E ancora: “c’è una grande opacità istituzionale attorno a questo campo ed è difficile ricostruire tutta la traiettoria dalla sua inaugurazione ad oggi. Sappiamo che è attivo dal 2017 ed è sostenuto da finanziamenti italiani ed europei. Infatti, nel cartello posto all’ingresso del campo sono presenti la bandiera italiana e dell’UE e il logo del programma RDPP (Regional Development and Protection Programme) North Africa, nato nel 2015 e gestito dal Ministero dell’Interno italiano e finanziato da vari paesi europei”.
Di umanitario tale centro ha ben poco: “la protesta al centro di Agadez è iniziata il 14 settembre ed è motivata dalle pessime condizioni del campo e soprattutto dalla mancanza di prospettive di evacuazione. Il centro dovrebbe essere un luogo di transito verso destinazioni in grado di offrire protezione e opportunità, ma è diventato l’ennesima prigione a cielo aperto mascherata da operazione umanitaria. Molte persone vivono lì da anni: non possono spostarsi, non hanno accesso a lavoro e formazione, si sentono in ostaggio di decisioni prese senza consultarli”.
4. Il Regno Unito sigla un accordo con l’Iraq per rimpatriare le persone migranti
Il Regno Unito ha stipulato diversi accordi con l’Iraq per rimpatriare le persone migranti e “combattere il traffico di esseri umani”. Tali accordi sono visti come un grande passo avanti verso l’adempimento della promessa del primo ministro britannico di “sconfiggere le gang” che operano all’estero.
“Gli aspetti chiave della cooperazione concordata questa settimana includono finanziamenti del Regno Unito fino a circa 300 mila sterline (360 mila euro) per addestrare le autorità irachene alla sicurezza delle frontiere. La stessa cifra sarà destinata al “capacity building” per smantellare le bande organizzate che trafficano persone e droga […]”, riporta Info Migrants.
E ancora: “con il nuovo governo che si è impegnato ad accelerare ulteriormente le espulsioni, la firma di accordi bilaterali di rimpatrio ha sollevato preoccupazioni circa la salvaguardia dei diritti umani nei paesi in cui i migranti vengono rimpatriati”.
5. “Non c’è cibo”: migranti venezuelani trascurati nella Guyana ricca di petrolio
Dalla scoperta di enormi riserve di petrolio offshore nel 2015, la Guyana è diventata una delle economie in più rapida crescita al mondo: il suo PIL è aumentato del 32,2% solo lo scorso anno. È anche emersa come un’opzione attraente per le persone migranti venezuelane in fuga dalla crisi umanitaria del loro paese.
“Secondo i dati ufficiali, in Guyana vivono circa 25.000 venezuelani, che rappresentano circa il 3% della popolazione del paese, che conta 800.000 persone. Ma a causa dei confini porosi, della mancanza di presenza della polizia e di un inefficiente sistema di registrazione cartaceo, la cifra reale potrebbe essere molto più alta […]. Le scoperte di petrolio sono avvenute al largo della costa di Essequibo, una regione che rappresenta circa due terzi della massa terrestre della Guyana ed è contesa dal Venezuela. Nonostante l’escalation delle tensioni di confine negli ultimi anni, un numero crescente di venezuelani è migrato in Guyana, molti dei quali membri della comunità indigena Warao”, riporta il giornalista Euan Wallace sul New Humanitarian. E ancora: “Poiché la Guyana non ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati del 1951, ai venezuelani viene negato lo status di rifugiati e vengono lasciati in un limbo giuridico. Possono richiedere un permesso di soggiorno rinnovabile di tre mesi, ma il documento non consente loro di lavorare legalmente, impedendo loro di avere accesso a opportunità di lavoro adeguate. I migranti che vivono in aree remote devono percorrere lunghe distanze per raccogliere la documentazione e ottenere il rinnovo, se riescono a guadagnare abbastanza soldi per tali viaggi e per pagare il rinnovo”.
Infine: “Circa il 10% di coloro che hanno attraversato il confine dal Venezuela sono membri del gruppo indigeno Warao. Comunicando principalmente nella propria lingua, la loro cultura e il loro territorio storico sono di gran lunga antecedenti alla disputa sui confini tra Guyana e Venezuela, e spesso si stabiliscono insieme in comunità come Yarakita, un piccolo villaggio a Barima-Waini, noto anche come Regione 1”.
6. I nostri nuovi articoli su Open Migration
La sicurezza è ormai un valore associato alla destra, soprattutto quando si parla di immigrazione. Eppure sono spesso proprio le politiche di questa parte politica a metterla a rischio, non aprendo canali sicuri per l’accesso ai paesi; costringendo le persone nell’irregolarità e quindi spingendole lontane dai servizi di supporto e relegandole ai margini delle comunità, chiudendo quindi a qualsiasi ipotesi di inclusione; rinchiudendole in centri per il rimpatrio dove le condizioni di vita sono inumane, dove la salute psico-fisica ne risente. La sicurezza è invece un valore condiviso da tutti e per costruirla c’è bisogno di politiche diverse rispetto a quelle attuali. Ce ne parla Andrea Oleandri.
Foto via Twitter/Melting Pot Europa