I minivan partono in continuazione, ad ogni ora del giorno e della notte. Perché il centro Dům národnostních menšin, nel cuore della città nuova di Praga, è operativo 24 ore su 24. Lo è da giovedì 24 febbraio, giorno dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina.
Si prendono gli scatoloni e si caricano sui mezzi. Sono pieni di cibo in scatola, presidi medici, beni di prima necessità. Una volta che i minivan sono pieni di donazioni partono, direzione confine con la Polonia. Arrivati a destinazione, dopo aver scaricato i pacchi, tornano indietro, carichi di profughi che cercano di fuggire dalla guerra.
LA STRADA DI CASA
Victor è arrivato qui grazie all’ambasciata ucraina. Ha 25 anni, e da cinque mesi vive nella capitale della Repubblica Ceca per lavorare. Adesso sta cercando il modo di tornare indietro, nel suo paese. “I miei amici stanno combattendo, i miei genitori sono sotto le bombe, io non posso rimanere qui, voglio tornare in mezzo a loro”, ci racconta. Rimane più di mezz’ora nell’ufficio dell’organizzazione. Gli dicono che si trova nel posto sbagliato, perché qui non offrono passaggi per tornare indietro, ma si occupano solo di inviare materiale. Victor però insiste, insiste, e alla fine la spunta. Ottiene il permesso di salire su un minivan, di “accompagnare” l’autista. Viaggerà tra gli scatoloni, ne metterà alcuni sul grembo, ed altri nello spazio per le gambe, così da “non togliere spazio agli aiuti”, ma lui deve fare quella strada al contrario.
Lo salutiamo mentre si è già unito alla catena di braccia che fanno da sponda tra l’interno e l’esterno dell’edificio, così da accelerare l’operazione di carico dei pacchi. Ha gli occhi di chi è riuscito finalmente a trovare un modo per partire, ma allo stesso tempo di chi sa che sta per andare a fare la guerra e che, probabilmente, quello che sta per intraprendere è un viaggio senza ritorno.
Questo centro sorge a una fermata dalla metro di Muzeum, cuore pulsante della città. È qui, su questo vialone che porta alla parte vecchia della città, che si concentrano le grandi adunate. Venerdì scorso, alle 18 in punto, in collegamento Skype da un bunker di Kiyv, il presidente ucraino Zelens’kyj ha ringraziato la Repubblica Ceca dell’aiuto. E il viale era una fiumana di gente, più di 30 mila persone sono scese in piazza ad ascoltarlo dal maxischermo.
Ed è proprio qui, accanto all’imponente statua bronzea di San Venceslao, protettore della nazione, che è attivo, notte e giorno, un punto di accoglienza per i profughi ucraini. Un edificio moderno, un grande open space dove le persone possono caricare i telefoni, navigare su Internet, mangiare qualcosa e ricevere tutte le informazioni di cui hanno bisogno. È gestito dalla UEP, Ukranian European Perspective , una organizzazione no profit che opera da oltre dieci anni a sostegno della popolazione ucraina presente a Praga.
UNA COMUNITÀ NUMEROSA
Gli ucraini, infatti, costituiscono la più grande comunità straniera della Repubblica Ceca. Secondo i dati forniti dal Ministero degli Interni ceco, alla fine del 2021 erano quasi 197.000 quelli residenti legalmente.
“Qui la comunità ucraina è sempre stata numerosa – ci racconta Yevgeniy – gli uomini lavorano soprattutto come tassisti oppure nel settore edile, le donne sono impiegate nel settore dei servizi domestici”. Yevgeniy ha 35 anni, vive a Praga dal 2016 ed è originario della regione di Odessa. “Mio papà è russo, mia mamma è rumena. Sono 50% russo e 50% rumeno, e questo fa di me un perfetto ucraino”, ci dice sorridendo. I suoi genitori e i suoi nonni sono rimasti lì, sono al sicuro al momento, e lui è sempre in costante contatto con loro. Segue le battaglie sui vari canali su Telegram, più o meno ufficiali, e in questo modo fornisce loro aggiornamenti sempre freschi sullo spostamento e avanzamento delle truppe russe. Qui al centro UEP dà il suo contributo come volontario, con turni che vanno dalle otto ore in su. “Arrivano donne, bambini e persone anziane, la maggior parte di loro ha già dei contatti e una meta da raggiungere, ma ci sono alcune persone completamente smarrite, che non sanno neppure dove si trovano, non hanno mai sentito parlare in ceco, e non hanno idea di cosa fare – racconta – Si tratta soprattutto di giovani mamme con bimbi piccoli a seguito”. Qui al centro c’è sempre un pasto caldo, una zuppa o del riso cucinato dalle volontarie con ricette unicamente ucraine. “Diamo loro un po’ di ristoro, gli offriamo una sistemazione momentanea in cui appoggiarsi, e diamo anche dei vestiti e dei beni di prima necessità, soprattutto per i bambini”, spiega Yevgeniy. Al piano di sotto dell’edificio sono stipate tutte le provviste e gli aiuti che continuano ad arrivare.
COLONNE DI VESTITI
Lunghe file di vestiti, ammassati a terra, formano un sentiero a zig zag, da percorrere, con tutta calma, per cercare qualcosa che sia della propria taglia, ed anche del proprio gusto. È difficile distinguere tra volontarie e profughe, difficile capire chi sta cercando di piegare, maglietta dopo maglietta, per dare un presunto “ordine” al tutto, e chi invece sta visionando i vari capi perché non ha più niente da mettere. All’angolo è stato allestito anche un punto giochi per i bambini, con dei tappeti, matite colorate e giocattoli vari. Non c’è molto spazio, e al bando le regole sul distanziamento sociale che hanno scandito gli ultimi due anni. Arriva una mamma e lascia scivolare dalle proprie braccia la sua bimba, che subito va ad impadronirsi di un triciclo di plastica ed inizia a fare uno slalom tra le file dei vestiti, portando allegria in tutto lo stanzone.
Yevgeniy è laureato in Relazioni Internazionali, ed a queste donne cerca anche di fare capire quali sono i loro diritti, che cosa significhi lo status di rifugiato, quali le opportunità a loro disposizione. A Praga è impiegato in una grossa azienda nel telemarketing, il suo capo gli ha dato carta bianca, concedendogli giorni di ferie per concentrarsi sugli aiuti. “Sono stato fortunato – ammette Yevgeniy – altri volontari continuano a fare i loro normali turni di lavoro, e vengono qui non appena staccano. Dormiamo in media 2-3 ore per notte, ma non riusciamo mai a staccare, la nostra testa è costantemente nella guerra. Ho detto all’azienda che non tornerò più a lavorare per loro, perché adesso, per la prima volta, sento di poter essere utile alla mia gente, e di poter dare un senso ai miei studi”.
Nella Repubblica Ceca, dall’inizio del conflitto, sono arrivati più di centomila profughi ucraini. Il Ministro degli Interni, Vít Rakušan, qualche giorno fa ha affermato che circa 57 mila persone hanno già ricevuto dei visti speciali, più della metà sono andati ai bambini. Circa un quarto dei rifugiati si trova nella capitale Praga.
E lo sforzo per l’accoglienza è considerevole. Anche a Praha Hlavní Nádraží , la stazione ferroviaria più grande della Repubblica Ceca, la municipalità ha allestito una tenda che funge da punto di informazioni. I volontari sono ben riconoscibili dalla pettorina rigorosamente gialla e blu. “Non arrivano i grandi numeri, non ci sono fiumi di persone che scendono dai treni – ci racconta Nikola, volontaria al suo quarto giorno di servizio – ieri sono arrivati trecento profughi da uno stesso convoglio. Abbiamo un database dove ci sono le disponibilità di alloggio: alberghi, airB&B ma anche semplici famiglie hanno messo a disposizione stanze e case per gli ucraini, e noi cerchiamo di trovare la soluzione più ottimale per ciascuno di loro”.
Seduta su una panchina, con l’occhio fisso verso suo figlio di 8 anni che si è impossessato del trolley gigante per lanciarsi in corse improbabili con altri suoi coetanei, trasformando quell’atrio in un piccolo rally, Olga non ha voglia di guardarsi alle spalle. È una donna di statura possente, ha 38 anni e suo marito è rimasto a Kyiv. “Faceva la sicurezza in aeroporto, adesso combatte nelle file dell’esercito ucraino”, ci racconta. In passato aveva già vissuto in Repubblica Ceca, ha mantenuto dei contatti, e ora sta aspettando che una sua amica arrivi a prenderla. È reduce di un viaggio di cinque giorni, ha attraversato la Polonia e la Slovacchia a bordo di bus che ci hanno impiegato interminabili ore. Ma non vuole sentire parlare di riposo. Domani, se tutto va bene, inizierà a lavorare.
“Non starò qui a seduta ad aspettare il tempo che scorre, voglio lavorare duro e mandare quanti più soldi possibili alla mia gente”, afferma decisa. “Siamo dei combattenti, siamo degli eroi, non ci piegheremo, non ci arrenderemo”.
In copertina: volontari al lavoro alla Stazione Centrale di Praga. Foto di Romina Vinci.