La Camera dei deputati ha approvato il decreto sicurezza e immigrazione, emanato dal Consiglio dei ministri a settembre e promosso dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il provvedimento contiene diverse misure riguardanti la protezione internazionale, il sistema di accoglienza e le regole sulla cittadinanza.
Il testo era passato in Senato lo scorso 7 novembre, provocando discussioni all’interno della maggioranza: tutte le proposte di modifica erano state respinte, mentre era stato approvato un maxi emendamento del governo su quale era stato posto il voto di fiducia che aveva modificato aspetti sostanziali del decreto, rendendolo secondo associazioni ed esperti ancora più duro. Un gruppo di diciotto deputati del Movimento 5 stelle aveva dunque scritto una lettera al capogruppo del M5s alla Camera Francesco D’Uva, criticando il dl, e aveva presentato alcuni emendamenti per la discussione in Commissione Affari costituzionali di Montecitorio. Questi però erano stati tutti ritirati, accelerando di fatto la strada del decreto.
Tra le previsioni del provvedimento ci sono l’abrogazione della protezione umanitaria, il restringimento del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), l’allungamento del periodo di reclusione nei Centri permanenti per il rimpatrio (Cpr) e di quello di trattenimento negli hotspot, la revoca della cittadinanza nel caso di condanna per reati legati al terrorismo, nuovi limiti per la concessione della protezione internazionale e il decadimento dallo status di rifugiato per chi viene condannato in primo grado per alcuni reati.
L’abolizione della protezione umanitaria
Il decreto immigrazione e sicurezza cancella la protezione per motivi umanitari. Si tratta di un tipo di permesso di soggiorno introdotto in Italia nel 1998 all’interno del Testo Unico sull’immigrazione, in aggiunta allo status di rifugiato politico e alla protezione sussidiaria. Veniva rilasciato dalla questura nei casi in cui non vi fossero i presupposti per la concessione dell’asilo, ma si era comunque in presenza di “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano” oppure di persone in fuga da conflitti, catastrofi naturali e altri gravi eventi in paesi non appartenenti all’Unione europea. Anche coloro che subivano persecuzioni nei luoghi d’origine o erano vittime di sfruttamento potevano accedere a un permesso per ragioni umanitarie.
La protezione umanitaria, dunque, risultava legata anche e soprattutto a condizioni personali di vulnerabilità. In questo modo, come ha spiegato Stefano Catone di Possibile, il nostro paese ha dato piena attuazione all’articolo 10 della Costituzione, che parla di cittadini stranieri ai quali “sia impedito nel suo paese d’origine l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana” e all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, dove si trova il divieto di espellere o respingere “in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate”.
L’Italia negli ultimi anni ha fatto un grande uso della protezione umanitaria. Secondo le analisi del ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) Matteo Villa, dal 2014 al 2017 quest’ultima è stata la forma di protezione maggiormente concessa agli stranieri che ne hanno fatto richiesta. Lo scorso anno su 130 mila domande di protezione internazionale nel 25% dei casi è stata concessa quella umanitaria; il 52% delle richieste è stato respinto, all’8% è stato accordato lo status di rifugiato, a un altro 8% è stata data la protezione sussidiaria e al 7% altri tipi di protezione.
Con il decreto sicurezza e immigrazione questo tipo di permesso di soggiorno non potrà più essere concesso. L’assunto su cui si basa questa decisione è che la concessione di permesso per motivi umanitari sarebbe troppo incerta, con “ampi margini ad una interpretazione estensiva”, finendo per dare – come più volte detto da Salvini – protezione a “finti profughi” che “non scappano da nessuna guerra”.
Lo scenario che si configurerà sarà quello di un aumento esponenziale di coloro che si troveranno in una condizione di irregolarità. Villa dell’ISPI ha stimato che con l’abolizione della protezione umanitaria entro il 2020 in Italia ci saranno tra 130 e 140mila migranti che perderanno il permesso di soggiorno: “60.000 nuovi irregolari che si aggiungeranno agli oltre 70.000 nuovi irregolari nello scenario di status quo”.
Al posto della protezione umanitaria vengono introdotti dei permessi di soggiorno speciali per alcune categorie di persone (con durate differenti): per cure mediche, per le vittime di violenza, violenza domestica o grave sfruttamento anche lavorativo (ma in questo caso il lavoratore deve aver presentato denuncia), per situazioni di “contingente ed eccezionale calamità” che non consentono alla persona il rientro e la permanenza nel paese di provenienza in condizioni di sicurezza, per atti di “particolare valore civile”, per i casi di non possibilità di espulsione e respingimento verso uno Stato in cui il richiedente possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali o dove possa essere sottoposto a tortura.
Secondo Salvatore Fachile, avvocato dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), si tratta di una norma contraria alla Costituzione e al diritto internazionale: “Il dl autorizza una forma di protezione molto limitata per casi speciali valevole un anno e non è convertibile in un permesso di soggiorno se si trova una sistemazione stabile. Si può solo chiedere il rinnovo per un altro anno. Solo chi ha già il permesso per motivi umanitari ha tempo fino alla sua scadenza per dimostrare di avere un contratto di lavoro ottenendo così la regolarizzazione”. Sostanzialmente, per il legale, ci sarebbero “circa 50-60mila persone che rischiano di diventare irregolari. Molti di loro magari sono integrati ma hanno un impiego al nero, e saranno inesorabilmente spinti verso l’illegalità”.
Le limitazioni al diritto d’asilo
Nel maxi-emendamento approvato in Senato sono stati inseriti nuovi limiti per la concessione della protezione internazionale. Tra questi c’è l’istituzione di una “procedura per la domanda di protezione manifestamente infondata”, e la redazione da parte dei ministeri degli Esteri, dell’Interno e della Giustizia di un elenco di “paesi d’origine sicuri” basato sulle informazioni fornite dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo. Se il richiedente proviene da uno di questi paesi, dovrà dimostrare di avere gravi motivi che giustifichino la protezione. Questo principio, secondo una scheda del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR) costituisce “un’inversione dell’onere della prova, in contrasto con il principio generale che prevede un onere ripartito tra lo Stato ed il richiedente”.
Inoltre, una domanda di asilo potrà essere rigettata se il richiedente può essere rimpatriato in un’altra zona dello stesso paese considerata sicura. In questo modo, dice il CIR, si pone una grande “discrezionalità nell’esame delle domande di asilo”, e vengono limitate “fortemente le possibilità di protezione”.
Per il vicepresidente di ASGI Gianfranco Schiavone, poi, la nozione di “paese sicuro” è pericolosa poiché “le domande di protezione sono per definizione individuali ovvero legate alla condizione specifica di un richiedente. Esaminare invece una domanda ritenendo già che un Paese di origine sia ‘sicuro’ crea una situazione di pregiudizio sostanziale nell’esame della domanda stessa e dà ampi margini per l’esercizio di un’influenza politica molto forte del potere esecutivo sull’organo di valutazione”.
Lo smantellamento dello SPRAR
Con il nuovo decreto vengono ristrette le maglie dello SPRAR, il Sistema per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati gestito dagli enti locali e caratterizzato da piccoli numeri e un’accoglienza diffusa. L’accesso era consentito ai richiedenti asilo e a coloro a cui era stata riconosciuta la domanda di protezione internazionale (lo status di rifugiato o la sussidiaria).
In base alla nuova normativa, invece, potranno beneficiarne solo i titolari di protezione internazionale o di permessi di soggiorno “speciali” e i minori stranieri non accompagnati. Dal sistema vengono quindi esclusi i richiedenti asilo che ancora aspettano il risultato della domanda.
Per questi ultimi l’unica opzione sarà la permanenza nei CAS, i centri di accoglienza straordinaria.
Fino a questo momento – almeno sulla carta – i CAS costituivano la cosiddetta “prima accoglienza”, ossia luoghi dove soddisfare le “esigenze essenziali” (identificazione, avvio dell’esame della domanda d’asilo, controlli medici); nella “seconda accoglienza”, invece, rientravano i progetti dello SPRAR che si attivavano una volta esaurite le pratiche preliminari. Nel decreto questa distinzione cade.
Come sottolineato dalle associazioni che si occupano di diritti umani riunite nel Tavolo asilo, in questo modo si privilegiano grandi centri d’accoglienza collettivi con standard qualitativi nettamente inferiori a quelli dello SPRAR, che “è l’unico a garantire i percorsi di inclusione sociale con il protagonismo degli enti locali e una piena trasparenza nella gestione dei fondi”, riducendo il rischio di infiltrazioni criminali o speculazioni. Stando ai numeri diffusi dall’ultimo Atlante SPRAR, nel 2017 oltre 25mila beneficiari hanno frequentato almeno un corso di lingua italiana, 15.976 hanno seguito un corso di formazione professionale e svolto un tirocinio formativo, 4.265 hanno trovato un’occupazione lavorativa, tutti i minori accolti sono stati inseriti a scuola.
Per ASGI “l’eliminazione dello SPRAR a favore di un’accoglienza dei richiedenti asilo soltanto in strutture governative o emergenziali” presenta profili di incostituzionalità. In particolare violerebbe l’articolo 117 della Costituzione perché in contrasto con gli articoli 17 e 18 sulle condizioni di accoglienza della Direttiva 2013/33/UE. Il decreto, infatti, non prevede “un sistema di accoglienza strutturato e con standard minimi conformi alla Direttiva circa l’accoglienza nei CAS, i quali a questo punto sarebbero ben poco straordinari, ma ordinari, senza che si prevedano precise assicurazioni circa il rispetto degli standard concernenti l’apprendimento della lingua, il necessario orientamento legale, il sostegno delle categorie più vulnerabili, l’assistenza psicologica, la tutela della vita familiare, le normali condizioni di vita”.
Nel corso di un’audizione al Senato Daniela Di Capua, direttrice dello SPRAR, ha espresso preoccupazione circa l’impossibilità per i richiedenti asilo di accedere al sistema di accoglienza degli enti locali. Queste persone – in uscita dalla prima accoglienza ma prive di strumenti per una loro anche parziale autonomia – rischiano di finire preda di lavoro nero e criminalità, creando nuove sacche di marginalità sociale.
È un timore condiviso anche dal prefetto Mario Morcone, direttore del CIR, secondo cui “lo smantellamento dello SPRAR” determinerà “derive di esclusione sociale che inevitabilmente renderanno più fragili le persone che arriveranno in Italia”.
Foto di copertina via Flickr (CC BY 2.0)