Il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) è il primo circuito di accoglienza ordinario, e quindi lontano dal criterio dell’emergenza che altrimenti governa il funzionamento dei centri per stranieri in Italia. È costituito da una rete di enti locali che si impegnano nella realizzazione di progetti di “accoglienza integrata”, con lo scopo di superare la mera distribuzione di vitto e alloggio e garantire invece la costruzione di veri e propri percorsi individuali di integrazione.
Cosa vuol dire di preciso, e come funziona in pratica? Andiamo a guardare da vicino questa innovativa rete di accoglienza e solidarietà che trova il proprio cuore pulsante nei comuni italiani, partendo dai dati del recente Atlante Sprar 2016.
La straordinaria crescita di un sistema ad adesione spontanea
C’è una prima cosa fondamentale da rilevare: il principio di volontarietà dell’adesione allo Sprar è irrinunciabile, pena lo snaturamento del sistema stesso. Gli enti locali non sono (e non possono essere) costretti ad aderire alla rete di accoglienza, bensì scelgono di farlo. Per questo è tanto significativa la crescita esponenziale del sistema registrata nel corso di poco più di dieci anni – dai poco più di 1000 posti del 2003 ai 26 mila del 2016, con un boom a partire dal 2012.
I numeri dei posti in Sprar, per quanto in crescita, restano però ancora insufficienti a garantire adeguata accoglienza a quanti arrivano e chiedono asilo in Italia: nel 2016 solo il 15 per cento di questi è entrato nel circuito Sprar, mentre la stragrande maggioranza finisce invece nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), strutture di ispirazione e gestione problematica. Per questo è da considerare importante la recente direttiva del Ministero dell’Interno volta a far crescere e a consolidare lo Sprar, anche attraverso la predisposizione di incentivi alla partecipazione.La distribuzione territoriale disomogenea dell’accoglienza (e il fatto che a farsene carico sia soprattutto il Sud)
Permane una forte disomogeneità nella distribuzione dell’accoglienza sul territorio nazionale. Fra le prime cinque regioni col maggior numero di persone accolte rispetto al totale italiano troviamo: tre regioni del Sud (Sicilia, Calabria e Puglia – che da sole mettono a disposizione il 40 per cento dei posti nazionali e la maggioranza di quelli dedicati a minori soli e a soggetti “Dm/Ds”, che sarebbero le persone con disagio mentale o gravi problemi di salute), una regione del Centro (il Lazio) e una regione del Nord (la Lombardia).
La Sicilia è la regione che più di tutte si fa carico dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati nella rete Sprar: con oltre 4.800 posti, che rappresentano il 19,4 per cento del valore nazionale, sorpassa infatti, per un soffio e per la prima volta, il Lazio (dove i posti sono poco più di 4.300, il 19,3 per cento del totale). La Sicilia detiene poi il primato per l’accoglienza dei soggetti più vulnerabili – sia per i minori soli che, ancor di più, per le persone con gravi problemi di salute o disagio mentale; in Sicilia si trova infatti addirittura il 40 per cento dei posti Sprar per queste categorie. Resta comunque nel Lazio il primato indiscusso della città con il maggior numero di posti Sprar: Roma, con oltre 2.800 posti, lontanissima dal secondo posto dove ci sono ex aequo Bologna e il piccolo comune catanese di Vizzini con circa 350 posti. La Lombardia si conferma la regione più accogliente del Nord, mentre la Valle d’Aosta mantiene il suo indiscusso primato negativo, rimanendo ferma su zero posti messi a disposizione.
C’è tanta vulnerabilità
Negli anni, l’esperienza dei progetti di accoglienza ha portato a rilevare che le condizioni di vulnerabilità sono molto diffuse tra la popolazione dei migranti forzati (cioè in fuga da guerra e persecuzioni). Questo è vero anche nello Sprar: il 22 per cento degli accolti nel 2016 ha avuto caratteristiche di vulnerabilità, un dato in aumento rispetto all’anno precedente, quando a rientrare in questa categoria era circa il 18 per cento. Lo Sprar prova a garantire la efficace presa in carico sul territorio delle diverse vulnerabilità – anziani, donne singole in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime di tortura o altre forme gravi di violenza – attraverso un omogeneo innalzamento degli standard di accoglienza, in modo che tutti i centri siano equipaggiati per una gestione ordinaria delle diverse forme di fragilità.
Due le categorie per cui si sono mantenuti percorsi di accoglienza specifici: oltre ai minori (che vedremo più avanti nell’articolo), ci sono infatti i progetti rivolti alle persone con disagio mentale e disabilità. Nel 2016 – con le le segnalazioni di casi di vulnerabilità psichica in aumento (398 nel 2016, un terzo in più delle 269 del 2015) – i beneficiari cosiddetti “Dm/Ds” sono 442, di cui la stragrande maggioranza uomini (76,7 per cento) e in parte donne (23,3 per cento e minori (9,5 per cento). Da sottolineare come sia altissima la percentuale di donne nigeriane appartenenti a questa categoria (il 43,8 per cento).In aumento i minori soli
Il 2016 è stato anche l’anno del record di minori soli (Msna): ne sono arrivati oltre 25 mila nel 2016, più del doppio dell’anno precedente. Il sistema Sprar, per quanto in crescita, non ha però la capacità per accoglierli tutti in modo adeguato: in 2.898 sono stati accolti nello Sprar – 1000 in più del 2015, ma comunque evidentemente non abbastanza. Insomma: “accoglienza a doppio binario” per i minori soli tanto quanto (se non di più) per gli adulti. I minori sono inseriti nello Sprar soprattutto al Sud – record in Sicilia, dove sono quasi 900, e poi ce ne sono più di 200 sia in Calabria e che Puglia – ma al Nord spicca l’accoglienza dell’Emilia Romagna, con i suoi 430.
Chi sono, da dove e come arrivano in Italia gli ospiti dello Sprar?
Da dove provengono, come sono arrivate in Italia e a che titolo si trovano sul territorio nazionale le persone accolte nella rete dello Sprar? Ci sono sempre moltissimi nigeriani, e molti gambiani, pakistani e malesi; poi afghani, senegalesi, somali, ivoriani, ghanesi e bengalesi. La stragrande maggioranza (oltre il 70 per cento) è arrivata in Italia attraverso la pericolosa rotta mediterranea centrale, ma ci sono anche alcuni che hanno valicato frontiere terrestri o aeroportuali. E quelli che sono stati rispediti indietro da altri paesi europei (soprattutto Norvegia, Svizzera, Svezia, Germania e Austria), sulla base del Regolamento di Dublino – i cosiddetti “dublinati”, che possono chiedere asilo solo nel primo paese d’arrivo, che è spesso l’Italia.
Nello Sprar ci sono soprattutto uomini, ma la componente femminile è in leggero aumento (tra il 2015 e il 2016 l’incidenza della componente femminile sul totale degli accolti è salita dal 12 al 13 per cento). Per quanto concerne le fasce d’età, la maggior parte sono giovani (il 46 per cento ha tra i 18 e i 25 anni, il 22 per cento tra i 25 e i 30) e sono in aumento anche i giovanissimi (da zero e dieci anni). Delle nazionalità abbiamo già detto, ma può essere qui utile, incrociando i dati demografici, notare la percentuale massiccia di presenze di donne nigeriane e di minori della stessa nazionalità – rispettivamente il 40 per cento e il 25 per cento del totale delle donne accolte e dei minori accolti.
Quel percorso lungo e difficile per l’asilo
A margine, alcune considerazioni sul titolo di soggiorno dei beneficiari in Sprar e le difficoltà del percorso per (provare a) ottenere l’asilo. Sui titoli di soggiorno dei beneficiari dello Sprar si rileva un cambiamento importante: se nel 2015 gli accolti sono stati prevalentemente richiedenti protezione internazionale, nel 2016 sono i titolari di una forma di protezione a rappresentare la maggioranza (se il 47 per cento degli accolti è in attesa di una decisione sulla propria richiesta di asilo, il 53 per cento è invece già titolare di una qualche forma di protezione: il 10 per cento sono rifugiati, il 15 per cento beneficiari di protezione sussidiaria e il 28 per cento di protezione umanitaria). Dato senza dubbio connesso alla circolare del Ministero dell’Interno del 5 maggio 2016 che privilegia i titolari di protezione rispetto ai richiedenti asilo per l’inserimento nel sistema di accoglienza diffusa.
Tanti restano comunque i richiedenti asilo e, tra di loro, i numerosi che fanno ricorso dopo aver ricevuto un diniego dalla Commissione Territoriale (in regime pre legge Minniti, e quindi con l’appello dopo il ricorso in primo grado); l’ufficio centrale dello Sprar ha avuto a disposizione un campione piuttosto ampio per studiare tempi e punti critici del procedimenti amministrativi e giudiziari per l’asilo – rispettivamente, circa 5.500 richiedenti e quasi 5 mila ricorrenti. Da questo studio emerge innanzitutto la lunghezza dei tempi di attesa per l’esame e la risposta alla domanda/ricorso: dai dati raccolti nello studio Sprar si evince che, in media, l’audizione in Commissione territoriale avviene 252 giorni dopo la presentazione della domanda e che la notifica dell’esito della richiesta di protezione internazionale avviene 64 giorni dopo l’audizione. Il secondo dato è che in Commissione si registrano soprattutto dinieghi: in quasi l’85 per cento del campione di casi la protezione è stata infatti negata.
Poi c’è il ricorso in tribunale. In media, guardando ai 4.966 ricorrenti in primo grado analizzati, la presentazione del ricorso avviene 24 giorni dopo la notifica dell’esito della richiesta in Commissione; da lì, c’è prima da attendere che venga fissata la data in tribunale (85,7 giorni dalla presentazione del ricorso), poi lo svolgimento dell’udienza (138 giorni dalla fissazione dell’udienza) e poi l’attesa per l’esito della decisione di primo grado (100 giorni dall’udienza, equivalenti a quasi 291 giorni dalla presentazione del ricorso). Tra chi arriva a questo punto, la proporzione di ricorsi accolti e respinti si bilancia, coprendo rispettivamente il 49,8 per cento e il 50,2 per cento – che vuol comunque dire che metà di coloro che hanno ricevuto un diniego in Commissione si vede riconosciuta una forma di protezione in sede di ricorso. Andando ancora avanti – qualcosa che ai richiedenti asilo di oggi non sarà più concesso, avendo la nuova legge Minniti-Orlando cancellato il grado di appello – i tempi continuano ad essere lunghi (135 giorni dalla presentazione del ricorso per lo svolgimento dell’udienza e 207 giorni dallo svolgimento dell’udienza per la notifica dell’esito della stessa), ma tra chi arriva fino in fondo, la metà dei ricorrenti rifiutati Tribunale si vede riconosciuta una forma di protezione in sede di appello. Un dato che conferma che tanti dinieghi non significano altrettanta infondatezza e che all’origine della lentezza del procedimento di asilo e dell’intasamento del sistema giudiziario non vi è insomma alcuna “invasione di ricorsi infondati”.
Foto di copertina: il laboratorio creativo “Partiamo” per i giovani accolti nei progetti Sprar del GUS a Fabriano (via GUS).