I diritti dei cittadini Ue al centro dello stallo dei negoziati
Il negoziato in corso fra Ue e Regno Unito sulla Brexit a Bruxelles – protagonisti il Ministro della Brexit David Davis e il capo negoziatore della Ue Michel Barnier – si presenta come un sostanziale stallo con un punto cruciale al centro: i diritti dei cittadini europei nel Regno Unito nello scenario post-Brexit e, in correlazione, i diritti dei cittadini britannici nella Ue.
Non è affatto chiaro, infatti, se dopo il marzo 2019 – quando dovrebbe essere finalizzato l’accordo sul ‘divorzio’ tra Londra e i 27 ex partner dell’Unione europea – i diritti dei cittadini europei nel Regno Unito resteranno gli stessi di prima del referendum o se verranno invece limitati. I segnali che il governo di Theresa May ha mandato finora sembrano andare nella seconda direzione, e negli ultimi mesi i cittadini europei hanno sperimentato un clima difficile.
Ad agosto, il ministero dell’Interno britannico ha inviato una lettera a 100 cittadini comunitari intimando loro di lasciare il Regno Unito pena il rischio di incorrere nella deportazione – lettera poi definita dal Primo Ministro un “malcapitato errore”. Poco dopo, documenti ottenuti dall’Observer, analizzati in un articolo del 19 agosto, hanno dimostrato che negli ultimi mesi lo stesso ministero ha utilizzato il database Chain (The Combined Homelessness and Information Network) dell’organizzazione St.Mungo per la tutela dei senzatetto, ma allo scopo preciso di deportare senzatetto comunitari.
E infine, nel corso dell’ultimo anno, a seguito del referendum, sono stati riportati diversi casi di cittadini europei che si sono visti rifiutare la possibilità di affittare o acquistare immobili e di ottenere lavori o periodi di ferie. Cosa che ha spinto il Ministro per le Eguaglianze, Nick Gibb, ad aprire una inchiesta, a seguito dell’invio di un dettagliato dossier sul tema da parte della organizzazione The3Million, che intende rappresentare i diritti dei cittadini Ue nel Regno Unito.
Chi sono i cittadini Ue nel Regno Unito
Secondo i dati riportati dal Sondaggio Annuale sulla Popolazione pubblicato ad agosto 2017 dall’Ufficio Nazionale di Statistica (Ons), nel 2016 il numero dei cittadini polacchi nel Regno Unito ha raggiunto il milione, confermando la comunità polacca come la prima tra i cittadini comunitari e non solo, secondo una tendenza di incremento cominciata nel 2004, anno dell’entrata di Varsavia nel blocco comunitario. Mentre la comunità irlandese, terza dopo quella indiana, non ha visto un particolare incremento negli ultimi anni e si attesta sulle 335 mila unità, la comunità rumena e quella italiana sono cresciute rispettivamente di 95 mila e 41 mila unità per un totale rispettivo di 328 mila e 233 mila persone. Questi dati, tuttavia, possono fornire soltanto una mappatura parziale dei cittadini comunitari, che nel Regno Unito sono 3.2 milioni di persone (da cui il nome dell’associazione che aspira a tutelarli).
Per quanto riguarda le professioni esercitate dai cittadini Ue, consultando i dati Ons che fanno parte di International Immigration and the labour market, UK, pubblicati il 12 aprile 2017, e utilizzando i dati dal gennaio 2013 al dicembre 2015 dell’Annual Population Survey, si rileva una percentuale di manager, dirigenti e alti funzionari inferiore al 10 per cento, che sale al 16 per cento per medici, insegnanti, programmatori, sviluppatori di software e infermieri. Tuttavia, è molto più alta (sopra il 20 per cento) la percentuale di cittadini comunitari che lavorano come addetti alle pulizie o in altri ruoli non qualificati, percentuale che nel caso dei cittadini britannici è invece inferiore al 10 per cento – a dimostrazione che fra i due tipi di cittadini c’è una sostanziale disparità.
Nel 2014 è stato pubblicato sull’Economic Journal “The Fiscal Effects of Migration in the UK”, un paper di Tommaso Frattini dell’Università di Milano e Christian Dustmann dell’University College di Londra che evidenzia un campione di cittadini comunitari, giovani e istruiti, che da una parte vedranno i loro salari crescere restando nel Regno Unito, grazie a vari fattori fra cui il miglioramento delle competenze linguistiche, ma anche un certo numero di cittadini che lasceranno il Regno Unito dopo un periodo di lavoro. “The Fiscal Effects of Migration in the UK” rileva anche come i cittadini comunitari ricevano meno benefit e servizi in proporzione alla loro contribuzione fiscale rispetto ai cittadini britannici.
In considerazione di questi dati, e in un clima politico sempre più problematico, i cittadini europei nel Regno Unito hanno deciso di fare campagna attiva per i propri diritti.
The 3Million e la campagna per i diritti dei cittadini comunitari
L’organizzazione chiamata The3Million è stata fondata nel giugno 2016 a Bristol con l’obiettivo di garantire i diritti dei cittadini comunitari, e lo scorso 13 settembre ha tenuto una giornata di lobby di massa denominata The Citizens’ Rally, con il sostegno di numerosi gruppi come Migrant Rights Network e in sinergia con British in Europe, un’organizzazione che ha uno scopo simmetrico: quello di tutelare i diritti del milione e 200 mila cittadini britannici che vivono e lavorano nella Ue.
Nel corso della giornata, l’organizzazione ha incontrato alcuni membri del Parlamento e ha concluso la giornata con un comizio a Trafalgar Square. Costanza de Toma, esponente dei 3Million dal gennaio di quest’anno, spiega a Open Migration lo stato attuale della discriminazione verso i cittadini comunitari, per esempio negli annunci di lavoro – che vengono presentati “in base al passaporto che hai, qualcosa di assolutamente illegale, ci sono cittadini europei che non hanno potuto avere il contratto di affitto o rinnovare il mutuo. Quando ci viene detto di stare tranquilli perché come cittadini europei non verremo deportati, resta tuttavia da considerare la qualità della vita”.
De Toma, che all’interno di The3Million presiede EU27, il gruppo che segue i negoziati tra il Regno Unito e l’Unione europea, sull’andamento delle trattative dice: “ci hanno ascoltato [La Commissione e il Consiglio] e ci sono dei punti sui quali non siamo ancora d’accordo e vorremmo che la Ue cambiasse posizione, ma ci sono più punti sui quali vorremmo che fosse l’Inghilterra a cambiare posizione. Abbiamo fede e continuiamo la nostra battaglia per i diritti”.
Il prossimo turno di negoziati comincerà il 25 settembre e a questo seguirà un nuovo turno di negoziati ogni mese fino a dicembre. “Entro dicembre”, dice De Toma, “la Ue dovrà stabilire se si è progredito abbastanza nei negoziati per poi proseguire nella seconda fase, quella sugli accordi commerciali. Ovviamente l’Inghilterra spinge per passare a quella fase, mentre invece la Ue sta frenando, non solo per via di quello che sta succedendo ai diritti dei cittadini comunitari, ma anche sull’accordo finanziario, che è il nodo più spinoso”.
Secondo quello che viene chiamato settled status (che vuole garantire uguali diritti ai cittadini Ue che sono in Gran Bretagna già da cinque anni), i diritti dei cittadini comunitari non verrebbero più garantiti dalla Corte Europea di Giustizia, e non c’è chiarezza sul futuro del sistema di residenza permanente attualmente in vigore. Dimitri Scarlato, membro dei 3Million, musicista, compositore, direttore di orchestra e lecturer al Royal College of Music specifica: “Noi siamo contro il settled status, vogliamo mantenere gli stessi diritti che avevamo prima del referendum e per questo stiamo facendo lobbying”.
Brexit e Brexodus
Nel clima attuale, tuttavia, non tutti i cittadini europei sono disposti ad affrontare l’incertezza del loro status futuro. L’ infermiere spagnolo Joan Pons Laplana, nel Regno Unito da 17 anni e membro dei 3Million, sottolinea ad esempio come gli 80 mila cittadini comunitari che lavorano per il Sistema Sanitario Nazionale stiano progressivamente lasciando o progettando di lasciare il Regno Unito. Il vuoto occupazionale su questo fronte vede gli ospedali britannici a corto di personale, con ben 40 mila infermieri in meno.
Dopo il risultato del referendum, 122 mila cittadini comunitari hanno deciso di lasciare il Regno Unito. Questo numero sembra destinato ad aumentare nel corso dei prossimi mesi. M., cittadina brasiliana-portoghese, insegnante di lingue e giornalista, ci spiega: “La Brexit ha avuto un’influenza determinante nel ripensare il mio status di migrante nel Regno Unito. Ho due nazionalità e quando sono emigrata dal Brasile dieci anni fa l’ho fatto grazie al mio passaporto europeo. E’ orribile pensare di poter vedere la mia libertà di movimento colpita dalla Brexit ”.
Quella di M. è solo una voce fra quelle dei numerosi cittadini europei che stanno valutando la possibilità di abbandonare il Regno Unito. Hannah, 27 anni, giornalista e studentessa inglese, sta pensando a sua volta di partire per l’Europa con il compagno anglo-tedesco, nonostante il fatto che creda che si giungerà a una forma di accordo. “Voglio partire prima che la Brexit venga implementata. perché non sono sicura di come saranno le cose in seguito”.
Hannah sottolinea come l’impatto della Brexit colpirà in modo gravoso anche i giovani britannici, avvantaggiati in passato dalla possibilità di studiare in un paese europeo con tasse universitarie molto inferiori a quelle britanniche, notoriamente alte, come dimostrato dal considerevole debito studentesco nel paese.
Mentre i negoziati continuano, le incertezze e il senso di insicurezza per i cittadini comunitari nel Regno Unito rimangono forti, a confermare le dichiarazioni del Ministro per il Commercio Internazionale Liam Fox, che lo scorso dicembre aveva indicato i cittadini Ue come una delle carte principali che il governo May avrebbe potuto utilizzare a proprio vantaggio nel corso delle trattative sulla Brexit.
In copertina: esponenti dei 3Million si preparano ad incontrare membri del Parlamento a Westminster per esporre le loro istanze, durante il Citizens Rally del 13 settembre 2017 (fotografia di Angelo Boccato, come tutte le immagini di questo articolo)