Fra gli hangar del poligono industriale di Tarajal, poco lontano da una delle “navi” trasformate in centri di prima accoglienza, sopravvivono solo pochissimi negozi. In quello che un tempo era il cuore degli scambi commerciali e dell’economia di Ceuta, oggi ci sono viali vuoti, saracinesche abbassate e capannoni in vendita che nessuno vuole acquistare. I clienti si contano sulle dita di una mano, come pure le attività che caparbiamente resistono. Tarajal è una sorta di cittadella fatta in lamiera e muratura, color ocra, rosso e blu, circondata da una recinzione di ferro composta da pali verticali dai colori sgargianti, che oggi stridono con quello stato di quiete e abbandono, inimmaginabile fino a due anni fa, quando era ancora “el pulmón económico de Ceuta”, al quale la pandemia e l’ultima emergenza migratoria hanno dato solo il colpo di grazia.
Fra le poche porte aperte, anzi semichiuse, c’è quella del negozio di Brahim, nato a Ceuta da genitori di Tangeri: due locali stretti e profondi, comunicanti fra loro, dove compaiono da un lato abbigliamento, tessili e qualche pezzo di arredamento, dall’altro articoli per la casa. “Da quando la frontiera è chiusa siamo alla rovina totale – racconta il titolare, che gestisce l’attività insieme alla moglie – e in più hanno deciso di collocare qui i migranti arrivati a migliaia nel maggio scorso, e anche quei pochi clienti che venivano a comprare non si fanno più vedere. Non si tratta di un problema di sicurezza perché la situazione oggi è tranquilla, c’è anche la sorveglianza, non abbiamo mai avuto paura, ma semplicemente un polo industriale è una struttura incompatibile con un centro di accoglienza, non sono attività che possono coesistere nello stesso posto, tutto qui.”
Il commercio transfrontaliero fra legalità e illegalità
I problemi del poligono cominciano ben prima dell’ultima grande ondata migratoria del 17-19 maggio, e sono pure antecedenti alla pandemia, quando la chiusura della frontiera con il Marocco è stata confermata. Fino al 2017 il passaggio da un paese all’altro, per le persone ma ufficialmente non per le merci, avveniva dal valico del ponte Biutz, chiamato anche la “gabbia dei facchini”, un serpentone metallico lungo un centinaio di metri dove ogni giorno si ritrovavano in coda in migliaia, soprattutto donne, le porteadoras o mujeres mulas, cariche di merci fino allo sfinimento, e pronte a traghettare i loro enormi pacchi oltre la recinzione. Questa drammatica forma di trasporto è nata per la mancanza della dogana commerciale sul posto, che per il Marocco avrebbe significato l’ammissione della sovranità spagnola su Ceuta, mai riconosciuta. A un prezzo altissimo in termini di vite umane, più volte stroncate dal caldo e dalla fatica, il sistema ha permesso di contenere costi e tempi del trasporto regolare, che prevedeva il passaggio via mare dal porto di Ceuta a quello di Algeciras, sulla sponda della “penisola” spagnola, e da lì verso Tangeri.
Uno spazio dai contorni sfumati fra il legale e l’illegale, come in tutti i confini “molli” delle terre contese e di frontiera, al quale si è cercato di porre rimedio nel marzo di quattro anni fa, quando è stato aperto il valico merci Tarajal II, con nuovi accessi che avrebbero dovuto sradicare il trasporto a spalla, e che hanno imposto l’uso di carrelli e i limiti di peso. Un investimento milionario che però non ha portato ai risultati sperati, tanto che trenta mesi dopo, il 9 ottobre del 2019, il Marocco ha chiuso le porte nell’intento di fermare questa economia di sussistenza, fino al 13 marzo, quando la frontiera è stata ufficialmente bloccata a causa del Covid.
“Con il Marocco c’è sempre stato uno scambio commerciale continuo – ricorda Brahim – anche noi compravamo da loro e tanti venivano qua per rifornirsi e rivendere al dettaglio nel loro paese. Ora da soli fatichiamo.” Delle 39 attività che due anni fa erano ancora aperte ne sono rimaste 11: molti di questi imprenditori hanno perso gli accordi di esclusiva che avevano con i fornitori, perché non riescono più a soddisfare le vendite minime annue, e almeno la metà dei loro dipendenti è già stato licenziato.
Il centro di Ceuta
Tornando verso la città, costeggiando la spiaggia del Tarajal, s’incontrano alcuni giovani che camminano in piccoli gruppi, cercando di proteggersi dal sole. Sono marocchini e subsahariani soprattutto, e arrivano dalle “navi” del poligono. Di giorno passano il tempo sulla spiaggia oppure nelle strade del centro, seduti all’ombra sulle panchine. Lungo il Paseo de la Marina Española c’è una piccola bottega di liquori gestita da una signora distinta, che racconta le difficoltà create anche in città da questa grande ondata migratoria. “Ceuta è sempre stata accogliente, finora non abbiamo mai avuto problemi, ma adesso la situazione è cambiata – dice – i migranti qui ci sono sempre stati ma i numeri erano controllabili, mentre adesso parliamo di migliaia di persone, non solo giovani solitamente con meno di trent’anni, ma anche tanti minori non accompagnati. I ragazzini li hanno proprio ingannati dicendogli che potevano venire liberamente e che avrebbero pure incontrato Cristiano Ronaldo. Insomma è stato tutto programmato dal governo marocchino, ma ora il problema di come gestire la situazione lo abbiamo noi. Con il commercio facciamo sempre più fatica e sono tante le attività che chiudono, e anche loro non vogliono restare qui, ma attraversare il mare e andare nella penisola, come i nostri giovani che non trovano lavoro, se non ereditano l’attività di famiglia o prendono un posto statale.”
La percezione della distanza dalla Spagna è palpabile, anche per chi si sente spagnolo a tutti gli effetti, proprio come la titolare di questo negozio: “purtroppo siamo stati lasciati soli a gestire tutto, non abbiamo avuto nessun aiuto dal governo.”
Ceuta è una piccola comunità con una densità abitativa molto alta: poco meno di 85 mila persone si concentrano in un territorio di circa 19 km quadrati, stretti tra la frontiera con la recinzione che corre lungo la montagna dalla Playa del Tarajal fino a Benzu, l’estremo opposto che si trova a poco più di 8 km di distanza. Un lembo di terra dove non ci sono terreni da coltivare, né industrie, e la disoccupazione è la più alta d’Europa. Anche il turismo non è mai stato particolarmente florido, perché ha sempre dovuto competere con quello della Costa del Sol e del Marocco.
“Prima almeno qualche taxi in più si prendeva – ricorda sconsolato un tassista, fermo in fila con altri colleghi lungo il Paseo Alcade Sánchez Prados, un grande viale a due corsie che dalla Plaza de Africa porta dritto fino alla zona pedonale – oggi devi lavorare dieci ore per guadagnare venti euro al giorno. Non è più sostenibile, ma qui non c’è lavoro, non ci sono prospettive, a meno che non si entri negli uffici pubblici come impiegati amministrativi o in alternativa in polizia. Non c’è altro, perché non produciamo nulla, importiamo e basta, e se è vero che abbiamo una tassazione agevolata in Europa, non ci ripaga delle difficoltà.”
Il tasso totale di disoccupazione a Ceuta è del 24,2%, ma se si considerano solo gli under 25 sale al 68,7%. Dalla chiusura della frontiera a oggi si stima che abbiano perso il lavoro circa 3mila e 600 persone fra negozianti, addetti alle pulizie e impiegati nel turismo. Almeno altre 4 mila sono rimaste senza una fonte di sussistenza con la fine del commercio transfrontaliero, e molti cittadini marocchini con un impiego a Ceuta hanno dovuto scegliere se abbandonare il posto di lavoro o restare bloccati nell’enclave spagnola fino a data da destinarsi.
Spagna-Marocco, interdipendenti e rivali
Della questione dell’interdipendenza commerciale, anche di contrabbando, fra i due paesi, si trova traccia già nel primo accordo fra Spagna e Marocco firmato nel 1992 e relativo alla circolazione dei cittadini stranieri entrati irregolarmente in territorio spagnolo, che faceva seguito all’avvio di una cooperazione bilaterale inaugurata l’anno prima con il Tratado de amistad, buona vecindad y cooperación. Nell’accordo non è esplicitamente nominata Ceuta (né Melilla, con situazione similare) ma si accenna alla questione dei lavoratori transfrontalieri e ai problemi delle condizioni di impiego e di soggiorno.
Alla relazione economica spesso controversa perché ha portato sussistenza alla popolazione di frontiera ma anche perdite al governo in termini fiscali, si aggiunge la pressione migratoria, dato che Ceuta subisce la stretta dei flussi provenienti dal Marocco, ma pure il regno di Rabat, oltre a essere paese di partenza, negli ultimi anni è diventato la destinazione di tanti subsahariani, senza avere la capacità economica per assorbirne l’immigrazione. Soltanto nel 2014 e nel 2016 ha lanciato due campagne per regolarizzare oltre 50 mila stranieri, e a tutt’oggi continua a rappresentare il secondo più importante partner europeo per il “controllo” delle frontiere.
I rapporti fra Spagna e Marocco sono ulteriormente complicati dalla controversia sulle zone di pesca nell’Oceano Atlantico: l’importanza e la dimensione del mercato ittico di Madrid a livello europeo e mondiale è stata alla base degli accordi siglati fra i due stati già negli anni Ottanta e Novanta, quando le concessioni marocchine hanno aperto a Rabat la possibilità di esportare in Europa i prodotti agricoli. Nel 1999 però il Marocco ha scelto di limitare progressivamente le autorizzazioni di pesca nelle sue acque, fino a rivendicare una zona economica esclusiva che si estende a 200 miglia nautiche al largo delle coste del Sahara Occidentale, l’altro grande punto di frizione in fatto di sovranità nazionale. Nel 2018 la Commissione Europea ha proposto un nuovo protocollo in merito ma il percorso di cooperazione si è arenato proprio nelle acque del territorio conteso.
Nel quadro della disputa per l’autonomia del Sahara Occidentale, si inserisce anche l’ultimo episodio di tensione fra i due paesi del maggio scorso, dove l’ondata migratoria incontrollata è stata ritenuta da Madrid la risposta marocchina al ricovero in Spagna di Brahim Ghali, il leader degli indipendentisti del Fronte Polisario, malato di Covid. Un’accoglienza dettata da ragioni umanitarie secondo la versione ufficiale del governo spagnolo, l’ennesima presa di posizione contro l’integrità territoriale marocchina secondo Rabat.
Foto copertina: un ragazzo osserva il mare attraverso la frontiera Ceuta/Marocco nei pressi del valico di Benzú, di Romina Vinci.