La legge sulla cittadinanza (n. 91 del 1992) prevede, all’articolo 14, che i figli minorenni di chi diventa cittadino italiano per naturalizzazione acquisiscano automaticamente la cittadinanza. Ma nella pratica, a causa delle lungaggini dei procedimenti amministrativi, molti ragazzi e ragazze si ritrovano a compiere 18 anni prima della conclusione del percorso di cittadinanza del genitore. E perdono così, in modo paradossale, un diritto che la legge garantiva loro.
È quello che è accaduto al ragazzo protagonista di questa vicenda giudiziaria.
Ne abbiamo parlato con Gennaro Santoro del team legale di CILD che ha seguito il caso, l’avvocato Paolo Morozzo della Rocca, l’avvocata Laura Liberto, Cittadinanzattiva e presidente di CILD, e Daniela Ionita, presidente di Italiani Senza Cittadinanza, alla vigilia di un referendum che potrebbe portare ad un ulteriore cambio di passo verso il pieno riconoscimento del diritto di cittadinanza.
L’avvocato Gennaro Santoro ci racconta che la madre aveva presentato domanda di cittadinanza nel 2017, quando lui era ancora minorenne. Ma l’iter si è concluso solo tre anni dopo, ben oltre i due anni previsti dalla legge. Al momento del giuramento – l’ultimo passo per ottenere ufficialmente la cittadinanza – il ragazzo aveva appena superato la maggiore età. Risultato? Cittadinanza concessa alla madre e al fratellino più piccolo, ma non a lui.
Il giovane, con il supporto del team legale di CILD (Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili), decide di fare ricorso, sostenendo un principio fondamentale: se il ritardo è dello Stato, non possono essere i cittadini a pagarne le conseguenze. Secondo i legali, il diritto alla cittadinanza, in questo caso, è un “diritto soggettivo perfetto”, già maturato e parte del suo patrimonio giuridico. E negarlo a causa di ritardi della pubblica amministrazione viola il principio di affidamento, tutelato dalla Costituzione.
Il Tribunale accoglie il ricorso, con parole chiare: i figli minorenni, pur essendo “terzi” rispetto alla domanda del genitore, hanno diritto a confidare nel rispetto dei termini di legge da parte dello Stato. E se nel frattempo diventano maggiorenni per colpa dei ritardi amministrativi, non devono essere penalizzati. La sentenza cita anche un precedente normativo – l’art. 33 del decreto legge 69/2013 – che stabilisce un principio analogo: ai minori non possono essere imputati gli errori o le lentezze dei genitori o degli uffici pubblici.
In sostanza, per il giudice il giovane va considerato ancora come minorenne “ai fini del giudizio”, proprio perché la lentezza del procedimento ha compromesso un diritto che sarebbe stato altrimenti pienamente acquisito.
Morozzo della Rocca: “Lo Stato non può scaricare sui figli i propri ritardi”
Secondo Il Professore Paolo Morozzo della Rocca, responsabile legale della Comunità di Sant’Egidio, e che aveva già sostenuto quanto affermato dalla sentenza in commento nell’e-book pubblicato dalla Cild, Profili di possibile illegittimità costituzionale della legge sulla cittadinanza: “questa è una sentenza saggia e lungimirante. Il Tribunale ha affermato un principio fondamentale: quando un genitore diventa cittadino italiano, il figlio minorenne convivente ha diritto a seguirne il percorso. E se questo non avviene solo per colpa dei ritardi dell’amministrazione, non può essere il ragazzo a pagarne le conseguenze. Il giudice ha correttamente applicato la legge com’era al momento della domanda e ha richiamato il principio di buona fede e il superiore interesse del minore. In altre parole: la cittadinanza non può essere negata a chi ne avrebbe avuto diritto, solo perché lo Stato non ha rispettato i propri tempi.”
Liberto (CILD): “Una battaglia legale e culturale”
Laura Liberto, presidente di CILD, aggiunge: “Si tratta di un contenzioso strategico, parte della più ampia battaglia legale e culturale portata avanti da CILD e molte altre associazioni per una riforma del sistema di cittadinanza italiano. Si spera ora che questa sentenza possa contribuire a modificare l’orientamento del Ministero dell’Interno. Oggi, infatti, l’amministrazione continua a richiedere che il figlio sia minorenne non solo al momento della domanda del genitore, ma anche al momento del giuramento – anche quando il procedimento supera ampiamente i termini di legge”.
Una condizione assurda, che finisce per negare la cittadinanza proprio a chi in Italia è cresciuto, ha studiato e spesso non conosce altro Paese. Ma con questa sentenza, forse, qualcosa comincia a cambiare.
Daniela Ionita (Italiani Senza Cittadinanza): “Il referendum può segnare un altro cambio di passo”
Un passo importante che si aggiunge a un altro appuntamento decisivo: siamo a pochi giorni dal voto sul referendum che potrebbe ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza richiesti per richiedere la cittadinanza italiana.
Daniela Ionita, presidente del movimento Italiani Senza Cittadinanza, commenta: “Questa sentenza ci dà speranza, ma il vero cambio di passo arriverà se vinceremo il referendum del 8 e 9 giugno. Ridurre gli anni necessari per chiedere la cittadinanza è un atto di giustizia verso chi è parte della società italiana da sempre, ma continua a vivere in una zona grigia fatta di esclusione e incertezza. È ora che l’Italia riconosca pienamente chi ne fa parte da sempre, vive, studia, lavora e contribuisce ogni giorno alla sua società, senza più scuse né rinvii”.