Durante la conferenza stampa dello scorso 9 marzo, al termine di un Consiglio dei Ministri eccezionalmente tenuto a Steccato di Cutro, in provincia di Crotone, la presidente Giorgia Meloni ha detto che “quello che vuole fare questo governo e andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo, perché vogliamo rompere questa tratta”. Pochi giorni prima, il 26 febbraio, in un naufragio di fronte alla costa della cittadina calabrese sono morte almeno 79 persone.
Quello della “lotta agli scafisti” – ribadita più volte dal governo – è uno dei punti contenuti nel decreto sull’immigrazione licenziato dal Consiglio dei ministri, che introduce una nuova fattispecie di reato per “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”. Le pene vanno dai dieci ai vent’anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone, fino ai ventiquattro per la morte di una persona e fino a trenta nel caso in cui le vittime siano più di una. Il decreto, inoltre, inasprisce le pene previste dal Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione del1998 contro chi “promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato”.
“Io credo che quello che è accaduto a Cutro sia la conferma, la dimostrazione che non c’è politica più responsabile di quella finalizzata a rompere la tratta degli scafisti, a combattere la schiavitù del terzo millennio rappresentata da queste organizzazioni criminali”, ha detto Meloni parlando delle nuove norme. “Noi non intendiamo replicare l’approccio di quanti hanno negli anni lasciato che i trafficanti di morte agissero sostanzialmente indisturbati”.
Nel discorso della presidente del Consiglio i termini “scafisti” e “trafficanti” vengono utilizzati in maniera interscambiabile. In realtà non si tratta di sinonimi, e la confusione non è, secondo alcuni, casuale.
“Scafista” è chi fisicamente guida le imbarcazioni su cui si trovano i migranti. “Trafficante”, invece, si riferisce a chi organizza i viaggi.
Ogni anno in Italia vengono arrestati decine di scafisti, simbolo dell’impegno dell’Italia nel contrasto al traffico degli esseri umani. Analisi e report mostrano come però si tratti di risultati di facciata, per almeno due ordini di ragioni: da un lato i gruppi criminali che organizzano i viaggi operano perlopiù nei paesi di partenza, dall’altro i “trafficanti” difficilmente partecipano alla traversata. A venire arrestate sono persone accusate di aver condotto – anche per breve tempo – un’imbarcazione che tenta di raggiungere le coste europee.
Secondo il rapporto “Dal mare al carcere”, realizzato dall’Arci Porco Rosso di Palermo con Borderline Europe, nel 2022 in Italia sono stati fermati circa 350 scafisti. Persone che, in molti casi, non hanno nulla a che fare con i gruppi criminali che hanno organizzato il viaggio. “Si tratta di un fenomeno molto complesso, in cui le persone che guidano le barche lo fanno per un’ampia serie di motivi che sono difficili da semplificare, ma che di base sono l’ultimo anello di una rete molto più grande, i cui vertici rimangono nell’ombra”, dice il rapporto. Arci Porco Rosso segue le situazioni giuridiche di 84 persone, 54 delle quali si trovano in carcere. “Lontane dall’essere colpevoli per le morti in mare, sono spesso anche loro migranti ai quali è stato impedito l’ingresso in Europa, e che rischiano le proprie vite per attraversare le frontiere”. Per il report ci sono quattro profili di “scafisti”: quelli “per necessità” – che guidano l’imbarcazione durante un’emergenza -, quelli costretti con la forza a farlo dai trafficanti, quelli retribuiti – spesso, peraltro, a loro volta migranti – e, infine, i “capitani dell’organizzazione”. Questi ultimi rappresentano l’unica categoria che ha legami con i trafficanti, e solitamente accompagnano le imbarcazioni per un tratto e poi tornano indietro.
Dal 2013 sono stati incardinati in Italia oltre 2.500 procedimenti penali nei confronti di persone accusate di avere condotto le imbarcazioni con a bordo migranti. Il dato, secondo l’analisi di Arci Porco Rosso, “dà la misura dell’entità di un fenomeno che, lungi dal costituire un’ipotesi residuale dell’applicazione del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, rappresenta il modo principale in cui la legge è stata applicata” e “indica il chiaro fallimento sotto qualsiasi punto di vista delle politiche migratorie che vorrebbero contrastare l’immigrazione irregolare: invece di bloccare il flusso migratorio, le politiche europee sono riuscite solamente a criminalizzarlo”. Una logica che per l’associazione ha riguardato governi di ogni colore.
Questi procedimenti, peraltro, hanno “un impatto devastante” sulla vita delle persone coinvolte, che nella maggior parte dei casi non hanno accesso a un’effettiva difesa e a una piena tutela dei loro diritti.
Alla luce di questo, commentando le nuove norme, l’avvocato Gianfranco Schiavone, membro dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi), ha definito il decreto del governo Meloni nient’altro che “un’esibizione muscolare” utile “solo a dire di aver fatto qualcosa ma senza che cambi nulla nella sostanza”. “L’esperienza ci dice che spesso le persone fermate come scafisti sono gli stessi migranti che hanno fatto il viaggio, che vengono messi alla guida anche sotto ricatto. È difficile che salga a bordo chi ha organizzato un viaggio come quello. Finisce così che queste persone vengano imputate di reati gravissimi mentre il trafficante vero la scamperà senza problemi”.
Quelli su scafisti e trafficanti, però, non sono gli unici punti critici del decreto approvato a Cutro. Camillo Ripamonti del Centro Astalli ha parlato di “una serie di proposte senza regia, che raccontano il volto di una politica priva di una visione d’insieme sul tema migratorio”.
Le nuove regole prevedono, ad esempio, una modifica in senso restrittivo della protezione speciale, il permesso che prevedeva che si tenesse conto “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese”. Una forma di protezione che, secondo Meloni, “si è allargata a dismisura” e per questo l’obiettivo sarebbe abolirla. Per gli esperti, la conseguenza sarà spingere sempre più persone nell’irregolarità.
Altre norme riguardano la gestione dei centri di accoglienza e hotspot, con la previsione di “derogare al codice dei contratti pubblici, consentendo una maggiore speditezza nello svolgimento delle procedure” per l’apertura o l’ampliamento di centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Luoghi in cui, come evidenziato anche dal rapporto “Buchi Neri. La detenzione senza reato nei Centri di Permanenza per i Rimpatri”, i diritti fondamentali vengono trascurati o completamente negati.
Tra i provvedimenti, infine, “i rinnovi del permesso di soggiorno rilasciato per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo o per ricongiungimento familiare” che avranno “durata massima di tre anni, anziché due come oggi” e l’annuncio del decreto flussi. Meloni ha spiegato che lo strumento “viene ripristinato – criteri, quote – e viene fatto a livello triennale, viene cioè data una proiezione che riguarda anche la richiesta che arriva dal mondo produttivo per alcuni settori nei quali serve manodopera. Prevede delle corsie preferenziali per quegli stranieri che in patria hanno fatto dei corsi di formazione riconosciuti dal Governo italiano e che quindi hanno migliori possibilità di sbocco anche professionale”.
Secondo l’associazione Magistratura Democratica, però, le quote di ingresso in questi anni “non hanno funzionato, non solo perché stabilite in misura infima rispetto alle reali esigenze e perché recanti una procedura di attivazione particolarmente complessa soprattutto da parte di piccoli imprenditori o privati, ma soprattutto perché in pochissimi sono disposti a chiamare una persona loro sconosciuta, che vive all’estero e le cui capacità lavorative non hanno la possibilità di sperimentare”. Inoltre, “i flussi migratori non sono arrestabili finché non cessano le ragioni politiche ed economiche che spingono le persone a lasciare gli Stati di origine per cercare altrove un luogo in cui sopravvivere”.
Immagine di copertina via ResQ – People Saving People