I primi raggi di luce della mattina del 9 settembre evidenziano la distruzione della notte appena trascorsa. Il campo profughi di Moria – il più grande campo profughi d’Europa – è stato raso al suolo da un incendio che secondo il governo greco sarebbe stato appiccato dai suoi stessi abitanti. Migliaia di persone che in precedenza erano fuggite da zone di conflitto sono rimaste senza un posto dove vivere, poiché la loro sistemazione temporanea è stata distrutta.
Firuzeh – il nome è di fantasia – è fuggita dall’Afghanistan l’anno scorso e stava aspettando il colloquio per l’asilo che si sarebbe svolto proprio il 9 settembre. Era stato già rimandato una volta, ma ora non può più sapere quando le sarà dato il prossimo appuntamento.
“Il campo è bruciato nell’incendio. Anche la nostra tenda e tutte le mie cose sono bruciate”, dice Firuzeh che vive da oltre un anno in una tenda nell’uliveto di Moria.
“La situazione qui non è per niente buona. Il fuoco è scoppiato alle 9 di sera ed è divampato per ore. Siamo dovuti fuggire nella foresta. Non abbiamo niente”, racconta in un messaggio vocale inviato su WhatsApp. “Non sappiamo cosa fare”, continua.
Nelle ore successive all’incendio, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha annunciato che l’isola sarà messa in stato di emergenza. Il Primo Ministro ha sottolineato che le persone saranno trasferite in luoghi sicuri sull’isola, ma non potranno recarsi sulla terraferma greca. Allo stesso tempo continueranno i controlli di frontiera per evitare che nuove persone arrivino sulle coste di Lesbo. Inoltre ha specificato che verranno attuate diverse restrizioni sull’isola che colpiranno anche la gente del posto senza fornire ulteriore dettagli.
“Permettetemi di ricordare che oltre 13.000 persone sono state trasferite da Moria, e naturalmente le cose sarebbero andate molto peggio se lo Stato greco non avesse impedito nuovi flussi migratori”, ha detto il primo ministro. “Credo che una brutta esperienza possa diventare una realtà migliore. E questo accadrà a Lesbo”, ha continuato.
Ciò che ha portato al disastro di Moria, tuttavia, non è stato un evento improvviso, ma una catastrofe in attesa di accadere.
Dopo l’epidemia di COVID-19 e i conseguenti blocchi che ne sono scaturiti come misura preventiva, i campi profughi sulle isole greche – compreso quello di Moria – sono stati sottoposti a un severo lockdown. Alle ONG e ai volontari è stato impedito di lavorare nel campo, il che ha portato ad un ulteriore peggioramento delle condizioni di salute degli abitanti del campo.
Quando Medici senza frontiere è stata costretta a chiudere la sua clinica Covid-19 a causa “delle autorità locali, dell’emissione di multe e della minaccia di accuse penali”, mise in guardia dalle possibili “conseguenze disastrose” in caso di un’epidemia sull’isola.
Le conseguenze sono state davvero disastrose. Dopo che un uomo è risultato positivo al Covid-19, il campo è stato messo in ulteriore isolamento. Martedì 8 settembre altre 25 persone sono risultate positive al virus e sono state messe in isolamento.
Firuzeh era tra coloro sottoposti a isolamento dopo che quelli che vivevano nella tenda accanto alla sua erano risultati positivi.
“Le autorità sono arrivate a tarda notte e ci hanno messo in quarantena per due settimane, anche se non avevamo avuto sintomi. Siamo 11 persone in una stanza. Come possono proteggerci dal Coronavirus?”, sfoga la sua frustrazione in un messaggio WhatsApp inviato lunedì mattina.
Restrizioni e catastrofe
Prima della sua elezione, il partito greco al governo di Nea Dimokratia aveva chiesto la costruzione di campi profughi chiusi. Essenzialmente, questi campi avrebbero dovuto imprigionare i rifugiati in attesa di una decisione sulla loro richiesta di asilo. L’attuazione di tali promesse non sembra essere lontana. Il 27 agosto è stato pubblicato sul portale della Diavgeia, che fa parte del Ministero della governance digitale, un annuncio per la commissione di un campo chiuso sull’isola di Lero.
La retorica usata dai funzionari greci nelle dichiarazioni sull’incendio a Moria lascia pensare che anche a Lesbo verranno prese ulteriori restrizioni. Restrizioni che inevitabilmente porteranno ad un’ulteriore catastrofe con implicazioni più ampie per i rifugiati e la popolazione locale.
A causa degli accordi tra Unione Europea e Turchia, ideati per ridurre l’accesso di rifugiati nell’Unione, così come per l’approccio “hotspot” testato sia in Italia che in Grecia, il campo profughi di Moria assomigliava già a una prigione a cielo aperto. I rifugiati sono liberi di spostarsi fuori dal campo e sull’isola (durante il lockdown devono avere un ulteriore permesso), ma non sono autorizzati a spostarsi verso la terraferma greca fino a quando le loro richieste di asilo non saranno esaminate. Il numero crescente di rifugiati e la lentezza del processo di asilo in Grecia ha portato migliaia di persone (oltre 13 mila) ad aspettare in un campo profughi con una capacità inferiore a 3.000 persone. Le condizioni umanitarie erano spaventose e dipendevano dai finanziamenti dell’UE e da un gran numero di volontari e organizzazioni umanitarie. Con queste organizzazioni fuori dai giochi dopo l’isolamento, le persone sono state lasciate a lottare per la propria sopravvivenza.
Le restrizioni dovute al COVID-19 hanno portato a un ulteriore peggioramento della disponibilità delle persone ad aspettare. Quanto accaduto a inizio settembre è solo l’evento più evidente della frustrazione della gente.
“Non abbiamo acqua pulita, non abbiamo antisettici, dobbiamo stare in fila per ore nei bagni, non c’è modo di pulire i bagni e tenerli puliti”. Non abbiamo niente che ci protegga, a parte gli antisettici e le maschere che ci siamo comprati”, ha detto Firuzeh in un vecchio messaggio vocale inviato una settimana prima dell’incendio.
Nonostante i messaggi di sostegno e assistenza che i funzionari dell’UE e della Grecia hanno condiviso sui loro social media, la gente del campo di Moria si sente ancora una volta abbandonata. L’incendio potrebbe aver distrutto i loro mezzi di sussistenza, tuttavia, le politiche UE, come l’ostinazione nel mantenere in vita gli accordi con la Turchia, hanno distrutto la volontà di lottare per i loro diritti. “Il governo greco non fa niente per queste persone”, dice Firuzeh in preda alla rabbia. Sono preoccupato per la gente di qui e anche per me e la mia famiglia”. I nostri figli si ammaleranno a causa di questa situazione”, continua.
In copertina: Rifugiati e migranti scappano con i loro pochi averi dall’incedio nel campo di Moria Mercoledì 9 settembre 2020. Foto di Petros Giannakouris via Twitter @AP_Images/@PGiannakouris.