La Commissione europea, aveva reagito proponendo un Piano d’Azione in 20 punti per il breve-medio periodo diviso in 3 pilastri (più cooperazione con Paesi partner, cooperazione con attività di ricerca e salvataggio, implementazione del meccanismo volontario di solidarietà) con proposte già presenti nel Patto sull’asilo e migrazione proposto a settembre 2020. Nel testo si chiedeva sostanzialmente un riequilibrio fra Stati Membri dei principi di “responsabilità”, ovvero l’obbligo morale e legale di salvare le vite in mare e quello di “solidarietà”, ovvero la riforma del Trattato di Dublino dà ai Paesi frontalieri del Sud Europa (Grecia, Italia, Malta e Spagna) l’obbligo di prime analisi delle richieste di asilo.
Proprio su questo punto, però, i ministri degli Stati membri riunitisi a Bruxelles per un Consiglio Affari interni straordinario venerdì scorso hanno fatto, nero su bianco nelle conclusioni, marcia indietro sottolineando la necessità che “il regolamento di Dublino sia garantito in particolare per affrontare i movimenti secondari all’interno dell’Unione europea”. Questa espressione sembra un monito di Belgio, Francia, Germania e Olanda all’Italia, rappresentata a Bruxelles dal neo ministro degli interni Matteo Piantedosi, che accoglie però già gran parte degli arrivi nella rotta del Mediterraneo centrale (85 140 arrivi irregolari nei primi 10 mesi del 2022, l’84% in più rispetto al 2021 – su un totale di 275 mila arrivi secondo i dati dell’Agenzia per il controllo delle frontiere Ue Frontex). È stato accennato anche un piano d’azione per la Rotta balcanica, dove c’è stato un aumento del 168% rispetto al 2021.
Altro punto di discussione è stato il meccanismo volontario di ridistribuzione dei migranti tra Stati Ue. L’accordo tra 18 Stati membri tra cui l’Italia, ottenuto al fotofinish della presidenza francese del Consiglio dell’Ue lo scorso giugno, è stato definito dalla Commissaria Ue agli affari interni, Ylva Johansson come “funzionante, ma del quale va aumentata la velocità”. Come confermano fonti diplomatiche a Bruxelles, infatti, la Francia ha preso in carico finora le analisi di richiesta d’asilo di sole 38 persone (delle 2000 promesse all’Italia entro la fine dell’anno in corso).
Nel corso del consiglio straordinario sui migranti i partecipanti hanno concordato, inoltre, sulla necessità di stabilire in una cornice concertata a livello Ue delle “regole certe per i soggetti, anche privati, che operano nel Mediterraneo”. Si tratta, in altre parole, della proposta condivisa dal Governo italiano di avere delle “linee guida” europee per le navi delle Ong che operano in regime di ricerca e salvataggio in acque internazionali. “Le operazioni nel Mediterraneo e altrove non possono essere gestite in una situazione da far west, dove chiunque può fare ciò che vuole” ha detto il vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio straordinario. “La Commissione non ha gli strumenti giuridici per un codice europeo”, ha spiegato però Schinas, ma può sicuramente assistere gli Stati membri nel definirli.
Questa proposta è considerata irricevibile dalle Ong, in particolare dalla tedesca Sea Watch che tramite un suo portavoce spiega a Open Migration che le accuse di “far west” e la proposta di linee guida comuni “sono ancora una volta un tentativo di criminalizzare le organizzazioni civili di ricerca e soccorso utilizzando informazioni false. Gli Stati di bandiera e i rispettivi Stati costieri sono costantemente informati su ogni mossa delle nostre operazioni. Se i politici iniziassero a parlare con le Ong invece che delle Ong, la questione si risolverebbe rapidamente”. Nelle conclusioni del Consiglio appare, inoltre, un riferimento al rilancio “gruppo di contatto per la ricerca e il salvataggio” in mare per avviare “una piattaforma di coordinamento e cooperazione”; l’operazione è però considerata fallimentare da Sea Watch perché “nessuno è stato mai contattato dal 2020”.
Gli Stati membri sono, inoltre, orientati “a realizzare interventi finanziati direttamente dalla Ue che possano impedire le partenze e rafforzare i meccanismi di rimpatrio”. Il punto richiamato è quello della dimensione esterna, con l’impegno di potenziare il dialogo con i paesi terzi di origine e transito dei flussi in una prospettiva che abbracci tanto gli aspetti migratori quanto i progetti per lo sviluppo. In particolare, il primo meccanismo di condizionalità già messo in atto dall’Ue come leva di ricatto per il controllo delle rotte è lo Strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale (fondo NDICI) che prevede un totale di 19,3 miliardi di euro per il vicinato del Nord Africa e dell’Europa orientale. Con questo i Ministri Ue vogliono assicurare che i finanziamenti annuali della Commissione europea “restino ad un livello sufficiente” per mantenere le capacità di gestione di asilo e migrazione lungo le rotte, includendo le attività di ricerca e salvataggio.
In questo modo “si rafforzare la collaborazione con paesi fragili come la Tunisia, senza uno stato centrale come la Libia, non democratici come l’Egitto, rafforzando la loro capacità di search and rescue”, spiega a Open Migration Sara Prestianni, esperta di migrazione e asilo per il network Euromed Rights. “Aver rafforzato le capacità di controllo in mare della guardia costiera libica ha portato – continua Prestianni – a migliaia di intercettazioni e respingimenti verso il territorio libico, dando più potere alle milizie che controllano i centri di detenzione nel Paese”.
Questa operazione rischia quindi di essere dannosa e controproducente in un’area, quella del Mediterraneo centrale, dove nel 2021 sono stati 1567 i migranti morti (a fronte dei 2062 morti totali nel bacino Mediterraneo). È la rotta migratoria più pericolosa del mondo, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM); mentre la Libia non può essere considerata come “porto sicuro” a causa delle “ripetute violenze” verso le persone come ripetuto dall’Onu.
Altro punto critico è quello di aver concordato “un migliore uso della leva dei visti, in conformità con l’articolo 25a del Codice dei visti” verso i cittadini di Paesi terzi. in cui i Ministri hanno sottolineato la “necessità di un meccanismo di condizionalità per i visti rapido, efficiente e prevedibile”. Questa operazione secondo Prestianni è “grave perché cerca di portare avanti una misura già presenti nel Patto sulla migrazione (proposto dalla Commissione Ue nel 2020, ndr) in maniera autonoma e perché rischia di togliere una delle poche vie di accesso legali all’Unione europea”, aumentando di conseguenza le tratta di esseri umani e il rischio di morte sui barconi.
Il prossimo passo a Bruxelles è il Consiglio Affari interni dell’8-9 dicembre: sarà l’ultimo sotto la Presidenza ceca, il cui Ministro Vit Rakušan ha detto di “voler vedere risultati concreti”. I recenti segnali politici portano però sempre più verso una strada che ha come obiettivo la “Fortezza Europa”.
Foto di copertina via European Union