Fabrice Leggeri non è più il direttore esecutivo di Frontex, infine. Dopo inchieste giornalistiche, comitati parlamentari, accuse di cattiva gestione e soprattutto di complicità in violazioni di diritti umani e respingimenti, il funzionario francese ha rassegnato le sue dimissioni, che sono state accolte.
La notizia è arrivata nel giorno in cui il consiglio di amministrazione di Frontex, detta anche Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, avrebbe dovuto valutare sanzioni disciplinari legate a un rapporto sull’agenzia che l’Olaf, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode, ha concluso a febbraio e che non è ancora stato reso pubblico.
Il consiglio di amministrazione di Frontex, che è costituito essenzialmente dai rappresentanti degli stati membri più due funzionari della Commissione UE, ha accettato le dimissioni di Leggeri e, però, ha deciso di non aprire alcuna procedura disciplinare basata sul rapporto Olaf. Secondo Le Point, i voti favorevoli sarebbero stati 22, cinque i contrari e un’astensione, mentre, secondo Il Foglio, Ungheria, Polonia e Grecia sarebbero intervenute in difesa del dimissionario Leggeri.
La versione di Leggeri
Nelle sue ultime ore da direttore esecutivo, Leggeri ha scritto in una lettera al consiglio d’amministrazione di Frontex che il mandato dell’agenzia “è stato silenziosamente ma efficacemente cambiato”, da quando è stato rieletto nel 2019.
In un’intervista pubblicata dal francese Journal du dimanche il primo maggio, inoltre, Leggeri ha parlato di “un’evidente necessità di chiarimento” sul mandato dell’agenzia. “La domanda è davvero cosa dovrebbe fare l’UE quando sedici Stati membri decidono a Vilnius di chiedere fondi europei per rafforzare i loro confini, anche con muri. O quando la migrazione viene usata come arma geopolitica”, ha dichiarato l’ormai ex direttore.
Non solo. Nella mail di saluto ai funzionari dell’agenzia, pubblicata da Der Spiegel, Leggeri ha ribadito il concetto con ancora maggior forza, sostenendo che, negli ultimi due anni, il mandato di Frontex è stato trasformato in quello di “una sorta di organo per i diritti fondamentali che controlla ciò che gli Stati membri stanno facendo alle loro frontiere esterne”. Al contrario, secondo Leggeri, Frontex dovrebbe essere “un’agenzia di law enforcement che sostiene gli Stati membri”. “Mi risulta – prosegue l’email – che questo è ciò che gli Stati membri e i cittadini europei si aspettano da noi”.
Il rapporto con la Commissione
Nelle sue ultime comunicazioni, Leggeri non cita la Commissione Ue. Potrebbe non essere un caso. Del resto, la stessa Commissione, nel secco comunicato con cui ha commentato la notizia, non ringrazia il direttore dimissionario, ma si limita a ribadire che “una guardia di frontiera e costiera europea forte, efficace e ben funzionante” è “una priorità”.
Tra i due commissari incaricati del dossier migratorio, il vicepresidente greco Margaritis Schinas è sempre stato quello più vicino a Leggeri, mentre la svedese Ylva Johansson è stata la voce più critica. Che si trattasse di una reale diversità di vedute o di un gioco delle parti, è difficile da dire. Quel che però pare emergere dall’inchiesta dell’OLAF è che Leggeri non apprezzasse né Johansson, né la direttrice generale della DG Home di cui la commissaria svedese è a capo: Monique Pariat, rappresentante della Commissione nel consiglio di Frontex. Secondo quanto riporta Le Point, Leggeri avrebbe fatto “commenti sgradevoli in privato” su entrambe.
Il punto, però, non è personale, ma politico: quale è il vero compito di Frontex?
La Commissione Ue, nel suo comunicato, ha ribadito che è “sostenere gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne comuni e, nel farlo, rispettare i diritti fondamentali”.
Ma è davvero possibile riuscirci?
Una prima risposta a queste domande dovrà provare a darla, la funzionaria lettone Aija Kalnaja.
La nuova direttrice
Dopo una carriera nella polizia nazionale, Kalnaja è entrata in Frontex nel 2018, era la vicedirettrice responsabile del corpo permanente e ora prenderà temporaneamente il posto lasciato libero da Leggeri.
Secondo il ricercatore Matthias Monroy, Kalnaja “ha avuto un ruolo fondamentale nella crescita dell’agenzia come direttore del Capacity Building”. Ora dovrà traghettare Frontex in questa delicata fase, che dovrebbe durare al massimo fino a giugno, quando verrà nominato il nuovo direttore esecutivo.
Nel frattempo, nelle istituzioni europee, la partenza di Leggeri ha riacceso il dibattito sulla migrazione, sopito dai pochi passi avanti del patto proposto dalla Commissione e dall’ancora ampio consenso sull’accoglienza dei profughi ucraini. Il deputato francese Jordan Bardella del Rassemblement National ha dichiarato che il direttore di Frontex è stato “perseguitato per aver cercato di difendere le frontiere europee”. “Frontex – ha aggiunto – sta diventando un’agenzia di accoglienza per i migranti illegali”.
“Le dimissioni di Leggeri sono una grande notizia”, ha commentato Sira Rego, eurodeputata spagnola di Izquierda Unida e parte del gruppo di lavoro del Parlamento Ue per lo scrutinio di Frontex. A suo parere, però, “il problema di Frontex non è solo Fabrice Leggeri, il problema di Frontex è strutturale. Ecco perché queste dimissioni non sono sufficienti e abbiamo bisogno di un cambiamento completo nella politica migratoria dell’UE”.
Un cambio di politiche?
Il cambiamento di politiche auspicato da Rego, però, non sembra all’orizzonte, secondo diversi analisti. Quello che realisticamente pare possibile è una maggiore accountability di Frontex. Come ha scritto Statweatch, “dal 2004, quattro regolamenti successivi hanno aumentato le risorse e il mandato dell’agenzia, ma non sono seguiti adeguati meccanismi di controllo per bilanciare questa crescita con una maggiore responsabilità legale o politica”. Il nuovo direttore o la nuova direttrice non potranno ignorare o ritardare questo tema, come ha sostanzialmente fatto Leggeri.
Il punto è quanto questi meccanismi di accountability possano essere utili o efficaci nell’ambito delle politiche di esternalizzazione delle frontiere che l’Ue e gli stati membri applicano da tempo.
Negli ultimi anni, gli esempi che fanno sorgere dei dubbi sono molti. L’ultimo è quello della Polonia. Da quando il dittatore Lukashenko ha aperto la rotta verso l’Unione Europea, 21 persone sono morte lungo il confine tra Ue e Bielorussia. “Le guardie di frontiera polacche – ha scritto Amnesty International in suo recente rapporto – rastrellano e respingono violentemente persone arrivate dalla Bielorussia, a volte minacciandole con le pistole”. E tutto questo senza nemmeno l’aiuto di Frontex, che pure ha la sua sede a Varsavia.
Il governo polacco, di fatto, non ha mai risposto alle ripetute offerte di sostegno da parte della Commissione. A Varsavia poco importa quale sia il vero mandato dell’agenzia: le sue frontiere, preferisce gestirle in completa autonomia.
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