A Trento può capitare di imbattersi in migranti che si ritrovano per strada, costretti a dormire all’addiaccio. Sarebbero circa un’ottantina le persone che attualmente vivono in questa situazione, vagando da un ufficio all’altro, in situazioni di bisogno evidenti, dall’assistenza sanitaria a quella psicologica e che, nonostante il loro pieno diritto ad accedere al sistema di accoglienza, spesso e volentieri non ottengono nulla.
Che quindi per loro l’aggettivo “invisibili” sia improprio lo dimostra anche il report di Antenne migranti, gruppo di attivisti che da ormai molto tempo si occupa del monitoraggio della rotta del Brennero, fornendo supporto e assistenza legale alle persone che giungono sul territorio, in transito o per rimanervi. L’ultimo rapporto stilato dal gruppo è datato 20 settembre e parla molto chiaro: carenze di base nei servizi, in particolare sul fronte abitativo, e prassi di Questura e Commissariato del governo che, secondo gli attivisti, “non hanno alcun fondamento giuridico”.
Ripercorrendo la situazione da gennaio a oggi, infatti, emerge che chi è giunto nell’inverno scorso in città nella maggior parte dei casi è riuscito ad accedere ai centri di accoglienza dopo una media di circa sei mesi. Nel frattempo le criticità si sono moltiplicate: riferendosi infatti al gruppo di persone giunte nel capoluogo a gennaio e conosciute durante l’attività di monitoraggio, Antenne migranti parla di “contesto molto difficile, dovuto alle temperature rigide, alle condizioni igieniche precarie e a una costante sensazione di dover nascondersi. Nei mesi di febbraio e giugno conosciamo due persone che sono affette da scabbia e che non riescono a curarsi per la condizione di senza dimora che non permette loro di fare in modo adeguato il trattamento previsto. Da gennaio a luglio – raccontano ancora gli attivisti – un giovane richiedente asilo con calcoli ai reni è senza alloggio, nonostante le visite di medici e i documenti che ne attestano la condizione di salute. È costretto a vivere sotto un ponte anche nei periodi più dolorosi della malattia. Entra in progetto presso la Residenza Fersina (un centro di accoglienza straordinaria del capoluogo, ndr) solo in luglio”.
I nodi dell’accoglienza sono numerosi: prima di tutto Antenne migranti denuncia la mancanza di criteri certi rispetto alla priorità data alle singole persone arrivate. “A inizio luglio – spiega il gruppo – una decina delle persone che conosciamo vengono chiamate per entrare in progetto sempre presso la Residenza Fersina: sono tutti arrivati fra dicembre e gennaio. Altre quattro persone con cui siamo in contatto entrano in struttura di accoglienza in agosto; sono persone arrivate da pochi mesi, mentre altre arrivate a fine gennaio rimangono in strada”.
Ma è forse la controversa questione del domicilio a complicare e rallentare più di ogni altro aspetto il processo di inserimento. Gli attivisti riferiscono infatti che la Questura, su indicazione del Commissariato del Governo, richiede alle persone giunte via terra una “dichiarazione di ospitalità” (o domicilio, ndr) per la formalizzazione della richiesta di protezione internazionale. Lo stesso fa il Cinformi – l’ente provinciale che si occupa di fornire servizi e informazioni a cittadini stranieri e richiedenti asilo – che chiede la medesima dichiarazione per fissare l’appuntamento in Questura per il rinnovo del permesso di soggiorno per richiesta d’asilo. Un requisito che Antenne migranti definisce “privo di fondamento giuridico” e che, viste le regole ferree sull’accoglienza nei dormitori, crea in effetti un corto circuito: chi è giunto fin qui via terra, presumibilmente senza una rete di persone disposte ad aiutarlo, tagliato fuori dall’accoglienza ordinaria, difficilmente possederà un indirizzo di riferimento.
Per aggirare questo ostacolo, in un primo momento, si ricorre al domicilio rilasciato dai dormitori. In questi ultimi, però, non si può dimorare per oltre trenta giorni e dunque, esaurito questo tempo, si torna privi di un riferimento valido da fornire.
È qui che ancora una volta entrano in gioco le reti solidali cittadine. Da una parte Antenne migranti consiglia legalmente i migranti fornendogli lettere di messa in mora, indirizzate al Commissariato, alla Questura e per conoscenza al Cinformi. Dall’altra, un gruppo di volontari sostiene le spese per un posto letto in grado di ospitare 10 persone, in modo da agevolarle nella dichiarazione di ospitalità.
La rigidità del sistema però favorisce anche l’insorgere di pratiche illegali e di relazioni economiche informali. Gli attivisti riferiscono che più di una volta, ai migranti è stato proposto di “comprare” un domicilio fasullo per prezzi che possono variare, arrivando fino ai 250 euro.
Nonostante questa rete di intervento, come detto, circa ottanta persone si trovano ancora senza un alloggio. “I tempi di attesa per il primo appuntamento in questura – si legge nel report – sono al momento di oltre quattro mesi: a chi è arrivato in queste ultime settimane, viene dato appuntamento dopo la metà di gennaio 2019”. E così per molti l’unica opzione resta la strada.
Spazi verdi, ponti e altre soluzioni di fortuna, spesso e volentieri insicure, oltre che precarie. Lo scorso luglio, però, scatta, da parte della polizia locale, su ordine del Comune, la rimozione di coperte e oggetti personali in uno dei parchi della città. Vengono comminate quattro multe per bivacco ma, anche a seguito della presa di posizione pubblica sia di Antenne migranti che di alcune associazioni solidali della città, l’assessorato competente ha poi cancellato le sanzioni.
I Comuni non accoglienti
La convinzione, tra chi in questi mesi ha lavorato sul campo sia sul fronte dell’assistenza legale che nei servizi a bassa soglia, è che da parte delle istituzioni ci sia la volontà di diluire i tempi il più possibile, in modo da scoraggiare ulteriori nuovi arrivi. La domanda, invece, è se davvero il Trentino non possa farsi carico di qualche decina di persone, anche visto e considerato che, con la diminuzione degli sbarchi, le persone ricollocate con le quote in provincia sono sempre di meno.
Vediamo allora le cifre. In tutto il territorio provinciale, al momento, sono accolte circa 1.400 persone: negli ultimi due anni, in particolare, la Provincia ha puntato molto sulla cosiddetta accoglienza diffusa, inserendo gruppi ristretti di richiedenti asilo nei piccoli Comuni, con un occhio particolare anche alle valli in quota. Il capoluogo continua ad avere in carico un’ampia fetta di persone, ma diversi paesi, anche con poco più di mille abitanti, stanno facendo la loro parte. Non tutti, però, hanno accettato di accogliere: i numeri della Provincia, (aggiornati al 31 dicembre 2017, ndr), parlano chiaro: 66 Comuni hanno aperto le loro porte, 111 non ancora. Il caso forse più eclatante è quello dell’Altopiano della Paganella, nota zona a vocazione turistica, dove cinque Comuni su cinque si sono tirati indietro. Quota zero, ad esempio, anche in una realtà non certo minuscola come Cavalese, in val di Fiemme. Chi, invece, fa la parte del leone è Trento, a seguire Rovereto e comuni come Garniga, 388 abitanti e 38 persone accolte.
La questione politica
Alla vigilia delle elezioni per il nuovo presidente della Provincia, che si terranno domenica prossima, il problema non sembra però impegnare le agende politiche dei candidati. O, per meglio dire, pare angustiare solo il centrodestra e il Movimento 5 Stelle, che hanno già annunciato una scure sul sistema d’accoglienza e sull’organizzazione che al momento coordina servizi e attività dedicate ai cittadini stranieri in Provincia, il Cinformi. Sul fronte del centrosinistra, invece, si oscilla tra la timidezza e la rimozione sistematica del problema dal discorso pubblico: venuta infatti meno l’alleanza con gli autonomisti del Patt, che ad oggi esprimono il governatore attuale, Ugo Rossi, dal Pd in giù per la prima volta si respira aria di sconfitta. In una campagna elettorale partita con settimane di ritardo rispetto al centrodestra, reduci dalla debacle elettorale delle politiche di marzo, nella maggioranza uscente – salvo rarissime eccezioni – la questione dell’accoglienza è stata maneggiata con estrema cura, quasi rasentando il silenzio, e il fatto che circa ottanta persone vivano per strada, pur avendo di fatto diritto ad un sostegno, non pare tema di dibattito.
In copertina: la stazione ferroviaria del Brennero, foto di Michele Luppi