*Aggiornamento 22 luglio
Dopo oltre 60 giorni di sciopero della fame, alcuni attivisti sans-papiers della chiesa del Béguinage hanno annunciato ieri sera (21 luglio) di voler sospendere momentaneamente la protesta.
La decisione arriva dopo serrate trattative tra i portavoce della chiesa, padre Daniel (il parroco della chiesa del Béguinage) e alcuni funzionari politici. Prima ancora, il Segretario di Stato per l’immigrazione e i rifugiati, Sammy Mahdi, aveva rifiutato di aprire a una sanatoria generale per tutti i lavoratori senza documenti nel paese, ma aveva creato una “zona neutrale” vicino alla chiesa barocca che ospita alcuni degli scioperanti della fame, dove questi potessero ricevere informazioni su come ottenere lo status di residenza.
In un comunicato stampa l’USPR (L’Unione dei sans-papiers per la regolarizzazione) ha annunciato: “Questo passo avanti non è sufficiente a garantire l’accesso al lavoro legale. La sospensione dello sciopero non significa la fine del movimento. L’USPR continuerà a lottare per un permesso unico sia a livello regionale che federale, per ottenere ulteriori garanzie e per far uscire dalla clandestinità i lavoratori senza documenti. Troppi sacrifici sono stati fatti per far muovere il Segretario di Stato sotto la minaccia di una crisi di governo”.
Al momento non è chiaro se gli attivisti delle altre due occupazioni nelle due università di Bruxelles abbiano seguito la dichiarazione della Béguinage e abbiano sospeso anche loro lo sciopero della fame.
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Nella foto che ci mostra, ha il viso pieno e rotondo, gli occhi castani sono brillanti e la barba curata. Oggi, a due mesi di distanza da quando quella foto è stata scattata, Ram Pallsad Khatiwda non sembra più la stessa persona: le sue guance sono scavate, gli occhi circondati da solchi grigi e profondi, diversi ciuffi della barba nera sono diventati bianchi.
Attorno a Khatiwda (che chiede di usare un nome di fantasia), decine di persone sono stese a terra, una accanto all’altra e tutte altrettanto deboli ed emaciate. In tutto sono 150 quelle che hanno passato la notte qui, sul pavimento della mensa dell’Université libre de Bruxelles. Vengono da Pakistan, Nepal, Palestina NIgeria e, soprattutto, Nord Africa. Sono tutti in sciopero della fame da 60 giorni: da anni vivono e lavorano in Belgio, ma nessun di loro ha un permesso di soggiorno valido. Si fanno chiamare “Sans-Papiers”, cioè “senza documenti”. Si stima che le persone in questa situazione in tutto il Belgio siano tra le 100 e le 150mila, tra l’1 e l’1,5% della popolazione. E senza un permesso, ufficialmente, non sarebbero nemmeno autorizzate a lavorare.
In base alla legge attualmente in vigore, per molti di loro è semplicemente impossibile legalizzare il proprio soggiorno. Sono previste delle eccezioni solo per chi può presentare specifiche ragioni mediche o umanitarie. Ma, mentre i motivi di salute sono contemplati solo in casi estremi, quelli umanitari sono formulati in modo talmente vago che di fatto tutto si riduce all’arbitrio delle autorità.
A gennaio, alcune centinaia di attivisti hanno deciso di formare un collettivo a Bruxelles: l’“Union des Sans Papiers pour la Régularisation”. Chiedono sostanzialmente una riforma della legge sull’immigrazione e il soggiorno e un’immediata regolarizzazione per i manifestanti. All’inizio hanno occupato la chiesa di St-Jean-Baptiste-au-Béguinage nel centro di Bruxelles. Poi, a febbraio, hanno occupato anche due sedi universitarie della Ulb, Université libre de Bruxelles, e della Vub, Vrije Universiteit Brussel. Dal 23 maggio, 475 di loro sono in sciopero della fame.
Da allora, Ram Pallsad Khatiwda ha perso 16 chili ed è stato portato d’urgenza in ospedale già sette volte. Da oltre due mesi non vede la figlia di 5 anni: “Non voglio che mi veda in questo stato”, spiega. “Le abbiamo detto che sarei stato via per un po’. A volte quando ci sentiamo al telefono mi dice ‘Papà beato te che puoi stare in vacanza così a lungo’”. Khatiwda vive in Belgio dal 2005. Ha fatto richiesta di asilo due volte: all’arrivo e poi di nuovo nel 2009. Ma tre anni più tardi, nel 2012, ha ricevuto il diniego definitivo.
Per guadagnarsi uno stipendio, ha lavorato in nero nel settore edile, e poi come cuoco per diverse agenzie di catering e su invito ad eventi privati. “Riesco a sopravvivere, ma non ho un’assicurazione, e non ho diritto a nessun sussidio se perdo il lavoro”, dice. Con l’inizio della pandemia e dal primo lockdown in Belgio non ha ricevuto praticamente nessuna ordinazione. Quella della disoccupazione come effetto della pandemia è una storia che accomuna molti dei migranti in sciopero della fame: chi lavorava nella ristorazione, chi nel settore edile e chi nell’assistenza familiare.
Al centro delle polemiche c’è Sammy Mahdi, Segretario di Stato per l’immigrazione e i rifugiati, del partito fiammingo di centro-destra Christen-Democratisch en Vlaams (CD&V). A 32 anni, figlio di un rifugiato, si pensava che il giovane aspirante leader conservatore avrebbe agito da mediatore, “abbassando i toni del discorso”. Invece, dall’inizio dello sciopero della fame la sua posizione è rimasta sempre la stessa: non c’è niente da fare, la legge non si cambia. “Non ci sarà nessuna regolarizzazione collettiva. Le regole restano le stesso e non cambierò la mia politica solo perchè queste persone hanno deciso di smettere di mangiare”, ha affermato.
Una posizione, quella di Mahdi, che ha sollevato numerose critiche contro i leader politici del Paese, accusati di voler ignorare una crisi umanitaria incombente, e che ha messo in luce l’approccio problematico del Belgio rispetto alla questione migratoria. Un tema che rischia inoltre di far cadere la coalizione al governo. Lunedì diversi esponenti politici hanno minacciato di ritirare il loro appoggio all’Esecutivo se anche uno solo dei manifestanti dovesse morire a causa dello sciopero.
“Il Governo ha paura”, afferma Charlotte Fichefet, dottoranda in scienze politiche alla Ulb e parte della rete di sostenitori dei Sans-Papiers: “La lotta collettiva dei Sans-Papiers in Belgio ha una lunga tradizione”. In effetti, in più occasioni negli ultimi anni i Sans-Papier sono riusciti ad ottenere una sanatoria dal Governo. Dopo la prima ondata di proteste tra il ‘99 e il 2000, 40mila delle 50mila richieste pendenti di regolarizzazione furono approvate. Diverse sanatorie sono state poi approvate a seguito di scioperi della fame nel 2010, per 10mila persone, e nel 2011, per 6mila Sans-Papiers. Anche allora, la chiesa del Béguinage fu il luogo simbolo delle proteste.
Oggi però le porte della chiesa sono serrate: gli attivisti hanno deciso di alzare il livello dello scontro e non lasciano più entrare nè medici nè giornalisti. Sei tentativi di suicidio sono stati confermati, mentre decine di persone hanno deciso di cucirsi la bocca in segno di protesta. Venerdì scorso, il 16 luglio, i manifestanti hanno lasciato le scorte di acqua fuori dalla chiesa: alcuni di loro hanno iniziato uno sciopero della sete. Diverse persone sono già state ricoverate a causa di un’insufficienza renale. Un medico locale ha affermato che è solo questione di tempo prima che qualcuno muoia.
Ahmed, 63 anni, è il portavoce dei manifestanti della chiesa del Béguinage: è originario del Marocco e vive a Bruxelles da 8 anni. “Per me è fondamentale che si capisca una cosa: non siamo senzatetto in cerca di elemosina o di protezione: siamo dei lavoratori”, dice. Ahmed lavora come elettricista da quando vive in Belgio: 15, 16 ore al giorno per appena 40 o 50 euro. “Il nostro non è il tentativo di inscenare un suicidio di massa: è una vertenza sindacale, una protesta contro una politica che permette lo sfruttamento delle persone fino all’osso. Lo sciopero della fame è l’ultima arma a nostra disposizione”.
Se i manifestanti non fossero pronti a rischiare la propria vita, nessuno presterebbe loro ascolto: “Tanti grandi donne e uomini sono morti per la rivoluzione francese: combattevano per la libertà”, continua Ahmed. “Ad oggi in Belgio ci sono più di 130mila posti lavoro disponibili: decine di migliaia di persone vanno in pensione ogni anno e mancano i lavoratori che le rimpiazzino”, conclude. “La soluzione è semplice: regolarizzateci. Siamo qui. E invece no: le politiche razziste hanno la precedenza anche sull’economia”.
In copertina: Bruxelles, Luglio 2021. Foto di Joy Martins Branco Correia Lopes.