La Fondazione Leone Moressa ha di recente pubblicato il rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione.
Nel 2020 sono stati persi 456 mila posti di lavoro, di cui un terzo tra le persone straniere. A pagarne le spese sono soprattutto le donne immigrate, spiega Davide Schiavon su VdNews: le lavoratrici straniere sono diminuite in misura più elevata sia rispetto agli immigrati uomini (-10,0% a fronte di -3,5%) sia rispetto alle donne italiane (-1,6%), che invece risultano colpite in misura simile ai propri connazionali (verso i quali però sono soggette a discriminazione in termini di gender pay gap). Il tasso di occupazione delle donne straniere è calato otto volte di più rispetto a quello delle donne italiane, come viene ulteriormente sottolineato dal Dossier Statistico Immigrazione 2021 curato da Idos. Inoltre, viene sottolineato nell’articolo di VdNews, le donne straniere, impiegate principalmente nel lavoro domestico, hanno contribuito in modo significativo a tenere sul posto di lavoro le donne italiane. In aggiunta, nel Dossier Statistico viene sottolineato che il 42,3% delle donne straniere sono sovra istruite rispetto ai posti di lavoro in cui sono impiegate.
Dal rapporto della Fondazione Moressa risulta inoltre che la crisi Covid finora ha colpito soprattutto i lavoratori e le lavoratrici precarie e le filiere caratterizzate da ampio utilizzo di lavoro stagionale (come ad esempio i settori del turismo e dell’agricoltura). In questo caso, le persone straniere hanno subito una perdita del tasso di occupazione (-3,7 punti) molto più forte rispetto a quella delle persone Italiane (-0,6 punti). Nonostante questo, le persone straniere producono il 9% del PIL e risultano determinanti in molti settori.
I contribuenti stranieri in Italia sono 2,3 milioni e nel 2020 hanno dichiarato redditi per 30,3 miliardi e versato Irpef per 4,0 miliardi. Sommando le altre voci di entrata per le casse pubbliche (Irpef, IVA, imposte locali, contributi previdenziali e sociali, ecc.), si ottiene un valore di 28,1 miliardi. Dall’altro lato, viene sottolineato nel rapporto, si stima un impatto per la spesa pubblica per 27,5 miliardi. Il saldo, dunque, è positivo (+600 milioni). Le persone straniere sono perlopiù giovani e incidono poco su pensioni e sanità, le principali voci della spesa pubblica. Tuttavia, i lavori poco qualificati e la poca mobilità sociale possono portare nel lungo periodo a un peggioramento della situazione.
Dopo i forti aumenti dei primi anni 2000, si evince dal rapporto, la popolazione straniera in Italia è sostanzialmente stabile dal 2014. Oggi le persone straniere residenti sono 5 milioni, l’8,5% della popolazione. Tuttavia, da 10 anni cala la natalità e nel 2020 è aumentata la mortalità (a causa del Covid-19). Inoltre vi è un crollo degli ingressi per lavoro: se fino al 2010 si registravano più di 500 mila nuovi Permessi di soggiorno ogni anno, negli ultimi anni si è registrato un calo drastico. E nel 2020 si è toccato il picco minimo, con (solo) 106 mila Permessi. Di questi, la maggior parte è per motivi familiari (58,9%), mentre quelli per lavoro sono appena 10 mila (meno del 10% del totale).
È necessario sottolineare, in aggiunta, che la procedura di emersione del lavoro nero avviata dal Decreto Rilancio 2020 del governo Conte (la “sanatoria” voluta dall’ex ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova) per le persone straniere continua a rimanere bloccata: su 207.870 domande presentate ormai nell’estate 2020, ne sono state definite positivamente presso gli sportelli unici dell’immigrazione 68.147 (il 32,7%), con la consegna agli interessati dei moduli per il rilascio del permesso di soggiorno. Inoltre, viene sottolineato in un articolo di Domani Giornale, “uno dei sistemi per accelerare le pratiche è respingere le domande, ricacciando i lavoratori nella clandestinità. La ministra dell’Interno Lamorgese ha dato la colpa al Covid, la beffa è che la misura fu pensata proprio per il Covid, per dare a tutti i lavoratori gli stessi diritti sanitari”. Si ricordi che: su 800.000 persone senza tessera sanitaria – tra persone immigrate, persone senza dimora o con altre forme di disagio – solo il 7% è in possesso di green pass. Sono le cifre fornite da Foad Aodi, presidente dell’Amsi, Associazione medici di origine straniera.
Nonostante i lavoratori e le lavoratrici straniere vengano spesso citati per sottolineare quanto siano importanti per l’economia del Paese, è fondamentale e doveroso riconoscerne i diritti sociali e civili. Per quanto concerne i primi, la recente scomparsa del 22enne guineano Yaya Yafa – che lavorava come facchino all’Interporto di Bologna, deceduto al suo terzo giorno di lavoro, schiacciato tra un tir e la piattaforma per lo scarico delle merci – è emblematica e dimostra l’urgenza, già sottolineata più e più volte dalle persone migranti lavoratrici stesse, di garantire la sicurezza sul lavoro. Nel caso di Yafa si è trattato dell’ennesimo episodio di negligenza dello Stato nei confronti dei diritti di un lavoratore: il segretario provinciale della Uil, Giuliano Zignani, ha affermato: “non è stato rispettato il protocollo; non si capisce perché dopo tre giorni facesse il turno notturno, e il tutor previsto da legge non c’era”.
Inoltre, parlando sempre di diritti sociali, l’accesso a sistemazioni dignitose e ai servizi sanitari dovrebbe essere un diritto garantito in partenza, eppure non è raro che lavoratori e lavoratrici migranti siano costrette a vivere nelle baraccopoli o nei ghetti, in cui spesso si verificano incendi – come il recente incendio divampato nell’ex fabbrica Calcestruzzi Selinunte nel territorio tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, in cui alloggiano 300 braccianti stranieri che lavorano come raccoglitori di olive, ed è deceduto Omar Baldeh, originario della Guinea Bissau.
In ultimo, per quanto riguarda i diritti civili delle persone straniere, è necessario che gli ostacoli burocratici che impediscono a queste ultime di potersi regolarizzare vengano superati.
Foto copertina via Fondazione Moressa/Twitter.