Nel mese di luglio, il calciatore professionista del Milan Tiémoué Bakayoko è stato fermato dalla polizia di Milano perché sospettato di aver preso parte ad una rissa avvenuta diverse ore prima. In un video che è diventato virale, è possibile osservare alcuni agenti di polizia che puntano le pistole ad altezza d’uomo all’interno del veicolo in cui si trovava Bakayoko mentre un altro agente perquisisce quest’ultimo. Quando gli agenti si sono resi conto di aver preso di mira la persona sbagliata, lo hanno lasciato andare. Questo episodio rientra nelle fattispecie di ethnic profiling, ossia di profilazione etnica.
Profilazione etnica: cos’è e come contrastare il fenomeno https://t.co/Pd6kZ8MEUf
— Amnesty Italia (@amnestyitalia) July 27, 2022
“La profilazione etnica” riporta Amnesty International “è la pratica che prende di mira individui o gruppi specifici in base alle loro caratteristiche senza un motivo obiettivamente giustificato, partendo da un presupposto generalizzato del loro coinvolgimento in attività criminali, spesso senza alcun reato specifico ancora da indagare: una sorta di “minacciosità preventiva” basata sul pregiudizio”. Lo stesso Bakayoko, a seguito di un gran numero di articoli di giornale che hanno riportato l’accaduto, in alcune storie di instagram ha affermato che benché riconosca che “errare è umano”, ha temuto per la sua vita a causa delle modalità con cui è stato fermato e perquisito. “Nel video postato sui social non si vede tutto, quella è la parte più tranquilla di tutto ciò che sarebbe potuto accadere […]. Le conseguenze avrebbero potuto essere molto più gravi se non avessi mantenuto la calma, se non avessi avuto la possibilità di fare il lavoro che faccio ed essere riconosciuto in tempo. Quali sarebbero state le conseguenze? Mi avrebbero portato in centrale? Questo porta a farmi molte domande. Non è accettabile mettere così tanto in pericolo la vita delle persone” ha affermato il calciatore. Nonostante la Questura di Milano si sia “giustificata” dicendo che il presunto sospettato aveva le stesse caratteristiche di Bakayoko – in particolare per il fatto di indossare una maglietta verde, di essere nero e di trovarsi all’interno di un suv – risulta evidente che ciò non può bastare per giustificare un tale comportamento da parte delle forze dell’ordine (anche perché, banalmente, la descrizione non era altro che una generalizzazione grave su tutti gli uomini neri che in quel momento indossavano una maglietta verde).
La sorte delle altre persone afro o arabo-discendenti, per esempio, che non possono salvarsi con la fama, la classe sociale di un certo livello, un nome altisonante e la possibilità di giocare per una squadra di Serie A, è molto diversa: la profilazione etnica (dalle stazioni ferroviarie fino alle vie delle città) è una pratica molto comune che va dalle forze di polizia al sistema giudiziario stesso. La profilazione etnica è un fenomeno ampiamente studiato soprattutto negli Stati Uniti, dove il razzismo istituzionale si abbatte costantemente soprattutto sulle persone afrodiscendenti. Secondo il rapporto Police Violence Against Afro-descendants in the United States (2018) della Commissione Interamericana dei Diritti Umani le comunità afroamericane sono soggette non solo a leggi repressive adottate da diverse amministrazioni locali e dalle forze di polizia che da loro dipendono, ma anche alla profilazione etnica. Negli Stati Uniti questa pratica ha preso piede già nel 1700, quando gli slave patrol formati da squadroni di persone bianche si occupavano di sorvegliare le persone nere che vivevano nei ghetti per rafforzare le regole su cui si basava la schiavitù e prevenire rivolte e tentativi di fuga. È a causa della profilazione etnica che il 23 febbraio del 2020, per esempio, Ahmaud Arbery è morto mentre faceva jogging in un parco di Brunswick (Georgia, USA): inseguito da due persone bianche – in quello che è stato definito un vero e proprio linciaggio – è stato ucciso a colpi di fucile perché una delle due, un ex poliziotto, ha sostenuto che avesse un “comportamento sospetto”.
Benché si tenda a pensare che il razzismo strutturale e sistemico sia solo una questione “statunitense”, bisogna tener presente che quest’ultimo è profondamente presente in Europa. Ad esempio, in Francia, la brutalità sistematica della polizia, che si abbatte soprattutto nelle banlieues, ossia nei sobborghi e nelle periferie delle città, non è nuova. I gruppi sociali più colpiti da questo genere di violenze, anche questa volta, sono le persone afro e arabo-discendenti che sono tra i gruppi sociali – colpiti da alti tassi di disoccupazione ed emarginazione sociale – che sono stati progressivamente allontanati dai quartieri centrali anche a causa della gentrificazione.
Le minoranze etniche, soprattutto se si tratta di persone molto giovani, oltre a soffrire di più il peso delle disuguaglianze, sono anche le vittime principali delle forze dell’ordine. Nel rapporto “They Talk to Us Like We’re Dogs”. Abusive Police Stops in France (2020), di Human Rights Watch, viene evidenziato come le persone appartenenti alle minoranze etniche vengano fermate più volte e senza alcuna ragione. “La polizia francese usa ampi poteri per fermare e perquisire i giovani neri e arabi anche quando non ci sono segni o prove di illeciti. Questi “controlli d’identità”, come vengono chiamati in Francia, spesso comportano perquisizioni invasive di borse e cellulari e umilianti perquisizioni corporali, anche di bambini di appena 10 anni. Nei quartieri poveri, dove le persone di origine immigrata rappresentano un parte significativa della popolazione, Human Rights Watch ritiene che la polizia utilizzi i controlli di identità come uno strumento contundente per esercitare l’autorità” viene affermato nel rapporto. Nello stesso vengono riportati diversi abusi e umiliazioni causati dalle forze dell’ordine, tra cui l’esperienza di giovani come Boubacar Dramé che, nel 2019, dopo aver aiutato una donna a ritrovare la propria figlia smarrita, è stato arrestato a seguito di un “controllo d’identità” immotivato. La situazione è degenerata quando la polizia lo ha violentemente spinto a terra durante l’arresto per poi portarlo in caserma, dove Dramé ha subito ulteriori abusi; successivamente, dopo aver trascorso una notte in cella senza alcuna accusa motivata, è stato rilasciato.
Nel rapporto Being Black in the EU (2018) – effettuato dal European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) su 12 stati membri: Austria, Danimarca, Italia, Lussemburgo, Finlandia, Svezia, Germania, Irlanda, Francia, Malta e Regno Unito (prima della finalizzazione della Brexit) – tra le persone intervistate sulle discriminazione razziali e che sono state fermate dalla polizia, il 44% ha affermato di aver subito profilazione etnica: in Italia il 70%, in Austria il 63%. In un altro rapporto realizzato sempre dal FRA – Your rights matter: police stops (2021) – è stato evidenziato come in Italia, per esempio, il 71% delle persone immigrate o afrodiscendenti ha ritenuto che le forze dell’ordine si siano comportate in maniera irrispettosa durante i fermi di polizia, mentre solo il 14% delle persone bianche ha riscontrato lo stesso atteggiamento.
Quello della profilazione etnica è ancora un fenomeno poco osservato e monitorato in Italia, ma che è necessario iniziare ad approfondire e seguire con maggiore attenzione. Con il fine di salvaguardare i diritti delle persone fermate o arrestate sulla base di un pregiudizio, ma anche come strumento di contrasto al problema del razzismo strutturale e istituzionale che spesso viene perpetuato ai danni di chi ha un colore di pelle o provenienza differente.
Foto copertina via Flickr/GoToVan.