È domenica pomeriggio e 15 persone sono collegate su zoom per imparare il linguaggio di programmazione. Sono tutti e tutte rifugiati o richiedenti asilo arrivati in Belgio negli ultimi anni. Hanno da poco iniziato un periodo di formazione gratuito di 6 mesi fornito dall’associazione “Hack Your Future Belgium” con l’obiettivo finale di ottenere uno stage o un lavoro nel settore. Tra di loro c’è Yavuz, giornalista turco arrivato in Belgio nel 2016 dopo il tentato colpo di stato a Istanbul, che ricorda così il suo arrivo in Europa “Sono stato costretto a lasciare il mio Paese per motivi politici e mi sono trasferito per raggiungere la mia famiglia. Nonostante Bruxelles fosse il centro d’Europa, all’inizio per me era impossibile continuare a fare il giornalista dato che non parlavo francese o olandese. Così ho deciso di fare domanda per il programma di formazione per imparare le conoscenze informatiche base, acquisire esperienza come sviluppatore e per far nascere un mio progetto.”
Secondo il commissariato generale belga per i rifugiati, nel 2020 16.910 persone hanno presentato domanda di asilo in Belgio, un numero inferiore rispetto agli anni precedenti a causa della pandemia da Covid-19. Di queste 4.888 hanno ricevuto lo status di rifugiato e 948 di protezione sussidiaria. Al contempo, il Paese ogni anno ha una carenza tra i 15 mila e 20 mila lavoratori nel settore dell’informatica e programmazione.
Dal 2018 a oggi, 188 rifugiati o richiedenti asilo di età compresa tra i 18 ei 50 anni hanno partecipato al programma di Hack Your Future Belgium. Le lezioni si svolgono la domenica per una durata di 8 mesi e sono tenute da coach volontari. Durante la settimana, gli studenti fanno i compiti a loro assegnati a casa, ma possono porre domande ai coach tramite chat di messaggistica. Sono necessarie più o meno 5 ore al giorno di lavoro per completare i compiti per il fine settimana successivo. Il programma è stato avviato nei Paesi Bassi ed è stato esportato anche in Canada e Danimarca.
“Abbiamo scelto di fare le lezioni nel fine settimana in modo che le persone potessero seguire corsi di lingua o lavorare e prendersi cura dei propri figli. Vogliamo essere il più inclusivi possibile”, spiega Lien Arits, responsabile della comunicazione del programma. I candidati non necessitano di alcuna conoscenza pregressa o attrezzatura specifica. Vengono selezionati tramite un test e un colloquio per valutare la loro motivazione e il livello intermedio di lingua inglese.
“Il 90 per cento delle persone che partecipano al programma ha già una laurea – di questi il 50 per cento ha un master – ma i rifugiati hanno ancora un divario culturale e linguistico dopo la fine delle lezioni”, afferma Manon Brulard, fondatrice di Hack Your Future Belgium. Molti sono quindi i partecipanti già altamente qualificati, ma resta per loro da affrontare un divario culturale e il tempo per raggiungere una piena integrazione.
“Ci sono aziende che vedono questo come un fattore di rischio, perché non hanno familiarità con i dipendenti appena arrivati. Noi cerchiamo di facilitare questo processo e dare alle aziende l’opportunità di migliorare la loro responsabilità sociale d’impresa” ha aggiunto Brulard.
Nadia Ferreira, coach di Hack Your Future Belgium e designer portoghese di UX design che lavora nel settore da dieci anni, sottolinea l’orizzontalità delle relazioni durante i corsi: “C’è una collaborazione multilivello: fra gli studenti e i coach. Io aiuto gli studenti a creare i CV e portfolio e dare loro consigli sulla carriera professionale e sul mercato del lavoro in Belgio”. Ferreira sottolinea anche gli aspetti motivazionali dei partecipanti: “Li guidiamo su base individuale solo quando hanno domande. I candidati non devono avere una laurea in scienze informatiche, ma devono dimostrare che sono disposti a imparare e praticare le conoscenze acquisite”.
Il programma, dopo due anni di attività, ha avuto buoni risultati nel dare la possibilità di lavorare nel settore informatico: “l’85% dei partecipanti ha trovato uno stage, un lavoro o ha iniziato un percorso di studi. Stimiamo che il 60% dei nostri studenti ottenga un lavoro stabile subito dopo”, afferma la CEO Manon Brulard. Hack Your Future cerca di incoraggiare anche le donne a candidarsi poiché esiste un ampio divario di genere nella forza lavoro del settore informatico in Belgio: secondo la Commissione europea, nel 2019 solo il 17,7% delle persone impiegate nel settore erano donne.
Akbel, immigrata turca di 30 anni, non aveva alcuna esperienza di programmazione prima di fare domanda per il programma – che ha cambiato la sua vita: “Due mesi dopo la fine delle lezioni ho trovato un lavoro come sviluppatrice front-end”. Akbel ha apprezzato molto l’approccio learning by doing del corso. “Come madre di due figli ho potuto organizzarmi e studiare da sola. I coach erano lì non per insegnare, ma per guidarci”, dice. Il punto di forza era anche la parte di mentoring, aggiunge Akbel: “Ogni tre settimane una persona di un’azienda veniva a trovarci e ci spiegava come funziona il mercato del lavoro. Ciò è stato utile per ampliare la nostra rete, testare le nostre capacità nei colloqui di lavoro e migliorare la fiducia in noi stessi nella ricerca di un impiego”.
Floor Verhaeghe, coordinatrice del CESSMIR (Center for the Social Study of Migration and Refugees) all’Università di Ghent, sottolinea che “l’integrazione non è solo un fenomeno socio-economico, ma ha anche a che fare con la capacità di provare un senso di appartenenza una comunità”.
Hack Your Future è riuscita a creare quel senso di comunità, secondo Yavuz: “Essere un rifugiato in un nuovo paese è difficile: non avevo amici né una rete professionale. Il programma mi ha dato l’opportunità di incontrare persone. La cosa più importante per me non è stata solo partecipare alle lezioni, ma avere affianco a me una comunità di persone che Hack Your Future ha contribuito a creare.”
Ma il progetto ha ancora del lavoro da fare in termini di inclusività, come sottolinea Brulard: “Vorremmo avere dei rifugiati all’interno del team per capire meglio le loro esigenze”. Le fa eco Lien Arits che aggiunge: “Ci stiamo concentrando verso un migliore equilibrio tra hard skills e soft skills. Vogliamo approfondire il nostro modulo di coaching lavorativo alla fine del programma, per guidare gli studenti di più verso l’esperienza professionale e una piena integrazione.”
Come osserva Verhaeghe infatti “la sola conoscenza della lingua locale non è l’unico modo per trovare un lavoro e integrarsi. Perché questo ha messo molta responsabilità nei confronti dell’individuo e ci sono altri meccanismi che possono influenzare l’integrazione come il razzismo e la discriminazione”. Il team di Hack your Future vuole combattere ancora di più tutto ciò creando più collaborazione e utilizzare un approccio più inclusivo.
Foto di copertina di Lien Arits