La realtà migratoria, come ogni altro processo sociale, e in quanto “fatto sociale totale” (Sayad, 2002), è “una costruzione sociale complessa e articolata, che non si riduce all’atto del muoversi da un posto all’altro, ma che si compone di contesti e formazioni sociali, culturali e territoriali diversi, di istituzioni normative ed organizzative, di pratiche formali ed informali, di conoscenze e competenze tecniche o affettive, di credenze individuali e collettive e, non da ultimo, di un immaginario composito – fatto di mitologie, racconti e immagini – rispetto al quale oggi i media mainstream e i social media giocano un ruolo sempre più centrale”. Nelle prossime pagine, proviamo a riassumere i tratti principali della rappresentazione della migrazione nella stampa e nell’informazione televisiva, come emerso dai rapporti della Carta di Roma, elaborati in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia.
Migrazioni a parole: 8 anni di lessico dei titoli della stampa
La migrazione interessa l’Italia da diversi decenni, eppure l’analisi diacronica sulle mutazioni lessicali della Carta di Roma relativa agli ultimi otto anni rileva l’esistenza di un filo conduttore nell’informazione italiana sul fenomeno migratorio dal 2013 a oggi: la crisi permanente, “infinita”, che muta e assume diverse sfaccettature, ma che persiste come cornice costante nella rappresentazione.
A scorrere le prime pagine dei quotidiani nei diversi anni colpisce la permanenza del frame della crisi. Così, se nel 2013 le parole della migrazione si collocavano entro la cornice di una “crisi umanitaria” – con il termine “Lampedusa”, luogo di ospitalità e tolleranza, ma anche di emergenza e di tragedia, come parola simbolo – nell’anno successivo la cornice di riferimento è quella della “crisi inarrestabile”. Il 2014, anno caratterizzato da un incremento di arrivi, vede protagonista una narrazione arricchita di metafore naturali e belliche (esodo, odissea, ondata, invasione).
Nell’anno successivo, il 2015, cresce la tematizzazione politica del fenomeno migratorio, pertanto alla cornice di “crisi umanitaria” e “inarrestabile” degli anni precedenti si aggiunge quella di “crisi politica”. La questione migratoria, in quell’anno, diventa una “crisi europea” dei rifugiati: si incrementa il confronto tra i Paesi membri relativo alle quote di redistribuzione e la messa in discussione degli accordi europei. Tanto che, nell’anno successivo, la “crisi politica” inizia a mettere in discussione gli stessi principi dell’Unione Europea, in primis la libera circolazione. Il 2016 è dunque l’anno della “crisi sistemica” dell’Unione stessa: “muri” – ai confini dell’Europa e al suo interno – è il termine simbolo di quel periodo.
Nel 2017 si insinua il sospetto sull’operato delle organizzazioni non governative impegnate nelle operazioni di ricerca e soccorso in mare: da “angeli del mare”, i volontari del soccorso si trasformano velocemente in “taxi del mare”. Si determina, così, una “crisi di rigetto”, alimentata da sospetto e ansia. Emozioni che vengono strumentalizzate dalla politica, tanto da determinare il passaggio da una “crisi di rigetto” a una “crisi valoriale”. Nel 2018, anno di elezioni parlamentari, protagonista assoluto nei titoli della stampa è “Salvini”. È proprio lui a introdurre nel racconto delle migrazioni il termine “pacchia”, la parola che ha aperto la strada al rifiuto senza precedenti delle autorità italiane di accogliere i naufraghi nei porti italiani. Un termine che la Treccani ci ricorda essere un “deverbale di pacchiare, «mangiare con ingordigia», usato per indicare una condizione di vita facile e spensierata”. Nel 2019, al leader della Lega Matteo Salvini si è affiancata come parola simbolo l’attivista umanitaria “Carola”: protagonista di una narrazione dentro una “crisi divisiva”, dove la polarizzazione delle posizioni si amplia.
Nel 2020 le parole della migrazione sono legate alla pandemia, in una cornice di “crisi sanitaria”: chi arriva dal mare prima era solo un clandestino, adesso è un clandestino infetto, untore. Il Covid-19, nel linguaggio giornalistico, ha fagocitato il tema delle migrazioni e lo ha trasformato a sua immagine, senza alternarne il valore negativo.
I protagonisti della migrazione
Le analisi svolte all’interno dei rapporti della Carta di Roma hanno messo in luce come le voci dei migranti nei media italiani soffrano ancora di una sostanziale invisibilità. La presenza in voce nei servizi dei telegiornali è un elemento cruciale per la visibilità dei soggetti o delle categorie sociali, eppure – nonostante la continua attenzione mediatica al fenomeno – immigrati, migranti, richiedenti asilo e rifugiati hanno voce solamente nel 7% dei servizi, lo stesso valore dell’anno precedente, in generale in linea con i valori degli anni precedenti.
Un dato ancora più rilevante se si considera che la percentuale si ferma allo 0,4% guardando tutti gli interventi presenti nell’agenda dei telegiornali. Inoltre, nel corso degli anni, permangono alcune cornici che accompagnano le interviste a migranti e rifugiati, tra le quali:
- La “fragilità”, contesti o racconti di crisi in cui gli “stranieri” sono descritti come persone bisognose di aiuto.
- Il degrado, situazioni ai margini della legalità, che vengono inquadrate nel frame dell’alterità e della minaccia.
Dal 2020 e per una buona parte dell’anno precedente, a seguito dell’omicidio di George Floyd e delle proteste dei movimenti anti-razzisti, l’informazione di prima serata ha dato spazio alle voci delle vittime della discriminazione di matrice razzista e xenofoba. Eppure, nei primi 6 mesi del 2021, la rilevazione svolta nei notiziari di prima serata – tra le principali fonti di informazione per una quota significativa dei cittadini – evidenzia la permanenza di una sotto-rappresentazione degli esponenti della società multi-culturale: 2,1% nei primi sei mesi del 2021.
Nonostante la società italiana sia ormai ricca di professionisti afro-discendenti, di persone nate e cresciute in Italia, di esperti che hanno scelto l’Italia come paese in cui vivere e lavorare, di persone che sono in grado di darci una lettura di temi, anche molto complessi del nostro mondo, permane la loro assenza nei contenitori informativi, soprattutto in qualità di esperti.
I temi e i luoghi della migrazione
Scorrendo gli ultimi otto anni della comunicazione mediatica sulla migrazione due dati colpiscono: da un lato, la centralità delle frontiere via mare e via terra, presenti in modo significativo nell’informazione italiana, nel biennio 2015-2016; dall’altro, lo spostamento dell’attenzione, negli anni più recenti, ai confini di “prossimità”, una sorta di progressiva “provincializzazione” dei confini. Una copertura mediatica di Lampedusa come emblema della rotta del Mediterraneo Centrale, di Trieste, della Slovenia e dei Balcani, come simboli della rotta balcanica appunto, con le altre frontiere – la Spagna, il confine italo-francese, Malta, la Grecia – che risultano del tutto sfocate.
Il tema della gestione dei flussi migratori si impone nell’agenda dei media mainstream a partire dal 2015: è la seconda voce per rilevanza (con il 22% di spazio) nei principali quotidiani nazionali e nell’informazione televisiva ed è la dimensione in cui si concentrano “il mare” e “la terra”, le tragedie dei naufragi, gli sbarchi a Lampedusa, gli attraversamenti a piedi dei confini europei, i muri, le attese nelle stazioni e davanti alle frontiere, la sofferenza delle persone durante la permanenza in Libia e le traversate. Nell’anno successivo, il 2016, la narrazione dei flussi migratori non solo diventa la prima voce dell’agenda, ma registra un significativo cambiamento della cornice in cui sono collocate le notizie. Le frontiere sono rappresentate iconicamente dai muri, dalle attese davanti al filo spinato, dalle condizioni drammatiche nei campi di accoglienza. Racconti che si “muovono” insieme a migranti e rifugiati durante tutto l’anno, e che alternano contesti e scenari quando una “rotta” si sostituisce a un’altra.
Proprio nel corso del 2016, la questione dei confini risulta cruciale: più della metà dei titoli della stampa (il 57%) si concentra su muri e sui confini, dalla Grecia ai Balcani, dall’Ungheria alla Macedonia, da Ventimiglia al Brennero, sono storie di attese, di disordini, di disperazione, tutte accomunate da una sorta di sospensione per quello che accadrà altrove, a Bruxelles, a Berlino, a Roma.
La restante parte di titoli/notizie (il 43%) racconta la cronaca degli sbarchi e delle tragedie del mare, con al centro Lampedusa, simbolo dell’approdo via mare in Europa. Alcuni luoghi divengono il simbolo della difficoltà nella gestione dell’accoglienza: la giungla di Calais e le altre “giungle” in Italia (a Como, a Monza, nel bergamasco) che entrano nel linguaggio televisivo e della stampa per indicare tutti gli stanziamenti temporanei forieri di disordine e degrado. È l’anno delle “barricate anti-profughi”, delle proteste e delle immagini dei respingimenti.
Dal 2017 a oggi, i confini entrano nell’agenda in occasione di eventi drammatici: la chiusura delle frontiere, gli incendi a Lesbo, gli scontri sul confine greco-turco, le attese, il freddo, e le precarie condizioni di vita sulle rotte di approdo in Europa. Parallelamente a una rappresentazione mediatica dei flussi migratori “emergenziale” (l’allarme invasione), si accompagna una richiesta sempre più condivisa da parte dei cittadini – italiani ed europei – di sorveglianza delle frontiere. Come osserva il politologo Ilvo Diamanti: “Più della sfiducia nell’Unione europea e nelle sue istituzioni di governo, infatti, è la “paura degli altri” che alimenta la domanda di rafforzare il controllo delle frontiere. E contribuisce, in qualche misura, a far crescere la nostalgia dei muri. Come se le frontiere e gli stessi muri potessero “chiudere” (e proteggere) un Paese “aperto” come il nostro”.
Nel 2020 sono 128 i titoli con le parole “confini” e “frontiere”, associati non solo alle chiusure e agli scontri lungo i luoghi di confine ma anche all’emergenza sanitaria del Covid-19: “Virus: la Ue di Schengen blinda i confini”, “il virus ridisegna i nostri confini”, “chiudere i confini della Ue”.
Questo approfondimento fa parte dell’e-book: “A 30 anni dallo sbarco della Vlora. Breve viaggio nell’Italia che si è scoperta paese di immigrazione“.
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In copertina: foto di Nabil Saleh via Unsplash