Le vicende tunisine riguardano l’Italia per più aspetti: la vicinanza geografica, i soldi pubblici dati allo Stato africano per “contrastare la migrazione illegale”, le persone in fuga dalla Tunisia che arrivano sulle coste italiane, e i legami politici con il governo di Saied che, secondo la ricercatrice tunisina Yasmine Akrimi, ha sancito la fine delle istituzione democratiche nate durante la rivoluzione del 2011.
Il sei ottobre scorso, il 90,7% dei voti alle elezioni presidenziali in Tunisia hanno affermato davanti agli occhi del mondo il potere di Kais Saied. Con un tasso di astensionismo del 71,2%, si sono recati alle urne circa 2.300.000 cittadini in meno rispetto alle precedenti elezioni del 2019, su una popolazione di 11.887.412 persone – calcolo fatto sui dati dell’Institut national de la statistique (Ins).
Tre anni fa l’equilibrio di potere nel Paese è cambiato. Il 25 luglio 2021 Saied ha mobilitato l’esercito per presidiare i palazzi del governo e dei canali televisivi pubblici, ha rimosso il primo ministro, ha sciolto il parlamento – in seguito ricomposto con soli deputati apartitici – e ha imposto lo stato di emergenza. In un discorso pubblicato quel giorno sulla pagina Facebook della presidenza della Repubblica, Saied ha dichiarato, in presenza di capi dell’esercito e delle forze di sicurezza, che le misure messe in atto sono dovute a «molti [che] provano a infiltrarsi o a cercare rifugio nelle forze armate» e che «risponderà con le armi [a chi] spari un solo proiettile». Ha parlato di «molti che, purtroppo, sono di indole ipocrita, traditrice, e ladri dei diritti del popolo tunisino».
Il governo di Saied ha utilizzato Facebook, lo stesso social media che nel 2011 era stato usato come canale di organizzazione per la rivoluzione, per diffondere discorsi riguardanti decreti, atti politici e complotti. Michel Camau, ricercatore esperto di mondo arabo e musulmano, ha scritto, riferendosi a questi ultimi, che «gli show si svolgono già prima dei processi». Camau li ha definiti sceneggiature «di presunti complotti, crimini e delitti [che] sta alla magistratura […] giudizializzare». Secondo lo studioso, questo procedimento mira alla repressione di «partiti politici [e] corpi intermedi inclini all’espressione di opinioni critiche». Camau ha sottolineato che Saied «fa ricorso a una retorica di tipo coranico, facendo così riferimenti a miscredenti e corrotti».
Alcuni giornalisti e i ricercatori tunisini hanno definito gli eventi del 25 luglio 2021 un colpo di Stato. Secondo il presidente Saied sono, invece, l’inizio di un «processo di riforma». I numerosi decreti legge emanati dopo il 25 luglio hanno di fatto riformato numerosi aspetti della vita politica, giuridica e sociale del Paese.
Il 5 settembre 2022 Saied ha incontrato il presidente dell’Instance supérieure indépendante pour les élections (Isie), Farouk Bouasker, per parlare della nuova legge elettorale, che dieci giorni dopo, tramite il decreto legge n.55, ha emendato la legge n.16 del 2014 su Elezioni e referendum. In quell’occasione Saied ha dichiarato: «sarà redatta una legge elettorale che terrà conto delle osservazioni e delle proposte che saranno presentate ai sostenitori del processo di riforma del 25 luglio». Le elezioni legislative del gennaio 2023, regolate dalla nuova legge elettorale, sono state boicottate da numerosi partiti politici: Ennahdha – ‘Il risorgimento’, partito islamista-conservatore – il Partito desturiano libero (Pdl) – partito di centro destra che richiama nel nome la costituzione, dustur – e altri partiti di sinistra. Le elezioni del 2023 sono passate alla storia per il record nel tasso di astensionismo: l’88% della popolazione non ha espresso il proprio voto.
Un altro decreto, di febbraio 2022, ha modificato l’ordinamento della magistratura. Ha previsto lo scioglimento del Consiglio superiore della magistratura (Csm), organo nato all’interno del processo democratico innescato dalla fine della dittatura di Ben Ali e preposto alla nomina dei giudici. Ha istituito un nuovo Csm temporaneo – ancora vigente – i cui consiglieri sono in parte nominati dal presidente della Repubblica, che ha il potere di destituire «ogni giudice che manca al proprio dovere professionale». Da giugno 2022, a giustificare “la mancanza” del giudice è sufficiente un rapporto della polizia. A qualche ora dalla notizia del decreto, migliaia di persone sono scese nelle strade di Tunisi per protestare.
Il decreto legge n. 54 promulgato a settembre del 2022 – negli stessi giorni della nuova legge elettorale – ha destato la preoccupazione dell’organizzazione internazionale Reporter sans frontières (Rsf) per la limitazione della libertà di informazione in Tunisia. Nell’articolo 24 del testo viene sancita la condanna a cinque anni di carcere – o dieci se si tratta di un dipendente pubblico – per chi diffonde «voci o notizie false». «Mentre il decreto stabilisce delle sanzioni», ha scritto Rsf, «non dà nessuna definizione di “notizia falsa”».
Questo articolo fa parte di una serie. Questo il primo articolo “Se questo è un Paese sicuro“.
Foto copertina via Wikimedia/Creative Commons