Lo scenario internazionale ogni giorno ci riserva enormi sorprese. Chi ha vissuto una parte della propria vita nel ‘900 non avrebbe mai potuto immaginare i terremoti geo-politici in corso, nelle cui faglie ci ritroviamo senza parole e senza possibilità di modificarne il trend distruttivo. In un mondo che sta cambiando a ritmi impressionanti, l’Iran continua a essere purtroppo uguale a sé stesso da troppo tempo, ossia un luogo ostile per le donne e per i dissidenti. Il caso di Cecilia Sala, ingiustamente detenuta nelle carceri iraniane, ha posto all’attenzione pubblica, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la condizione delle donne, dei diritti umani, della libertà di opinione e delle carceri in quel Paese. Il nostro Governo è intervenuto con prontezza. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha svolto un ruolo di primo piano per la liberazione di Cecilia Sala.
L’Iran è un Paese multiforme, con una società civile densa e ricca. Il movimento delle donne ha avuto la forza di opporsi al regime. Il coraggio di ragazze, studentesse, giovani e meno giovani donne di sfidare la polizia morale merita rispetto e riconoscenza. Alle donne iraniane è chiesto di essere silenziose, irriconoscibili, anonime nella vita pubblica. Gli uomini che lottano al loro fianco rischiano la vita, come è accaduto al rapper Toomaj Salehi, condannato a morte per il suo sostegno alle proteste che ci sono state nel 2022 a seguito della morte di Mahsa Amini. Fortunatamente da dicembre è tornato libero. Durante la detenzione, Salehi ha denunciato di aver subito torture, tra cui percosse e periodi prolungati di isolamento. Condizione che ha potuto assaporare anche Cecilia Sala. Il rilascio di Toomaj Salehi è avvenuto in sordina, allo scopo di evitare assembramenti o concerti improvvisati, data la sua enorme popolarità in Iran. Attualmente Salehi è libero, la società iraniana è viva, le donne continuano ad avere coraggio, ma in Iran si continua a vivere nella paura. E a volte la situazione per i dissidenti è insostenibile. Non resta che andarsene dal paese per vivere, o meglio, per sopravvivere. È difficile andarsene in gruppo o scappare portandosi dietro mamma e papà o i figli. La lettura di un classico graphic novel come Persepolis aiuta a capire la condizione di chi scappa e quella di chi resta.
Da qualche tempo sta accadendo che l’Ambasciata d’Italia a Teheran respinge le domande di ricongiungimento familiare presentate da chi è già rifugiato nel nostro Paese o in un Paese terzo. Si sostiene che le prove documentali attestanti il rapporto di stretta parentela presentate dal rifugiato o dalla rifugiata non sarebbero sufficienti, oppure risulterebbero inaffidabili o comunque sarebbero impossibili da reperire.
Va però detto che per ovvie ragioni di sicurezza il rifugiato non può rivolgersi a chi vuole perseguirlo, ossia alle autorità iraniane, per comporre la documentazione anagrafica dei suoi familiari. Se così facesse li metterebbe a rischio. Sarebbe dunque importante che tale indagine anagrafica fosse condotta in forma discreta da parte delle autorità italiane in Iran che dovranno rilasciare i visti. Il tutto allo scopo di salvare donne uomini che ogni giorno rischiano la vita, solo perché non accettano di essere succubi al potere teocratico. È questo l’unico modo per aiutarle. Sarebbe decisivo, ad esempio, se l’ambasciata italiana a Teheran si organizzasse per effettuare in loco il test DNA, allo scopo di verificare il grado di parentela, senza rivolgersi alle autorità iraniane. Dal 2005 il Ministero degli Esteri ha stipulato un accordo di collaborazione con l’OIM per l’effettuazione del test, che risolverebbe l’impasse burocratico. Aiutare le famiglie a ricongiungersi significa salvare vite innocenti alle quali tutti noi dobbiamo essere grati.
Immagine di copertina: I manifestanti da tutta Europa sfilano contro il regime in Iran e per la libertà, Berlino, Germania (22 ottobre 2022). Crediti: C.Suthorn / cc-by-sa-4.0 / commons.wikimedia.org, attraverso Wikimedia Commons