Storico. L’aggettivo è risuonato da più parti, da quando la commissaria europea Ylva Johansson e il ministro degli interni francese Gerald Darmanin, ieri pomeriggio, hanno annunciato l’accordo sulla direttiva per la protezione temporanea in relazione alla guerra in Ucraina. È la prima volta, infatti, che gli stati Ue si accordano per utilizzare questo strumento legislativo introdotto nel 2001, dopo i conflitti nei Balcani, per regolare l’afflusso massiccio di sfollati e fornire loro protezione.
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In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, i leader europei hanno preso più di una decisione senza precedenti. E, ora, lo hanno fatto anche in materia di migrazioni, dopo che per anni, in occasioni delle crisi legate a Tunisia, Siria e Afghanistan, la società civile aveva invocato la direttiva 55/2001 senza alcun successo. Nel giro di una settimana, invece, i ventisette stati si sono accordati e, nel corso della giornata di oggi, verrà reso pubblico il testo che renderà la decisione ufficiale, accogliendo gli appelli fatto anche in questo caso da molte organizzazioni.
“L’Unione Europea ha fatto ciò che doveva fare. Questa direttiva non è perfetta, ma garantisce protezione immediata e ha diversi punti positivi, come lavoro e istruzione”, commenta Salvatore Petronella, esperto di politiche migratorie e autore di uno studio proprio sulla 55/2001.
Cosa prevede la direttiva
La direttiva garantisce agli sfollati una protezione temporanea di un anno, rinnovabile fino a tre, che dovrebbe consentire loro “di godere di diritti armonizzati in tutta l’Unione”, ottenendo “un permesso di soggiorno, la possibilità di esercitare un’attività lavorativa dipendente o autonoma, l’accesso a un alloggio adeguato, l’assistenza sociale necessaria, l’assistenza medica o di altro tipo, e mezzi di sussistenza”, si legge nella proposta della Commissione.
“Senza questo strumento di protezione immediata, centinaia di migliaia di persone non avrebbero invece avuto altra scelta che fare domanda d’asilo nel paese di primo arrivo. Questo avrebbe portato ad un ulteriore sovraccarico dei sistemi d’accoglienza nazionali, che è qualcosa che nessun paese europeo si può permettere in questo momento”, spiega Alberto‑Horst Neidhardt, analista dell’European Policy Centre.
La direttiva riguarderà i cittadini ucraini, i cittadini di paesi terzi con permesso di lungo periodo e i titolari di protezione internazionale residenti in Ucraina. La protezione temporanea non sarà invece garantita ai cittadini di paesi terzi con permessi di soggiorno brevi, come i molti studenti non europei che hanno denunciato episodi di razzismo nelle ultime ore: per loro la Commissione dice che le frontiere rimangono aperte e che verranno sostenuti nel rientro nei loro paesi di origine.
Cosa non prevede la direttiva
La direttiva 55/2001, però, non riguarda le procedure alla frontiera, per le quali la Commissione ha pubblicato solo delle linee guida. E non prevede nemmeno meccanismi di solidarietà: nessuna quota e nessun ricollocamento obbligatorio, come in passato. L’approccio sarà “fluido”, ha spiegato un funzionario della Commissione Ue: ciascuno stato valuterà la propria capacità di accoglienza e verranno fatte delle valutazioni una volta che le persone in fuga dall’Ucraina si stabiliranno nei diversi paesi.
I cittadini ucraini, infatti, dal 2017, possono entrare in Ue e restarvi per 90 giorni senza bisogno di un visto, con il solo passaporto biometrico. Questo consentirà ai profughi di muoversi all’interno dell’Ue, fermandosi dove meglio credono, magari da amici o parenti, dove la diaspora è più numerosa, come in Italia. È una differenza enorme rispetto alle politiche passate e attuali che, per il regolamento di Dublino, obbligano i richiedenti asilo a fare domanda di protezione internazionale nel paese di ingresso.
Perché?
Il cambiamento, per quanto limitato alla crisi ucraina, è evidente. Nelle modalità e nei contenuti. “L’adozione unanime della direttiva è una decisione storica ed è in netto contrasto con le divisioni tra gli stati membri che hanno minato il consenso negli ultimi anni”, aggiunge Lucas Rasche, analista del Jacques Delors Centre di Berlino. “Si è passati da uno schema molto repressivo a uno in cui le persone sono libere di muoversi e fare scelte”, riassume Lina Vosyliūtė, ricercatrice del think tank CEPS.
Per Petronella, le motivazioni sono diverse. Una è anche geografica: “l’Ucraina è alle nostre porte, con un lungo confine terrestre e non marittimo. La crisi siriana è stata tamponata grazie alla Turchia, che stava in mezzo. Tra noi e la crisi attuale non c’è nulla e quindi va affrontata”. Secondo Vosyliūtė, “per l’Ue, accogliere gli ucraini è la seconda migliore opzione, dopo che si è deciso di non intervenire militarmente per difendere il paese”. Non solo. “Sono profughi che fuggono da un’invasione russa: nei loro confronti, vi è molta comprensione e solidarietà nei paesi ex sovietici che oggi fanno parte dell’Unione”, continua la ricercatrice, che è lituana.
“Guardando alle decisioni del passato e alle recenti dichiarazioni di alcuni leader politici, viene il sospetto che alcuni paesi membri non siano altrettanto disponibili a mostrarsi solidali con chi fugge da paesi con culture, etnie e religioni distinte”, ragiona Neidhardt. Certo, prosegue, “la sofferenza a pochi chilometri di distanza dai confini europei ha contribuito ad una differente percezione della responsabilità a cui la UE è stata chiamata”.
E adesso?
L’Unhcr stima che il numero di persone che potrebbero lasciare l’Ucraina potrebbe salire fino a quattro milioni, ma sono previsioni difficili e molto dipenderà dall’andamento delle operazioni militari. Quel che è certo, riprende Rasche, è che “un milione di rifugiati ucraini è arrivato in UE in una sola settimana mentre c’è voluto un anno per far arrivare in Europa così tanti rifugiati dalla Siria”.
È quindi fondamentale che la direttiva 55/2001 appena approvata venga recepita al meglio. “Ogni stato deciderà come attuarla, ma entriamo in un campo sconosciuto. Non essendo la direttiva mai stata utilizzata prima, è tutto nuovo. E andrà monitorato con grande attenzione”, conclude Petronella. Vosyliūtė concorda e parla di “sfide pratiche, come casa, lavoro, scuola, integrazione”. “L’Europa potrebbe guardare all’America Latina: in paesi come il Brasile o la Colombia esistono buone pratiche, adottate soprattutto per i rifugiati venezuelani”, propone.
Infine, c’è un altro livello su cui la decisione del Consiglio Ue potrebbe avere un impatto, quella della riforma delle regole Ue sull’immigrazione, da troppo tempo ferma. Secondo alcuni osservatori, quello ucraino potrebbe diventare un precedente positivo, per sbloccare lo stallo che da mesi incombe sul Patto per l’asilo e la migrazione, presentato dalla Commissione nel settembre 2020.
Molti hanno già detto e scritto della guerra in Ucraina come un punto di non ritorno per l’architettura Europea in materia di sicurezza e politica estera. Lo stesso si potrebbe dire anche per la migrazione e l’asilo”, ipotizza Neidhardt di EPC. Rasche del Jacques Delors Centre è, invece, più cauto. “Alcune riserve dell’ultimo minuto da parte dell’Ungheria su un possibile trasferimento dei beneficiari indicano che le posizioni non sono fondamentalmente cambiate nei paesi dell’Europa orientale. Ci sono buone ragioni per essere cauti nel pensare che l’adozione della direttiva sulla protezione temporanea porterà a un cambiamento di paradigma”.
In copertina: Ylva Johansson (European Commissioner for Home Affairs, European Commission). Foto via European Union.