Sembrava finalmente conclusa la vicenda giudiziaria che da anni coinvolge Cedric Herrou. Quarantenne, coltivatore di olive e allevatore di galline nella campagna poco fuori il piccolo borgo di Breil sur Roya, nella valle al confine tra Francia e Italia, da anni Herrou assiste i migranti che lì transitano, provando a oltrepassare la frontiera per raggiungere la Francia. Un’attività per cui subisce quella che il suo avvocato Zia Onoumi chiama “repressione politica”: fermi, controlli, processi.
Il 13 maggio la Corte d’appello di Lione sembrava aver messo la parola fine a tutto questo, con una sentenza che andava a confermare quello che già due anni fa, nel luglio 2018, avevano sancito i Saggi del Consiglio costituzionale francese: quello di Herrou è sempre stato ‘un aiuto disinteressato ai migranti’, e per questo, ‘indipendentemente dalla legalità del loro soggiorno sul territorio nazionale [..] non può essere oggetto di procedure giudiziarie [..] sia esso individuale o organizzato’.
Secondo il pronunciamento di Lione e prima ancora del Consiglio, il contadino ha agito ‘sulla base del principio di fraternità’. “Quello che da fastidio alla destra è che ciò che ho fatto rientra nei valori costituzionali della Repubblica. Sono un cittadino francese e onoro questi valori. Amo il mio paese, così come amo l’Italia, e anche l’Europa: i confini sono solo legislativi, amare una terra non impedisce di amarne altre, e con essa i vari popoli”, dichiarava Herrou all’indomani della sentenza del 13 maggio, lanciando un allarme sulla necessità di “non lasciare i principi repubblicani ai sovranisti”.
Ma la vicenda non è ancora chiusa: la Procura di Lione ha infatti presentato ricorso alla Corte suprema. L’appello mantiene quindi ancora aperto il procedimento, e si inserisce nel tentativo di “neutralizzare Herrou”, come afferma Oloumi, ricordando gli undici arresti che hanno coinvolto il suo assistito dal 2017, senza che il pubblico ministero abbia mai comprovato lo status irregolare delle centinaia di migranti aiutati: secondo l’avvocato un segno evidente che a interessare l’accusa non fossero i fatti, ma il peso politico della vicenda.
“Favoreggiamento dell’immigrazione irregolare” è l’accusa mossa contro Herrou, che nel 2017 è stato condannato a pagare una multa di tremila euro e a quattro mesi di carcere, sospesi con la condizionale, per aver aiutato duecento migranti ad attraversare il confine tra Italia e Francia e averne accolti una cinquantina. In realtà sono molte di più le persone con cui è entrato in contatto, soprattutto cittadini eritrei, sudanesi, somali, che ha portato in Francia con il suo furgone o ospitato nel suo terreno. Lo ricorda lui stesso, rivendicando le proprie azioni e sottolineando: “Spesso mi viene chiesto perché ho aiutato queste persone. In realtà si dovrebbe chiedere allo Stato perché non l’ha fatto, e perché condanna chi assiste persone in stato di necessità”.
“Reato di solidarietà”: così Herrou chiama le accuse che gli vengono mosse. Una definizione abbracciata anche da molti altri attivisti della zona, come lui coinvolti in procedimenti simili: sono infatti in molti a monitorare ciò che succede nell’area, e a mettere in atto pratiche di sostegno ai migranti. Secondo Oloumi, per loro dopo il pronunciamento della Corte di Lione dovrebbe essere più facile difendersi dalle accuse, anche se l’appello presentato dalla Procura mette ulteriore incertezza sulla conclusione della vicenda.
Quello che invece sembra restare sempre uguale, delineando una brutale certezza, è la situazione vissuta dai migranti in quest’area di confine. Sono numerose le denunce mosse da associazioni, ONG e gruppi di attivisti, ma anche dalla Commissione francese per i diritti umani e da alcuni rappresentanti parlamentari, a proposito delle violazioni di cui si macchia la polizia francese al confine con l’Italia. Con la ricerca ‘The brutal side of Cote D’Azur’, l’ufficio belga della Fondazione Rosa Luxemburg ha recentemente illustrato la situazione attuale, mettendo in luce la totale assenza di garanzie e tutela dei diritti dei migranti che provano a passare il confine, e la mancata presa in carico della situazione da parte delle istituzioni, tanto francesi quanto italiane e, allargando lo sguardo, europee. Racial profiling, detenzioni arbitrarie all’interno di container di lamiera, furti di documenti e telefoni sono all’ordine del giorno, corollario dei continui respingimenti che la polizia di frontiera francese mette in atto al confine, con procedure che violano gli accordi europei ma anche quelli specifici tra Italia e Francia.
Secondo il Controllore francese dei luoghi di privazione della libertà “le condizioni in cui vengono respinti i migranti impediscono loro di esercitare i propri diritti”. I dati del Ministero dell’Interno, forniti a seguito della richiesta di accesso agli atti avanzata dalle ricercatrici del lavoro della fondazione Rosa Luxemburg insieme all’associazione A Buon Diritto, confermano la situazione: “Il numero complessivo delle persone respinte dalla frontiera francese attraverso il valico di Ventimiglia è di 16808 nel 2019, e 2295 nel 2020 – dato aggiornato al 13 marzo”. Come denuncia la ricerca, tra le persone respinte molte hanno procedimenti di riconoscimento della protezione aperti in Francia, cosa che non ferma la polizia francese. Lo stesso vale per i minorenni: anche loro vengono rimandati in Italia, in aperta violazione del diritto internazionale.
Lo sa bene Martin Landry, 73enne residente a Menton, primo paese francese dopo il confine con l’Italia. Attivista di Amnesty International, Landry è sotto processo, accusata di ‘favoreggiamento dell’immigrazione irregolare’ per aver accompagnato all’ufficio di polizia di frontiera francese due migranti minorenni, con tanto di documento ad attestarne l’età.
Nel suo caso la difesa non potrà però fare appello al principio di fraternità sancito nella sentenza di Herrou: “Non è applicabile rispetto all’attraversamento del confine”, spiega Agnes Lerolle, avvocato con base a Nizza. Nella ricerca di un equilibrio tra la validità del principio costituzionale della fraternità e quella della legge che sanziona il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, infatti, il Consiglio costituzionale prima e la Corte d’appello di Lione dopo hanno limitato la priorità del primo al solo territorio nazionale. Nel dettaglio la Corte d’appello di Lione ha riconosciuto la costituzionalità del ‘principio umanitario’, regolamentandone l’applicazione rispetto alla legge di contrasto all’immigrazione clandestina: la conseguenza è che alcuni atti specifici, come la distribuzione di cibo e la consulenza legale, non costituiscono ora reato. Anche il trasporto di persone viene annoverato in queste azioni, facendo così venir meno la brutale semplificazione per cui chiunque dia un passaggio in auto a una persona migrante, sia anche quest’ultima priva di permesso di soggiorno, possa essere perseguibile come trafficante. Con l’applicazione del principio di fraternità si riconosce “la libertà di aiutare una persona, senza doversi far carico di accertare che questa abbia o meno uno status legale”, spiega Oloumi.
“Si tratta di un passaggio giuridico importante per chi aiuta i migranti in Francia, ma il principio di fraternità si ferma alla frontiera”, commenta Lerolle, aggiungendo che “resta comunque un segnale molto positivo per tutti noi: ha vinto la solidarietà”. Lerolle al momento gestisce Caffim, un coordinamento di organizzazioni e attivisti impegnati da anni nella denuncia dell’operato della polizia francese e nella promozione del rispetto del diritto d’asilo: “Noi ci battiamo perché la frontiera sia aperta per tutti, in questo senso la sentenza della Corte di Lione non cambia la realtà dei fatti”, spiega Lerolle. Una realtà fatta di controlli su base etnica, uso di spray al peperoncino, percosse, mancanza di mediatori, falsificazione di documenti ufficiali, detenzioni.
Che non è cambiata nemmeno durante l’emergenza sanitaria legata al Covid19: “A metà maggio – denuncia Lerolle – è stata respinta una giovane donna africana con il suo bambino di cinque anni, per di più malato, senza tenere in considerazione il loro diritto d’asilo e tanto meno l’attuale pandemia”.
In copertina: stazione di Menton Garavan, Francia. Due migranti vengono fermati dalla polizia francese mentre provano ad attraversare il confine in treno. Foto di Serena Chiodo.