In campagna elettorale lo avevano detto chiaro: “smantelleremo il sistema di accoglienza locale”. E così è stato. La giunta a trazione leghista guidata dal presidente della Provincia Maurizio Fugatti ha mantenuto la promessa e tra i primissimi atti compiuti a poche settimane dall’insediamento ha di fatto ratificato pesanti sforbiciate ai servizi rivolti a cittadini stranieri e richiedenti asilo. Via i corsi di italiano, via l’assistenza psicologica, fine del servizio di integrazione-ricerca lavoro, stop alle tessere degli autobus erogate gratuitamente, chiusura definitiva del centro di accoglienza di Marco, a Rovereto, dismissione di una grossa fetta degli appartamenti sparsi sul territorio che la Provincia aveva preso in affitto da privati per accogliere quote di richiedenti asilo in piccoli gruppi e in valli o zone periferiche: un lungo elenco che oltre a tradursi in un’interruzione di servizi fondamentali, per i quali il Trentino da sempre è considerato un modello, si declina anche nella perdita di oltre 150 posti di lavoro da qui al 2020, tra persone assunte a tempo indeterminato che verranno o sono già state licenziate e contratti a tempo determinato non rinnovati.
I tagli seguono ovviamente l’impronta del decreto Sicurezza, che prevede una secca riduzione della quota giornaliera destinata all’accoglienza di ciascun richiedente asilo, ma la nuova giunta sicuramente non ha valutato l’ipotesi di far valere le prerogative concesse dall’autonomia e impegnare all’occorrenza risorse proprie o integrative per continuare a offrire i servizi. La Lega, del resto, in campagna elettorale ha parlato a più riprese di un presunto “business dell’accoglienza”, puntando il dito in particolare sul servizio di integrazione e ricerca lavoro, reo di aver seguito i richiedenti asilo per il reperimento di tirocini o piccoli impieghi al fine di favorire l’ingresso nel mondo del lavoro. “Basta viaggi a sbafo sui bus”, “trovino lavoro ai trentini”, alcune delle uscite del presidente Fugatti, al quale si è aggiunto anche l’attuale presidente del Consiglio provinciale Walter Kaswalder, oggi nell’attuale maggioranza di centro-destra ma con un lungo trascorso nel Patt, il partito dell’ex presidente della Provincia Ugo Rossi che, nelle ultime due legislature, ha governato insieme al centro-sinistra. “Accoglienza? Credevo fossero volontari, invece è un business non da poco”, affermava Kaswalder in un’intervista rilasciata a fine dicembre al quotidiano L’Adige.
Guardando alle cifre, la situazione risulta comunque ben lontana dagli scenari allarmistici sottesi al dibattito sulle coop: al 6 dicembre scorso, risultavano infatti 1.385 i migranti presenti sul territorio trentino (dati del Cinformi, il servizio di accoglienza e integrazione degli stranieri della Provincia). Inoltre, nei primi 11 mesi dell’anno la media di chi è andato via dalla Provincia è di 39 persone al mese, a fronte di 16 nuovi entrati. Il calo è dunque di oltre 260 persone, considerando anche che all’inizio del 2018 le presenze erano stimate in 1.666 unità.
L’argine (politico) che non c’è
Se il mantra della Lega è “prima i trentini”, altre voci di segno opposto dal mondo politico fanno fatica a farsi sentire. Intanto per una questione numerica: in Consiglio provinciale la minoranza – ammesso che sul tema ci fosse sempre sintonia tra tutti i soggetti, dal Pd, al Patt ai Cinque stelle – non avrebbe concretamente i numeri per ribaltare la situazione. Gli autonomisti, va detto, al loro interno conservano una componente di elettorato che in qualche modo guarda favorevolmente alle misure varate dal Carroccio. Pd e Futura (formazione che alle ultime provinciali ha corso al fianco dei dem) restano al momento le uniche voci di opposizione netta alle politiche targate Lega.
Un capitolo a parte meritano i Cinque stelle che, sulla questione, sino ad oggi hanno mantenuto una posizione quanto mai ambigua, manifestando posizioni tra loro piuttosto contraddittorie. In una recente discussione in Consiglio provinciale, il capogruppo Filippo Degasperi segnalava che “dalle cooperative gli operatori chiamavano i ristoranti per trovare stage ai profughi”. Un’uscita che rimarca il suo giudizio negativo, più volte espresso, sull’operato degli enti dell’accoglienza e che risulta comunque coerente con quanto scrivevano i grillini nel loro programma elettorale per le provinciali di ottobre: “Si procederà subito allo smantellamento della struttura del Cinformi, fonte di storture e di una gestione discutibile. Sarà sostituita con una struttura che garantisca informazioni complete e supporto a tutti i cittadini a prescindere dalla nazionalità. (…) Gli stanziamenti per l’accoglienza saranno fortemente ridimensionati e parametrati esclusivamente alle risorse messe a disposizione dallo Stato”. Ecco però che, a sorpresa, poche settimane fa si sono fatti avanti nel dibattito anche i tre consiglieri comunali pentastellati, che in una lettera indirizzata anche ai vertici nazionali chiedono invece un passo indietro sul decreto Sicurezza (già ampiamente votato e in vigore) ed evidenziano possibili risvolti negativi rispetto alle politiche preannunciate dalla Lega a livello provinciale.
I lavoratori
A rispondere alle parole di Kaswalder e, indirettamente, a tutti coloro che in questi mesi hanno agitato il fantasma delle coop che farebbero affari sulla pelle dei migranti, ci ha pensato alcune settimane fa una lettera aperta sottoscritta da diverse realtà del mondo associativo e del volontariato, tra le quali la cooperativa Atas, il Cnca – Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, il Centro Astalli di Trento e le cooperative sociali Arcobaleno, Forchetta e Rastrello, Kaleidoscopio, Samuele e Punto d’Approdo: una presa di posizione nella quale si distingue molto chiaramente quello che è l’impegno dei volontari, a fronte però della necessaria presenza di figure professionali qualificate.
E proprio queste ultime, insieme agli utenti dei servizi messi a disposizione negli anni dal Cinformi, pagheranno il prezzo più pesante: i tagli ai servizi, come detto, comporteranno il licenziamento di almeno 150 professionisti, tra operatori d’accoglienza, assistenti legali, assistenti sociali e mediatori culturali. Lavoratori e lavoratrici spesso molto giovani e pluriqualificati che, in molti casi, dopo anni di esperienze all’estero o in altre realtà hanno deciso di tornare in Trentino per portare la loro esperienza nel loro territorio d’origine. Italianissimi lavoratori, per la maggior parte, che nel dibattito dominato dal “prima i nostri” paradossalmente si ritroveranno senza un impiego, con un bagaglio formativo sul quale la Provincia negli anni ha investito ma che oggi – altro paradosso – intende del tutto accantonare.
A loro tutela si sono mossi i sindacati, Cgil, Cisl e Uil, che a inizio gennaio hanno convocato una manifestazione solidale e, contemporaneamente, stanno portando avanti le trattative con l’ente pubblico, al momento però arenatesi: la Provincia non ha ancora spiegato se – e con che modalità – verranno eventualmente attuate misure di riqualificazione o ricollocamento delle professionalità che si perderanno a causa dei tagli. Le cooperative, dal canto loro, salvo rarissime situazioni, non hanno dimensioni e mezzi per attuare al loro interno un riassorbimento.
Le iniziative solidali
Mattia Civico è stato consigliere provinciale del Partito democratico per due mandati, è volato più volte in Libano con Operazione Colomba per accompagnare famiglie di profughi siriani in Italia con i corridoi umanitari e oggi è tornato a lavorare all’interno della cooperativa sociale Kaleidoscopio. Con la sua associazione Demo a dicembre ha lanciato un progetto, Prima l’italiano, e una raccolta fondi che finanziasse i corsi di apprendimento della lingua, anch’essi sacrificati in nome dei tagli voluti da governo e Provincia. Non solo un’iniziativa benefica ma anche un modo per rispondere in modo puntuale e concreto alle politiche del Carroccio. Per regalare un’ora bastavano 20 euro. Alla fine le ore donate sono state 800, con in totale 16.000 euro raccolti e consegnati a Centro Astalli e cooperativa Samuele: dal primo marzo ripartiranno le lezioni, sia nel capoluogo che in alcune sedi periferiche.
“Intanto credo che sia un forte segnale, da parte di tante persone, di profonda contrarietà a queste politiche di esclusione”, spiega Civico. “Un’ottima cosa, che è molto più forte di un’iniziativa come una raccolta firme ad esempio: qui il gesto è stato concreto, 20 euro sono un sacrificio vero, effettivo di ogni singolo donatore. Un gesto io credo di forte valenza politica: un invito a rivedere le proprie scelte, da parte di cittadini che pensano che non vi possa essere sicurezza senza integrazione”.
Il terremoto nella cooperazione
C’è un altro fronte dove lo smantellamento del sistema di accoglienza ha provocato non pochi scossoni: i diversi enti rientrano infatti sotto l’ombrello della Federazione trentina della Cooperazione. Dopo settimane di silenzio, la presidente Marina Mattarei, in un’intervista rilasciata al quotidiano L’Adige a fine gennaio, ha preso posizione sul tema con parole che, però, hanno fatto storcere il naso ai principali esponenti del mondo solidale. “Niente approcci ideologici. Nessun approccio manicheo, i buoni che fanno accoglienza da una parte, i cattivi che buttano la gente in mare dall’altra”, afferma la presidente. E ancora: “Vogliamo discutere nel merito e capire come il sistema trentino si pone in una logica di accoglienza e inclusione non solo per i migranti, ma anche per i bisogni della gente trentina”. Dopo giorni di polemiche, Mattarei ha poi inviato una lettera alle cooperative sociali parlando di un fraintendimento, ma la sensazione, tra i diretti interessati, è che il mancato schieramento, diretto, tempestivo e senza giri di parole, con chi lavora nel mondo dell’accoglienza sia in realtà una scelta volta a non scontentare le molte anime del mondo cooperativo ed evitare di andare a toccare temi molto sentiti dalla pancia della comunità.
Il costo sociale e chi pagherà davvero
Senza accompagnamento al lavoro, privi di supporto psicologico, esclusi dall’apprendimento di uno strumento chiave come la lingua italiana, con opportunità abitative risicate, i richiedenti asilo accolti in provincia vedono le loro prospettive di inclusione ridursi drasticamente: chi assumerebbe una persona che fatica a comprendere la lingua? Senza l’intermediazione degli operatori sarebbe davvero possibile l’incrocio di domanda e offerta? La dismissione di molti degli appartamenti dislocati nelle valli, tanto per fare un esempio, interrompe processi di integrazione già in atto, con persone allontanate da territori in cui vivono, lavorano, hanno costruito una rete propria di relazioni. Che ripercussioni può avere tutto questo? Chi si dovrà fare carico di queste persone? Con ogni probabilità, i servizi sociali e i servizi di accoglienza di bassa soglia. Compartimenti già in sovraccarico e che non sempre possiedono al loro interno figure specializzate come gli enti che oggi lavorano sotto l’ombrello provinciale del Cinformi. I nodi, dunque, potrebbero venire presto al pettine.
Immagine di copertina: una struttura del Centro Astalli di Trento