Proprio di fronte all’ufficio immigrazione c’è un piccolo spazio verde che è diventato un luogo simbolo. Tutto è cominciato nell’estate 2015, quando le autorità non riuscivano ad accogliere il gran numero di profughi arrivati nel paese per chiedere asilo. Per famiglie siriane, giovani iracheni e minori afghani significava attendere giorni all’addiaccio dopo lunghi e sofferti viaggi. È in questo contesto che è nata la Plateforme citoyenne de soutien aux réfugiés (Piattaforma cittadina di sostegno ai rifugiati). Grazie a una mobilitazione spontanea, ai molti volontari, a tantissime donazioni e all’aiuto di alcune Ong, è stato allestito un vero e proprio villaggio dell’accoglienza, capace di ospitare fino a 800 persone in oltre 300 tende.
L’esperienza, durata circa un mese, è stata il primo capitolo di una storia di solidarietà ben più lunga. “Intorno al parco”, ci spiega Adriana Costa Santos della Plateforme, “si era creato un grande interesse. Man mano che i richiedenti asilo venivano accolti nei centri governativi, però, l’attenzione dei cittadini nei loro confronti scemava, perché diventavano di fatto invisibili, staccati dalla società, senza possibilità di relazione”. Nonostante questa difficoltà, la Piattaforma di sostegno ai rifugiati ha continuato a operare con nuove attività, come l’assistenza legale, amministrativa e sociale. L’esperienza è cresciuta, si è strutturata, e oggi opera in tutto il Belgio, portando avanti 10 progetti diversi.
L’accoglienza dei migranti in transito
Adriana coordina uno dei progetti più recenti: l’accoglienza in famiglia. Il compito di questa studentessa portoghese, che dopo mesi di impegno volontario adesso ha un contratto a tempo determinato, è trovare ogni sera un tetto e un letto alle centinaia di migranti che sono tornati ad affollare Parc Maximilien e la vicina stazione: “sono migranti in transito: in maggioranza hanno tra i 16 e i 25 anni, molti sono minori non accompagnati, vengono principalmente da Etiopia, Eritrea e Sudan”.
Ismail e Hassan hanno 19 e 37 anni e vengono proprio dal Darfur. I nomi sono di fantasia, ma il freddo lo sentono per davvero in una domenica di febbraio a Parc Maximilien. Sono in attesa di essere assegnati a una famiglia per la notte. “Ci trattano bene”, dicono. Ci raccontano volentieri, in un inglese elementare: dalla Libia sono arrivati in Italia, sono stati identificati con le impronte digitali, hanno fatto qualche giorno in un centro di accoglienza e poi sono ripartiti. Hanno attraversato la Francia via Marsiglia e Parigi e sono approdati qui. “Voglio andare nel Regno Unito ma non si passa. Sono stato a Calais alcuni mesi, ma niente. Sono anche salito su un camion, ma mi sono ritrovato in Germania”, ricorda il più giovane, senza mai perdere un sorriso che sa allo stesso tempo di determinazione e incoscienza.
Moltissimi tra i migranti seguiti dalla Plateforme hanno storie simili. Sono le ennesime vittime del Regolamento di Dublino, della cui riforma stanno discutendo da mesi le istituzioni Ue nelle loro sedi a pochi chilometri da Parc Maximilien. Senza però trovare ancora un accordo che gli stati membri siano disposti ad accettare. Nel frattempo, spiega Adriana, “ogni tanto qualcuno riesce ad arrivare oltre Manica, dando così speranza a tutti gli altri. Che però continuano a non essere ospitati dalle istituzioni. Siccome non fanno domanda di asilo in Belgio, il Governo federale non se ne occupa”. Ed è qui che entra in gioco la Plateforme. Da quando il progetto alloggi è partito a fine agosto 2017, i cittadini hanno offerto ai migranti oltre 100 mila notti di accoglienza gratuite nelle loro case. Evitando, in pratica, che Bruxelles o altre zone del Belgio diventassero una nuova Calais.
La linea dura del fiammingo Francken
Nell’attuale governo belga di centro-destra, a occuparsi di immigrazione è Theo Francken, giovane sottosegretario in quota Alleanza Neo-Fiamminga (N-Va). I nazionalisti fiamminghi hanno accantonato le aspirazioni indipendentiste, puntando forte sulla linea dura in materia di flussi migratori. E così, Francken sta affrontando la questione dei migranti in transito solo dal punto di vista dell’ordine pubblico. L’estate scorsa ha mandato la polizia al parco per identificare ed espellere i presenti e per confiscare le cose con cui si riparavano la notte. “Sono state settimane molto difficili. C’era tensione per i modi usati dalle forze dell’ordine, e stanchezza anche tra di noi”, ricorda Adriana.
Alcuni dei migranti identificati sono stati rimandati in Italia, proprio in virtù del Regolamento di Dublino. Ad altri, invece, è andata molto peggio. Il governo belga, infatti, come anche quello italiano, ha iniziato una controversa collaborazione con quello del Sudan che, a settembre 2017, ha portato alcuni funzionari di Khartoum a Bruxelles, proprio sul prato del Parc Maximilien. Gli inviati del presidente Bashir hanno identificato e riportato nel paese decine di connazionali, scatenando il panico fra tutti gli altri e le proteste della società civile, tra cui la Plateforme.
Alcune settimane dopo, il rapporto di una Ong ha svelato che alcuni dei rimpatriati erano stati vittime di violenze e torture. Francken, che nel frattempo è diventato celebre per aver offerto asilo al leader indipendentista catalano Puigdemont, ha accusato il colpo. È stato salvato dal presidente del suo partito, Bart De Wever, che ha minacciato una crisi di governo qualora il suo protetto venisse cacciato dall’esecutivo, ma ha dovuto sospendere i rimpatri verso Khartoum.
Per quanto tra i membri della Plateforme a prevalere siano le motivazioni umanitarie, è innegabile che le loro azioni siano anche una risposta alle politiche di chiusura del governo. “A inizio settembre, a pochi giorni dall’inizio dell’accoglienza in famiglia”, ricorda Adriana, “Francken ha usato su Twitter l’hashtag #pulizia per commentare un raid delle forze dell’ordine al parco. Si è sollevata una grande indignazione e la partecipazione alla nostra iniziativa è cresciuta ulteriormente”. Più di sei mesi dopo, Francken è ancora al suo posto e, anzi, pare sia pronto a diventare uno dei candidati di punta dell’N-Va alle elezioni europee del 2019. Al tempo stesso, però, in tutto il Belgio è attiva una rete di 5 mila persone pronte a prendersi in casa, per una o più notti, uno o più migranti in transito.
La risposta solidale dei cittadini
“Sono studenti universitari, famiglie con bambini, single; abitanti di Bruxelles, ma anche di piccoli centri rurali. E tanti cittadini stranieri”, dice Adriana, che ogni sera è presente a Parc Maximilien per abbinare la lista degli ospiti con quella degli ospitanti. Per dare un’idea, il vivacissimo gruppo Facebook attraverso il quale il progetto viene portato avanti oggi conta oltre 40 mila membri. La partecipazione è molto trasversale, con numeri significativi e, in alcuni casi, anche politicamente attiva. A febbraio, la piattaforma ha creato in meno di 48 ore una catena umana di 2.500 persone contro le ennesime operazioni di polizia, e poi ha promosso una riuscita manifestazione, “Un’onda umana per la solidarietà e l’umanità”, con oltre 10 mila partecipanti e un dettagliato elenco di richieste all’esecutivo.
Ora, invece, è impegnata contro le cosiddette “visites domiciliaires”. Da inizio anno, l’esecutivo belga vorrebbe approvare un disegno di legge per consentire alla polizia di entrare nelle abitazioni private alla ricerca di stranieri irregolari, rendendo molto più facili le perquisizioni che oggi sono utilizzate solo per i crimini più gravi. “Si tratta di una proposta del 2014 tornata d’attualità per cercare di spaventare chi opera in favore dei migranti”, ci spiega Mehdi Kassou, volontario e portavoce della Plateforme. “Quello che il governo non ha capito però è che, attaccando i cittadini nei loro diritti più cari, genera indignazione e mobilitazione, che sono una la premessa dell’altra”.
Non supplenza ma impegno politico
Il gruppo advocacy della Plateforme, infatti, ha iniziato una capillare opera di pressione sui comuni di tutto il paese, con l’obiettivo di approvare mozioni contrarie al nuovo provvedimento. In due mesi ne sono arrivate 148, soprattutto a Bruxelles e in Vallonia. Solamente quattro dalle Fiandre, la patria di Francken e dell’N-Va. Il disegno di legge, intanto, per ora è fermo in Parlamento. “Sappiamo benissimo che il governo potrebbe continuare sulla sua strada anche se tutti i 589 comuni del paese approvassero la nostra mozione”, continua Mehdi. “Quel che conta è il significato di questi atti: sono strumenti di empowerment, fanno capire ai cittadini che hanno un potere, che possono dire la loro anche tra un’elezione e l’altra e non solo alle urne. Ho parlato con alcuni sindaci sorpresi dal numero di nostri volontari che li aveva sollecitati: dicevano di non aver visto nulla di simile negli ultimi decenni. La nostra organizzazione”, rivendica con orgoglio, “sta restituendo un ruolo centrale ai cittadini nello spazio democratico”. E ha richiamato le istituzioni alle loro responsabilità.
Accanto all’ospitalità in casa, infatti, la Plateforme ha aperto due spazi per i migranti. In collaborazione con altre organizzazioni, negli ultimi mesi, sono stati creati un hub con servizi medici e legali poco lontano da Parc Maximilien e un centro di accoglienza da 200 posti in un sobborgo della capitale. “L’abbiamo realizzato con tante donazioni di privati, ma anche grazie al supporto del Comune di Bruxelles, che ci ha concesso lo stabile fino al 30 aprile. Vogliamo che le istituzioni facciano il loro dovere”, dice il portavoce.
Il punto è proprio questo: mediare tra la spontaneità dei cittadini e i doveri dello stato, senza che la prima finisca per supplire alle mancanze del secondo. È un equilibrio delicato, difficile da raggiungere. Dalle parti di Parc Maximilien lo sanno bene, al punto che sono pronti a ripensare radicalmente le loro attività. Come annunciato da Mehdi in una lunga intervista su uno dei principali quotidiani nazionali, dal mese prossimo, la Plateforme cambierà le sue modalità d’azione. I volontari sono in fase di riflessione e, anche grazie a un partecipato incontro pubblico tenutosi ieri, vogliono valutare nuove possibilità, compresa quella di interrompere l’ospitalità in casa a favore di altre forme di accoglienza. “Il nostro gruppo di cittadini dilettanti”, ha dichiarato Mehdi a La Libre Belgique, “ha fatto tutto il possibile nella speranza di cambiare le cose. Dopo otto mesi, non vediamo soluzione. Se 200 persone, le meno vulnerabili, resteranno per strada, il governo le vedrà, le ascolterà e si renderà conto che esistono”.
In copertina: un momento della catena umana contro le operazioni di polizia a Place Maximilien (fotografia di Frédéric Moreau de Bellaing, come tutte le immagini di questo articolo)