In Italia, purtroppo, il racconto dell’Africa da parte dei media è ancora molto sbilanciato e parziale, facendo sì che l’immensa ricchezza e complessità di un continente venga invece ridotta alla triade dominante di “povertà, malattie e migrazione”. E’ questa la realtà che emerge dalla sesta edizione del rapporto “L’Africa Mediata 2025”, curato da Amref Italia e dall’Osservatorio di Pavia. L’indagine, che ha analizzato come i media italiani costruiscono l’immagine del continente africano, evidenzia come la percezione pubblica sia un riflesso diretto di una narrazione – mediatica appunto – che continua ad apparire monocromatica e ripetitiva.
La rappresentazione dominante: un’Africa emergenziale
Un’Africa narrata quasi esclusivamente attraverso la lente dell’emergenza, della povertà e del conflitto: questo emerge dal rapporto che ha preso in esame quotidiani, notiziari e programmi televisivi nel 2024. Una tendenza consolidata e, a tratti, quasi allarmante, che si riflette fedelmente nell’immaginario collettivo degli italiani. Non è un caso che il sondaggio Ipsos per Amref, del settembre 2024, ha rivelato che le parole più associate all’Africa sono “fame”, “carestia”, “disoccupazione”, “corruzione”, “terrorismo”, oltre al trio dominante “povertà, malattie e migrazioni”. Concetti come cultura, creatività, innovazione o futuro restano invece assenti, o comunque marginali nella ricerca.
Ed i numeri parlano chiaro: nel 2024 si è registrato un netto ridimensionamento dell’attenzione mediatica verso l’Africa: nella carta stampata i titoli sono diminuiti del 50% rispetto al 2023.
Africa qui vs Africa là
All’interno dei nostri tg (73,4% nei telegiornali di prima serata), e sui quotidiani (77,3%), si fa riferimento all’ “Africa qui”, ovvero ad eventi e persone africane in relazione al contesto italiano o in genere occidentale. Siamo davanti ad un approccio italo-centrico e autoreferenziale che relega il continente a un semplice sfondo di eventi contingenti. Il focus infatti è, quasi esclusivamente, sulle migrazioni (60,5% nei quotidiani, 34,3% nei telegiornali) e sulla cronaca nera che coinvolge persone africane (29,2% nei tg). Una narrazione che, alla lunga, alimenta un immaginario di pericolo e problematicità.
Tutt’altro discorso invece per la cosiddetta “Africa là”, ovvero i fatti collocati nel contesto africano. In questo caso l’attenzione è di gran lunga limitata (22,7% nei quotidiani, 26,6% nei telegiornali), ed ha a che fare in primis con tematiche relative a guerra, conflitti e terrorismo (36,8% nei telegiornali). Tabula rasa invece per quel che concerne le narrazioni positive, le spinte vitali, la ricchezza culturale e l’innovazione del continente: queste notizie sono invisibili o marginali, relegate al massimo ad un ruolo di sfondo. Questo fa sì che l’Africa venga citata più che spiegata, temuta più che compresa.
E c’è di più: nei programmi televisivi di informazione e intrattenimento, le voci africane e degli afro-discendenti sono marginali, rappresentando solo l’1,2% degli ospiti totali. Quando sono presenti, spesso ricoprono ruoli “subalterni” o “difensivi”, e vengono interpellati su temi circoscritti quali l’immigrazione, la religione e la cronaca, amplificando e rafforzando, in questo modo, un’immagine distorta e semplificata. Non a caso, ad aprire più spesso le porte a ospiti africani o afrodiscendenti è il programma di Rete4 “Dritto e Rovescio”, con il 12,9%, famoso per ridurre il dibattito spesso e volentieri ad uno scontro.
Aree e Paesi più visibili: uno sguardo parziale
L’attenzione dei media italiani sull’Africa nel 2024 è rimasta selettiva e guidata da specifici interessi o eventi puntuali. Nei notiziari di prima serata, ad esempio, l’Africa Occidentale ha avuto la maggiore visibilità (37,9%), spesso per viaggi istituzionali italiani o colpi di stato. L’Egitto ha dominato la scena come Paese più citato (177 notizie) per il suo ruolo di mediazione nel conflitto di Gaza e per vicende legate al caso Giulio Regeni. Tuttavia, nei programmi di informazione e infotainment, l’ “Africa in generale” ha primeggiato (32%), legata a temi di cooperazione come il Piano Mattei. In questi stessi programmi, l’ Africa Centrale ha visto una notevole crescita di visibilità, quasi esclusivamente per il Congo, a causa di conflitti e allarmi sanitari come il “nuovo virus”. Questo quadro conferma una copertura mediatica frammentata e reattiva, che lascia molte aree del continente scarsamente rappresentate.
Una narrazione da cambiare
Nonostante la situazione predominante sia emblematica, l’indagine Ipsos rivela una chiara e incalzante richiesta di cambiamento: l’82% degli italiani, infatti, desidera un racconto più equilibrato, capace di valorizzare il potenziale dell’Africa. A guidare questa richiesta sono i giovani della Generazione Z (88%). Ciò significa che c’è spazio, c’è volontà di ascoltare una narrazione più ampia e rispettosa della complessità del continente.
A tal proposito, il report dedica un intero capitolo alle “Buone e Cattive Pratiche della Comunicazione sull’Africa”, offrendo una panoramica di esempi virtuosi che vanno al di là degli stereotipi, mostrando le mille sfaccettature del continente, che vanno oltre l’ottica emergenziale.
Innovazione tecnologica a servizio delle comunità locali
Il report lascia spazio ad alcune applicazioni di nuove tecnologie e ricerca scientifica in Africa. In particolare, all’interno della trasmissione televisiva di RaiUno “Codice, la vita è digitale” un servizio di Floriana Bulfon ha illustrato il progetto “Smart Village” in Niger, che mira a migliorare le condizioni delle zone rurali del paese attraverso la digitalizzazione, formando migliaia di persone all’uso di servizi amministrativi e finanziari digitali, e di app per la salute. Questo progetto evidenzia una sorprendente familiarizzazione con le tecnologie digitali e un impatto virtuoso sulla connessione dei villaggi remoti e sul coinvolgimento della componente femminile.
C’è poi l’articolo su una startup keniana, Kuza Freezer, che assiste i piccoli pescatori riducendo le perdite di pesce, attraverso la fornitura di congelatori realizzati con il riciclo di plastiche raccolte sulle spiagge ed alimentati attraverso l’energia solare. Progetti questi che evidenziano le spinte all’innovazione e le risposte positive delle popolazioni africane, mostrando come le tecnologie possono venire adattate ai bisogni specifici delle comunità, educando ad una sostenibilità e ad un’etica sociale. Una nota di merito anche perché questi progetti vengono descritti dalle voci degli stessi protagonisti africani, dando vita ad una narrazione autentica.
Lotte sociali e cambiamento culturale
L’ultimo viaggio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: un servizio del corrispondente Valerio Cataldi, andato in onda su RaiNews in occasione del trentesimo anniversario dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin a Mogadiscio, ha raccontato la difficile condizione delle donne in Somalia, tra povertà e mutilazioni genitali. Ma il reportage ha messo in luce anche gli sforzi e le iniziative locali per affrontare questi problemi, come gli ambulatori del CESVI dove il personale somalo e quello italiano collaborano per curare i bambini nei campi profughi. Toccante anche la testimonianza di una donna somala che, dopo aver subito l’infibulazione, è diventata un’attivista contro questa pratica. Questo approccio rivela come si possono trattare temi complessi dando però rilevanza anche alle risposte virtuose che partono dalla società, evitando una narrazione unidimensionale di disperazione.
La spinta vitale di un giornalismo consapevole
Quello che emerge dal rapporto è chiaro: dietro ogni immagine dell’Africa, e dietro anche al silenzio mediatico, si cela una precisa scelta narrativa che ha un peso e una responsabilità. E’ importante andare in direzione di un giornalismo che superi il sensazionalismo e la fretta, ma che faccia un’azione metacognitiva, interrogandosi sul proprio punto di vista. E’ cruciale diversificare e approfondire le narrazioni, prestando attenzione ai tanti volti positivi del continente, provando ad accendere i riflettori verso le dinamiche costruttive messe in atto dalle popolazioni africani. In questo modo si contribuisce alla lotta agli stereotipi, e alla costruzione di “ponti di conoscenza, rispetto, collaborazione. Ponti di sviluppo”. E’ arrivato il tempo di riconoscere la complessità e la ricchezza di un continente ancora troppo imprigionato nei cliché, restituendo dignità e pluralità a un racconto che deve essere fatto con attenzione, competenza e profondità.
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