Si può provare un legame intimo con delle persone che non hai mai visto prima? Si può condividere il dolore o gioire della gioia di uno sconosciuto?
Sulla Humanity 1, la nave umanitaria dell’ong tedesca Sos Humanity, tutto ciò è stato possibile durante i quattro giorni di navigazione verso il porto di Ortona, in uno spazio condiviso dai membri dell’equipaggio e dai 106 sopravvissuti a bordo. “Questo è uno dei momenti emotivamente più intensi”, confessa Viviana, la sar coordinator della tredicesima missione della Humanity 1, “quando i sopravvissuti sbarcano ti rendi conto di quanto realmente tu sia affezionato a loro e loro a te”.
Martedì mattina, come previsto, alle sette siamo entrati nel porto di Ortona. In fila tutte le 106 persone aspettano il loro turno per scendere. Paola, la protection officer, distribuisce ad ognuno i fogli con le vulnerabilità personali che sono state registrate a bordo. Al di là della passerella in ferro che collega la nave alla terraferma, uno schieramento di forze dell’ordine, volontari della croce rossa, medici e mediatori culturali, aspettano che le persone sbarchino.
Prima tocca ai casi più fragili , i minori non accompagnati, le donne e le famiglie. Ali e Ahmed, i due cugini egiziani, si tengono per mano mentre entrano nella clinica di bordo prima di poter scendere. La prassi è uguale per tutti: un ultimo check dei medici prima di poter toccare la terraferma. Il tempo che impiegano i quattro piedini scalzi di Ali e Ahmed per attraversare la passerella in ferro sembra infinito. Ahmed ha una mano impegnata a stringere quella del cugino e con l’altra tiene una busta nera di plastica, la stessa busta che ha custodito gelosamente per tutta la traversata.
Con la vita passata racchiusa dentro un sacchetto, i due cugini lasciano per primi la Humanity 1. Ali continua a salutare l’equipaggio col braccio alzato anche dall’interno del mezzo della Croce Rossa, e prima di scomparire manda un ultimo bacio verso la nave. Qualcuno comincia ad applaudire spezzando il malinconico silenzio di quell’istante e ricordando a chi sta in nave che questo è un momento di gioia: Ali e Ahmed ce l’hanno fatta.
E come Ali e Ahmed anche Fida ce l’ha fatta. E’ seduta sulla panca di legno del deck, circondata dai visi dolci dei suoi cinque figli, quando la chiamano per entrare nella clinica di bordo. Un abbraccio alle donne dell’equipaggio, un bacio in fronte a Zeina, la mediatrice culturale, “shukran habibti” – grazie amore – le ripete prima di girarsi verso il molo. Un applauso la accompagna sulla passerella, insieme ai suoi figli che la sorreggono. L’incubo vissuto fino a qualche giorno fa è finito anche per loro, almeno per adesso.
Lentamente la nave si svuota, vanno via tutte le altre donne, Jamalia con gli occhi colmi di gioia e gratitudine, Marwan e Lusi inseparabili anche adesso, e poi tutti gli uomini.
Ahmed, Sheif, Karim e tutti gli altri giovani e giovanissimi uomini provenienti da Siria, Egitto, Bangladesh ed Eritrea si lasciano alle spalle la Humanity 1 e il suo equipaggio. Le nostre e le loro strade adesso si dividono.
Nel giro di poche ora la nave tornerà in mare per affrontare altri quattro giorni di navigazione verso la zona di ricerca e soccorso libica. Loro invece verranno assegnati ad un centro di accoglienza che potrebbe essere in qualsiasi altra parte d’Italia rispetto al luogo di sbarco, smentendo di fatto che il porto di sbarco venga assegnato secondo un criterio di distribuzione egualitaria delle persone migranti, per evitare il sovraccarico dei centri d’accoglienza del sud dello stivale. Secondo quanto riferito dalle autorità italiane le donne, i minori non accompagnati e le famiglie resteranno in Abruzzo, mentre gli uomini soli saranno trasferiti nelle Marche e in Basilicata.
Presto il loro viaggio cambierà forma, prendendo quella dell’asfissiante trafila burocratica prevista dall’Italia per fare richiesta d’asilo, nella speranza – per chi viene da paesi considerati “sicuri” dal nostro governo – di non essere rimandati indietro nel posto da cui si è scappati. Per pensare a questo però c’è ancora tempo, adesso è il momento di godersi la vittoria. 106 anime sono state tratte in salvo e fatte sbarcare, dopo quattro lunghi giorni di navigazione, in un porto sicuro.
L’equipaggio intanto prepara la nave per poter ripartire il prima possibile, e qualcuno prima di addormentarsi si domanda dove dormiranno stanotte i piccoli Ali e Ahmed, dove staranno cantando, stasera, i nostri compagni di viaggio.
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Immagini. Le foto di copertina e dell’articolo sono di Lidia Ginestra Giuffrida