Il numero delle persone che hanno perso la vita durante il naufragio avvenuto a pochi metri dalle coste di Cutro, in Calabria, è salito a 70. Si trattava di persone – adulte e minori, provenienti perlopiù dall’Afghanistan, dalla Siria, dall’Iran e dal Pakistan – che erano partite da Smirne, in Turchia. Mentre è ormai evidente che ci troviamo di fronte all’ennesima conseguenza fatale delle politiche securitarie dell’Unione Europea (Ue), a seguito del naufragio, si è intensificato il rimpallo di responsabilità tra Frontex (l’agenzia europea per il controllo delle frontiere) e la Guardia Costiera italiana per il mancato soccorso di persone che, con ogni probabilità, avrebbero potuto essere salvate.
A sports hall was turned into a funeral hall for the 66 people who were found dead after the shipwreck in #Crotone.
After the serious shipwreck off Lampedusa in 2013, EU politicians said: "This must never happen again."
Europe, these deaths are yours! pic.twitter.com/PArb3AYgDc
— Sea-Watch International (@seawatch_intl) March 1, 2023
Innanzitutto, bisogna tener presente che la rotta ionica tra Turchia e Calabria non è nuova. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha affermato che solo nell’ultima settimana, 695 persone sono arrivate via mare in Calabria, l’anno scorso, su questa rotta, sono state registrate 15.000 persone tra le 105.000 arrivate in Italia via mare, circa il doppio rispetto al 2021. Ciò deriva principalmente dal fatto che la rotta Orientale che conduce verso la Grecia è chiusa a causa dei respingimenti sistematici che avvengono puntualmente da parte delle autorità greche nei confronti di coloro che tentano di lasciare la Turchia. Le violazioni dei diritti umani della Grecia – con il benestare di Frontex stessa – sono ormai da tempo documentate da numerosi rapporti e inchieste giornalistiche: uno di questi, At Europe’s borders: between impunity and criminalization, del Consiglio Greco per i Rifugiati, riporta un numero considerevole di prove e testimonianze riguardanti i respingimenti illegali dello stato greco. “Queste testimonianze”, si legge nel rapporto, “offrono un’inquietante comprensione della natura organizzata e sistematica di queste pratiche illegali”. Anche nell’ultimo rapporto dell’Aegean Boat Report è stato evidenziato un quadro allarmante: “692 persone salpate su 25 imbarcazioni nel Mar Egeo sono state respinte tra il 20 e il 26 febbraio”.
Questo quindi è il contesto con cui hanno a che fare le persone che si ritrovano puntualmente bloccate o respinte in Turchia, tenendo presente che quest’ultima è anche un partner privilegiato dell’Ue: si ricordi, infatti, che la Dichiarazione Ue-Turchia (Eu Turkey Statement) del 2016, è ancora attiva e prevede il contenimento e la riammissione, da parte della Turchia, delle persone rifugiate provenienti principalmente da Paesi non sicuri (quali, ad esempio, Siria, Afghanistan, Iran, Palestina). Le conseguenze di questa dichiarazione risultano nella violazione sistematica dei diritti umani delle persone – sistematicamente trattenute nei sovraffollati campi profughi greci o respinte in Turchia.
Chi riesce ad andarsene, tenta quindi di raggiungere l’Europa tramite altre vie, una di queste è quella che porta in Calabria che, tuttavia, non è coperta da frequenti operazioni SAR (ricerca e soccorso) da parte delle Ong – le quali si trovano principalmente nell’area tra la Sicilia e le coste nordafricane. Benché i decreti contro le Ong siano l’ennesimo esempio di repressione contro le persone migranti, dato che limitano ampiamente le operazioni di ricerca e soccorso – violando, tra le altre cose, il diritto del mare e la Costituzione – la loro assenza in questa rotta non è la diretta conseguenza del nuovo provvedimento adottato. In questo caso specifico, le responsabilità sono da attribuire ai mancati soccorsi da parte di organi istituzionali e sovranazionali. A seguito del naufragio, infatti, la Procura di Crotone ha aperto un’inchiesta sulle falle nei soccorsi, indagando sulle azioni e le comunicazioni tra Guardia Costiera, Frontex e Guardia di Finanza. Sia Frontex che la Guardia Costiera si sono rinfacciate le responsabilità sui soccorsi mancati.
Secondo quanto ricostruito dalla reporter Eleonora Vasques, di Euractiv – nonostante la presidente Giorgia Meloni abbia affermato che nessuna comunicazione d’emergenza da parte di Frontex fosse arrivata all’Italia – Frontex avrebbe, in realtà, avvertito l’Italia di un numero elevato di persone su un’imbarcazione – presenti anche sottocoperta – prima che avvenisse il naufragio.
Scrive Vasques:
Euractiv ha chiesto a Frontex se avesse comunicato un segnale di soccorso, ma l’agenzia dell’Ue ha risposto che “per quanto riguarda la classificazione dell’evento come evento di “ricerca e soccorso” (SAR), secondo il diritto internazionale, questa è una responsabilità delle autorità nazionali”. Dopo la comunicazione, l’Italia ha mobilitato due motovedette della Guardia di Finanza (GDF), avviando un’operazione di polizia[…]. Tuttavia, a causa delle condizioni meteo-marine, le imbarcazioni sono dovute rientrare nei porti, come dichiarato dalla GDF in un comunicato stampa di lunedì 27 febbraio. La GDF non è né abilitata né attrezzata per procedere alle operazioni SAR in quanto questo è di competenza della Guardia Costiera italiana.
“I nostri esperti hanno individuato alcuni segnali che indicano che l’imbarcazione potrebbe trasportare un gran numero di persone, ad esempio la telecamera termica a bordo dell’aereo ha rilevato una significativa risposta termica dai portelli aperti a prua”, ha spiegato Frontex. https://t.co/PcxaXVVeze
— Sergio Scandura (@scandura) March 5, 2023
In una dichiarazione Frontex ha affermato che, una volta individuata l’imbarcazione, aveva tempestivamente informato dell’avvistamento il Centro di Coordinamento Internazionale dell’operazione Themis e le altre autorità italiane competenti, fornendo la posizione dell’imbarcazione, le immagini all’infrarosso, la rotta e la velocità.
Dal canto suo, la Guardia di Finanza, secondo quanto ricostruito dal giornalista Nello Trocchia su Domani, che ha avuto accesso alle relazioni sui soccorsi mancati, avrebbe comunicato della situazione d’emergenza alla Guardia Costiera:
Scrive Trocchia:
Le unità navali, alle ore 03:30 circa, rientrano in porto a Crotone per le cattive condizioni meteo e del mare. C’è ancora tempo per le operazioni di salvataggio, ma in questo momento arriva la parte più importante. Non è stato lanciato allarme, non si sta procedendo con soccorso e salvataggio, ma con operazione di polizia di frontiera visto che la Guardia costiera è ferma e non ha avviato le procedure in caso di evento SAR, search and rescue. Alle ore 03:40 circa la sala operativa del comando provinciale della Guardia di finanza di Vibo Valentia comunica all’autorità marittima di Reggio Calabria, che le due unità navali sono state costrette a interrompere la navigazione per avverse condizioni meteo marine. «Gli operatori di sala richiedevano alla medesima autorità l’intervento di proprie unità navali per raggiungere il target, senza ricevere riscontro», si legge.
Sui possibili eventi SAR che vengono invece categorizzati come “operazioni di polizia” occorre sottolineare un aspetto: da diversi anni ormai, la stragrande maggioranza delle persone alla deriva vengono classificate come “persone intercettate nel corso di operazioni di polizia di sicurezza”.
Le “Attività Search and Rescue nel Mediterraneo centrale” – riportava il giornalista Duccio Facchini nel 2019 su Altreconomia – “[…] sono diventate “Eventi riconducibili al fenomeno dell’immigrazione non regolare via mare verso le coste italiane”. La qualifica delle “persone” è cambiata d’un tratto: alle persone “soccorse” sono state affiancate quelle “intercettate nel corso di operazioni di polizia di sicurezza”, tecnicamente definite operazioni di “Law Enforcement”.
Ma è la stessa Guardia Costiera che nelle sue linee guida per riconoscere un evento SAR sostiene che il sovraffollamento di un’imbarcazione sia una motivazione sufficiente per far scattare le operazioni di soccorso, anche in assenza di una segnalazione d’emergenza – ne è la prova l’ultimo salvataggio effettuato al largo di Lampedusa, in cui la Guardia Costiera ha soccorso 211 persone in pericolo. A questo proposito, l’ex ammiraglio Vittorio Alessandro ha affermato che nel primo governo Conte, quando Matteo Salvini era ministro dell’Interno, il quadro organizzativo era cambiato: “da allora la Guardia Costiera è costretta a collocarsi in uno scenario diverso dove nel salvataggio dei migranti c’è una prevalenza delle operazioni di polizia rispetto a quelle di soccorso. L’organizzazione ricade sotto il controllo del Viminale, mentre prima il rapporto tra Guardia costiera e l’Interno era invertito”. Inoltre, anche l’attuale comandante della Guardia Costiera di Crotone ha affermato che “c’erano le condizioni per salvarli”.
Benché il governo continui ad attribuire le colpe del naufragio ai soli “scafisti” – un capro espiatorio che si basa sulla criminalizzazione di persone che anche casualmente si ritrovano al timone di un’imbarcazione o aiutano i propri compagni di viaggio, come il caso del minore di 17 anni accusato di essere uno degli scafisti di Cutro – è evidente che siamo di fronte a responsabilità nazionali e sovranazionali ben più rilevanti. Non solo è necessario che verità e giustizia prevalgano sul caso di questo naufragio, ma è più che mai urgente superare il sistema securitario fatto di frontiere e repressione per porre al centro la tutela del diritto alla libertà di movimento.
Foto copertina via Twitter/AJ+