Nel 2015 il governo Merkel aveva scelto di aprire i confini a dispetto, accogliendo sul territorio tedesco un milione di richiedenti asilo, in prevalenza siriani, indipendentemente dal principio del paese di primo ingresso previsto dal regolamento di Dublino (regolamento per il quale in comincia adesso un percorso di modifica). Se questa apertura – per quanto non lineare e ancora oggi controversa – era stata apprezzata in Europa perché in contrasto con gli egoismi nazionali di altri paesi dell’Unione, in un parte dell’elettorato tedesco si stava creando una crescente ostilità verso migranti e rifugiati, a cui si deve in parte il successo di Afd. Segnali di questa ostilità si ritrovano nei dati del Ministero dell’Interno tedesco, citati dalla Bbc, che documentano quasi 10 attacchi al giorno contro migranti e rifugiati in Germania nel corso del 2016.
A proposito di quella apertura dei confini nel 2015, oggi Ana María Álvarez, Ceo e fondatrice del Migration Hub Network di Berlino, commenta: “tutti continuano a dire che la Germania ha aperto le porte a più di un milione di profughi, ma non è così, si trattava di richiedenti asilo. Quanti di loro sono stati ricollocati e a quanti di loro è stato garantito lo status di rifugiati?”
Migration Hub Network e Give Something Back to Berlin
Il Migration Hub Network di Berlino (vincitore lo scorso ottobre del primo premio Shimon Peres insieme alla organizzazione israeliana Microfy) si trova al centro di una rete di progetti locali e di organizzazioni che lavorano su politiche di asilo, migrazione e rifugiati; Ana María Álvarez è originaria del Costarica, e in passato ha lavorato come giornalista e nel settore della comunicazione. Ci racconta la storia del Network, partita dall’impegno di persone anche nuove al volontariato, come alcuni insegnanti di tedesco che hanno deciso di prendersi un periodo di aspettativa per dare il loro contributo. Dall’estate-autunno del 2015, il Network ha cominciato a fornire sostegno ai rifugiati e in particolare ai richiedenti asilo siriani. L’Hub ha cominciato a operare nel settembre 2015 con l’idea di creare uno spazio comune di lavoro per le varie associazioni impegnate su questo fronte, prima di raggiungere il riconoscimento legale come organizzazione.
Come spiega Alvàrez, fino all’autunno del 2016 la sede del Network si trovava in un piccolo ufficio a Potsdamer StraBe. Una volta raggiunto lo status di organizzazione, il Migration Hub di Berlino si è trasferito nella nella sede attuale, ad Am Krögel, Alte Munze, a una decina di minuti a piedi dalla centralissima Alexanderplatz di Berlino. In questi spazi, tredici differenti organizzazioni lavorano insieme e interagiscono, in una sorta di prototipo di collaborazione che forse sarà replicabile anche altrove (al momento ci sono richieste e contatti per “esportare” questo modello a Milano e in altre città).
Nel 2015, la prima versione del Migration Hub operava in un contesto in cui altri spazi e gruppi stavano sviluppando progetti simili, anche se privi di connessione tra loro, e soprattutto, secondo Álvarez, questi gruppi non riuscivano a mettere i bisogni e le necessità di richiedenti asilo e rifugiati al centro delle proprie priorità perché non avevano precedenti esperienze con loro, e quindi finivano per non coinvolgerli nella conversazione.
La fondatrice, che come migrante stava seguendo corsi di tedesco, e per suo interesse formativo alcuni corsi di management, ha pensato dunque a un percorso alternativo: “mi sono resa conto che stavo diventando un’imprenditrice; abbiamo lanciato il nuovo concetto di Migration Hub nel marzo del 2016, scegliendo di farne una piattaforma, prima europea e poi globale, per l’asilo, la migrazione e la cooperazione tra rifugiati. Qui, uffici e spazio comune si integrano, ospitando sia eventi che servizi per una comunità che supporta i migranti anche a diventare imprenditori”. Il Migration Hub Network, infatti, è partner di ME4Change, un progetto europeo volto a supportare i migranti a diventare liberi professionisti o a sviluppare un loro progetto di impresa.
Fra le associazioni che operano nell’Hub ci sono i soggetti più vari, da Refugee Law Clinics Deutschland, che offre assistenza legale sul diritto non-profit, a Soliddrinks, che dona parte del ricavato della vendita delle bevande che produce (5 centesimi a bottiglia) a progetti locali di rifugiati. Le associazioni sono 13, e sono oltre 70 le organizzazioni che usano gli spazi per laboratori, eventi, incontri e iniziative. Un nuovo Hub è ora operativo a Heidelberg.
“Abbiamo elaborato alcuni criteri che ci permettono di scegliere le organizzazioni che lavorano nei nostri uffici, criteri basati sui bisogni di rifugiati e richiedenti asilo, come la necessità di alloggi, l’apprendimento di capacità da usare nel mondo del lavoro e il nostro focus sullo sviluppo della imprenditoria migrante, gli incubatori di impresa, connessioni con aziende ma anche con organizzazioni focalizzate sulla salute mentale. A questo scopo, organizziamo incontri periodici con le organizzazioni e i rifugiati e analizziamo progetti e idee delle organizzazioni, per valutare se accoglierle o meno nel nostro ufficio”.
Sul risultato elettorale e sullo stato attuale delle politiche di asilo, Álvarez ha una visione pragmatica: “L’impressione è che il governo faccia una selezione dei rifugiati attraverso l’offerta di corsi di integrazioni e incubatori di impresa, o gli appelli alle aziende perché assumano rifugiati… Coloro che seguiranno questo percorso rimarranno, mentre coloro che non lo faranno dovranno andarsene, attraverso la deportazione o il ritorno volontario”.
L’opinione della fondatrice dell’Hub è affine a quella di Eli El Wael Khefaiwi, originario di Damasco, che è Project Coordinator di Give Something Back to Berlin (GSBTB), una piattaforma partecipativa e rete di dialogo interculturale tra le diverse comunità migranti che si trovano a Berlino.
“Io sono arrivato in Germania nel novembre 2015. Stavo cercando sostegno e orientamento e mi sono imbattuto in GSBTB in quel periodo, all’inizio del 2016, mentre mi stavo trasferendo a Berlino”.
Quando si tratta di commentare il risultato elettorale, Eli El Wael separa la sua prospettiva come membro di GSBTB da quella personale e ci spiega che lui, avendo ottenuto l’asilo politico nel 2015, si colloca tra i “fortunati”, mentre i suoi connazionali arrivati dopo si sono trovati di fronte uno scenario differente: “ho sentito molti siriani ai quali è stato ordinato di lasciare il paese, anche se non conosco le circostanze in cui questo è avvenuto. So che ogni siriano che ha fatto richiesta di asilo nel 2016 in Germania se l’è vista rifiutare. A costoro sono stati assegnati visti di protezione per un anno o due, che si possono ottenere tramite l’ambasciata siriana, presentando i passaporti”
“Questo è ridicolo, e in molte occasioni veramente pericoloso, in quanto una volta che il governo siriano ne viene a conoscenza, chiunque tu conosca in Siria si trova in pericolo, mentre tu non potrai più tornare nel paese”.
Sul successo elettorale di AfD, Wael dice: “a mio avviso una delle ragioni che ha portato alla loro ascesa è che il governo non ha ascoltato le paure dei tedeschi dell’ovest e del sud. Non è stato chiaro sui suoi progetti, sul numero di persone che sarebbero entrate nel paese, così come non c’è chiarezza adesso sui numeri delle deportazioni, su quanti hanno attivamente un impiego e così via…”
Sul sistema di asilo tedesco conclude: “come siriani non ci importa più di tanto se si tratta di protezione, asilo, visto… La questione è che servono sicurezze e garanzie, i rifugiati devono sapere che possono costruirsi una vita qui, ma non possono seguire il sistema implementato dal governo per l’integrazione, sapendo che potrebbero essere deportati tra un anno o due”.
“Conosco molti siriani che a causa di questa incertezza non intendono seguire i corsi obbligatori di tedesco [parte del percorso di integrazione promosso dal governo federale tedesco], non potendo sapere se potranno restare nel paese, non vedono perché seguirli. Questo è uno degli elementi negativi del sistema al momento”.
Per questo vale la pena dare un’occhiata proprio ai dati sulle richieste di asilo e sulle deportazioni.
Asilo, protezione e deportazioni
Secondo i dati presentati nel rapporto dell’Ufficio Federale per la Migrazione e i Rifugiati pubblicato il 9 settembre del 2017, nel corso del 2016 sono state accettate in Germania 139.453 richieste iniziali di asilo (cioè precedenti all’assegnazione alle varie città o ai Länder), su un totale di 564.506.
Siriani, iracheni e afghani risultano come le prime tre nazionalità dei richiedenti asilo nel periodo tra gennaio e agosto 2017 (rispettivamente con 32.767, 14.010 e 12.262 richieste). Queste richieste segnalano una significativa diminuzione rispetto all’anno precedente (quando erano state rispettivamente 224.632, 78.426 e 100.265, dunque il -85,4 per cento, -82,1 per cento e -87,8 per cento.
Nel corso del 2017, il numero dei ricorsi legali dei richiedenti asilo è aumentato in modo esponenziale, con 283 mila casi nella prima metà dell’anno (erano 175 mila nel 2016). Al rifiuto dell’asilo corrisponde spesso l’assegnazione di una forma di protezione sussidiaria e quindi più limitata, il “doldung”, senza possibilità di ricongiungimento familiare e con maggiori barriere nel mercato del lavoro, come raccontato su Open Migration da Daniela Sala.
Tuttavia, le deportazioni dalla Germania sono in aumento e hanno colpito in modo particolare i cittadini afghani, dopo la firma di un accordo nell’ottobre 2016 tra la Ue e l’Afghanistan. Secondo un documento riservato, Kabul ha dovuto accettare le deportazioni di fronte al rischio di un significativo taglio degli aiuti europei.
Il rapporto “Forced back to danger”: Asylum Seekers returned from Europe to Afghanistan”, pubblicato da Amnesty International il 5 ottobre del 2017, sottolinea come nel 2016 sia stata proprio la Germania ad effettuare il maggior numero di deportazioni di cittadini afghani – 3.440 – di tutti i paesi della Ue.
Il numero delle deportazioni degli afghani dalla Germania è poi temporaneamente diminuito in seguito all’attentato del 31 maggio 2017 nel quartiere diplomatico di Kabul, nel quale sono morte più di 150 persone ed è stata colpita anche l’ambasciata tedesca. Dopo l’attentato si è avviata una moratoria per le deportazioni, che escludeva soltanto tre categorie – pregiudicati, persone considerate come potenziali minacce e coloro che non riuscivano a dimostrare la loro identità. La moratoria è stata però sospesa il 12 settembre di quest’anno, con la partenza di un volo da Düsseldorf a Kabul con 12 cittadini afghani a bordo.
Un ulteriore elemento sottolineato dal rapporto di Amnesty riguarda l’arbitrarietà con la quale le autorità tedesche e di altri paesi europei hanno determinato le zone dove deportare “in sicurezza” i cittadini afghani; tra queste, nonostante i numerosi attentati che ha subito e continua a subire, c’è anche la capitale Kabul, così come altre aree a rischio.
Nel corso della campagna elettorale, Cdu/Csu e liberali della Fdp hanno condiviso una posizione favorevole sulle deportazioni verso le cosiddette “zone sicure” in Afghanistan, mentre Spd, Linke e Verdi hanno espresso una posizione contraria, ritenendo che nessuna zona del travagliato paese possa essere considerata “sicura”.
Angela Merkel, dopo una lunga opposizione, dopo le elezioni ha ceduto alle pressioni degli alleati della Csu che chiedevano di mettere un limite agli ingressi di richiedenti asilo nel paese, fissando un tetto di 200 mila ingressi annuali.
Le misure elencate in un documento congiunto di Cdu/Csu sulle politiche di asilo li vede a favore dell’idea di processare le richieste di asilo in centri sul modello di Manching, Bamberg e Heidelberg, nei quali i richiedenti asilo saranno trattenuti per essere eventualmente rimossi nel caso in cui la loro richiesta di asilo venga rifiutata. Altre misure elencate nel documento includono l’allargamento della lista dei paesi sicuri di origine a Marocco, Algeria e Tunisia, e la conferma della sospensione del ricongiungimento familiare per le persone che godono di una forma di protezione sussidiaria.
Foto di copertina: Migration Hub Network di Heidelberg