Se sale il livello del mare meglio, vorrà dire che avremo più case con un affaccio diretto.
Questo è più o meno quello che, recentemente, ha detto Donald Trump a chi gli chiedeva un parere sulla questione dei cambiamenti climatici.
Non è una novità che l’ex Presidente degli Stati Uniti sia da sempre schierato con i negazionisti del tema.
A differenza sua il Presidente Joe Biden sembra invece riservare un’attenzione diversa alla questione, anche se, a livello operativo, per il momento non si riscontrano grandi discontinuità nell’atteggiamento del Paese nord americano, uno di quelli che più di altri è responsabile dell’emissione di gas serra e più di altri dovrebbe quindi intervenire per ridurre le sue emissioni.
Nel febbraio del 2021 proprio Biden ha firmato l’Ordine Esecutivo (O.E.) 14013, “Ricostruzione e potenziamento dei programmi di reinsediamento dei rifugiati e pianificazione dell’impatto del cambiamento climatico sulla migrazione” che segna la prima volta in cui il governo degli Stati Uniti riferisce ufficialmente su questo tema.
Proprio a partire da quest’ordine è nato il rapporto realizzato dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca sul cambiamento climatico e il suo impatto sulle migrazioni, pubblicato nell’ottobre del 2021.
“Il cambiamento climatico sta ridisegnando il nostro mondo – si legge nel rapporto. Da una parte è causa di cambiamenti nelle temperature, dei modelli di precipitazione, della frequenza e della gravità di alcuni eventi meteorologici estremi. Tutto questo porta con sé anche un ulteriore aumento delle vulnerabilità, fisiche, sociali, economiche, ambientali, minando la sicurezza alimentare, idrica ed economica. Il tutto può portare a un aumento delle migrazioni dovute alla perdita di mezzi di sussistenza, all’indebolimento dei governi e, in alcuni casi, instabilità politica e conflitti”.
A fronte di questi aspetti il rapporto riconosce come la migrazione sia un’importante forma di adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici e, in alcuni casi, una risposta essenziale alle minacce climatiche ai mezzi di sussistenza e al benessere. Proprio per questo richiede una gestione attenta per garantire che sia sicura, ordinata e umana. “È fondamentale mitigare i rischi per la sicurezza umana dei migranti e delle comunità di accoglienza, come i rischi per la sicurezza alimentare e idrica, l’accesso alle risorse necessarie e i conflitti a livello locale e intercomunale”.
Grande attenzione viene quindi posta in primo luogo proprio alla mitigazione dei rischi. Ad esempio per quanto riguarda le popolazione che vivono nelle aree costiere del mondo, dove si prevede che l’innalzamento del livello del mare provocherà lo spostamento di un numero elevatissimo di persone. “Migliorare la capacità di una nazione di prevedere l’innalzamento del livello del mare a livello locale – si specifica nel documento – è un meccanismo per affrontare le migrazioni climatiche potenzialmente su larga scala prima che si verifichino e può influenzare la politica climatica di una nazione in generale”. L’altro intervento di mitigazione evidenziato nel rapporto riguarda l’affrontare i fattori di stress climatico e gli impatti di secondo ordine che ne derivano e che influenzano le popolazioni a spostarsi, così da poter da una parte prevenire gli spostamenti e dall’altra sostenere la ricollocazione quando necessaria.
Altro fattore messo in risalto nel rapporto è quello che riguarderebbe le nuove vulnerabilità che il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio potrebbe creare. “Identificare questi modelli e affrontare in modo proattivo queste vulnerabilità potrebbe ridurre la probabilità di esiti negativi dell’adattamento, aumentare la stabilità economica, ridurre le tensioni intergruppi, diminuire l’emarginazione politica e rafforzare la resilienza in aree geografiche soggette a conflitti o al reclutamento di estremisti violenti, nonché sostenere i governi partner nella loro transizione” scrive il Consigliere per la Sicurezza della Nazione.
Il documento, immancabilmente, si concentra anche su alcuni aspetti che il rapporto tra cambiamenti climatici e migrazioni possono avere a livello geopolitico, contribuendo ad aumentare le tensioni, i conflitti e l’instabilità politica. In particolare, su quest’ultimo fronte, nel rapporto si evidenzia come i grandi flussi migratori già siano spesso considerati una minaccia per la stabilità interna e internazionale e per la coesione sociale. Laddove il quadro politico non è adeguato a gestire questi flussi si possono esacerbare le disuguaglianze di risorse, mettere a dura prova i bilanci pubblici e si può contribuire alla xenofobia che aumenta le tensioni politiche. “Gli attori politici contrari all’immigrazione – si legge – possono sfruttare le sfide reali e percepite di flussi migratori incontrollati o di grandi dimensioni per migliorare la propria posizione politica, infiammando le tensioni esistenti e minando gli sforzi per rispondere in modo appropriato alle crisi migratorie o dei rifugiati, come quelle causate dalla guerra civile siriana o dalle condizioni meteorologiche estreme e dalla violenza in America centrale”.
L’altro grande tema riguarda il ruolo che i Paesi a più alto reddito possono avere e che può indirettamente colpire quelli a medio reddito. Infatti, con la lotta dei primi per gestire i flussi migratori attraverso politiche sempre più restrittive, i Paesi a medio reddito con minori risorse possono diventare destinazioni alternative relativamente più attraenti. Ciò ha implicazioni per l’instabilità politica in un insieme più ampio di Paesi che, proprio per la loro struttura economica, potrebbero già faticare a fornire servizi ai propri cittadini.
L’altro tema trattato è il rapporto con gli Stati avversari. Si sottolinea, infatti, soprattutto come Cina e Russia potrebbero utilizzare l’aumento di queste migrazioni per provocare una maggiore instabilità tra gli alleati/partner degli Stati Uniti. “In assenza di una solida strategia da parte degli Stati Uniti e dell’Europa per affrontare la migrazione legata al clima, la Repubblica Popolare Cinese (RPC), la Russia e altri Stati potrebbero cercare di guadagnare influenza fornendo un sostegno diretto ai Paesi colpiti, alle prese con disordini politici legati alla migrazione” scrive il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa. “L’assistenza alla sicurezza fornita da questi attori può aumentare i rischi di conflitto, aggravando le violazioni dei diritti umani e promuovendo tendenze autoritarie, ad esempio fornendo consulenti e mercenari irresponsabili o tecnologie di sorveglianza invasive”. “La Russia, in particolare – si legge ancora nel rapporto -, potrebbe vedere anche alcuni vantaggi negli effetti destabilizzanti della migrazione su larga scala verso l’UE, in particolare per quanto riguarda l’aumento della xenofobia e dei partiti politici scettici nei confronti del progetto europeo e dell’ordine liberale in generale”.
Dal punto di vista delle soluzioni proposte c’è quello dell’uso dell’assistenza estera degli Stati Uniti, un’infrastruttura che riunisce una potente combinazione di strumenti, tra cui “i finanziamenti per lo sviluppo e l’assistenza umanitaria, il potere di convocazione, l’esperienza tecnica, la creazione di capacità e i partenariati per affrontare molti elementi delle complesse questioni del cambiamento climatico e della migrazione”. Tuttavia, come si legge nel rapporto, gli attuali livelli di finanziamento, la struttura e il coordinamento dell’assistenza estera degli Stati Uniti sono inadeguati per affrontare la sfida della migrazione e dello sfollamento legati al clima.
Altro aspetto reputato inadeguato è quello relativo agli strumenti legali esistenti che non si prestano facilmente a proteggere gli individui sfollati a causa degli impatti dei cambiamenti climatici. Da questo punto di vista il rapporto sottolinea come sarà fondamentale ampliare l’accesso alla protezione, rafforzando l’applicazione dei quadri di protezione esistenti, adeguando i meccanismi di protezione statunitensi per accogliere meglio le persone che fuggono dagli impatti dei cambiamenti climatici e valutare la necessità di ulteriori tutele legali per coloro che non hanno alternative alla migrazione.
Il rapporto affronta anche altre importanti tematiche, come il ruolo delle Nazioni Unite, dei governi e dei vari stakeholders attivi, comprese le Organizzazioni Non Governative, per chiudersi con una serie di raccomandazioni.
La prima delle quali è quella di istituire un processo politico permanente inter-agenzie su cambiamenti climatici e migrazioni per coordinare gli sforzi del governo degli Stati Uniti per mitigare e rispondere alla migrazione derivante dagli impatti dei cambiamenti climatici. Un processo politico che riunisca i rappresentanti degli elementi scientifici, dello sviluppo, umanitari, della democrazia e dei diritti umani, della pace e della sicurezza del governo degli Stati Uniti. Questo dovrebbe occuparsi del coordinamento della politica, della strategia e del bilancio degli Stati Uniti che riguardano le popolazioni vulnerabili ai cambiamenti climatici e alla migrazione e l’assistenza estera per gli impatti dei cambiamenti climatici sulla migrazione, di esaminare le lacune e portare avanti il lavoro sulle raccomandazioni del rapporto.
Altre raccomandazioni riguardano la programmazione e gli investimenti e invitano il Governo a valutare come gli Stati Uniti possano contribuire a soluzioni durature per gli sfollati legati al clima, includendo sistematicamente gli sfollati interni e i rifugiati a rischio nella programmazione di sviluppo delle agenzie governative statunitensi, nonché a rivedere le posizioni del governo statunitense presso le istituzioni finanziarie internazionali e le banche multilaterali di sviluppo; valutare l’aumento degli investimenti nelle misure di resilienza e negli sforzi locali di adattamento al clima, utilizzando i principi dello sviluppo equo e giusto a livello locale e assicurando che i gruppi, le persone e le comunità emarginate siano intenzionalmente e solidamente inclusi fin dall’inizio delle attività; considerare la possibilità di aumentare il sostegno alle aree urbane per aiutare le località a pianificare, accogliere e integrare i migranti e gli sfollati.
Sotto l’aspetto legislativo quello che invece il rapporto consiglia è di valutare le opportunità di finanziamento per lo sviluppo e la programmazione umanitaria per fornire aiuto alle persone sfollate, aiutarle a riprendersi rapidamente per tornare alle loro case in modo sicuro, sostenere le azioni di riduzione del rischio climatico, affrontare le cause profonde della migrazione, sostenere l’adattamento al clima, costruire capacità a livello locale, nazionale e regionale e sfruttare il potenziale impatto positivo della migrazione sullo sviluppo. In particolare, aumentare gli investimenti in protezione sociale, anche attraverso modelli di inclusione economica rivolti a donne, giovani e gruppi in situazioni di vulnerabilità, mobilità del lavoro e reti di sicurezza mobili e reattive agli shock; esaminare con il Congresso e le parti interessate la necessità di ulteriori tutele per le persone che possono dimostrare di essere in fuga da minacce gravi e credibili alla loro vita o integrità fisica a causa dei cambiamenti climatici; valutare se le riforme dello statuto Temporary Protected Status (TPS) possano offrire una protezione adeguata alle esigenze di sfollamento legate al clima, intervenendo viceversa per rendere più facile accedere alla protezione.
In linea generale, dunque, il rapporto segna un rinnovato interesse per questo tema su cui, solo fino a pochi anni fa, c’era invece grande disattenzione. Prende atto del ruolo sempre più influente dei cambiamenti climatici sulle migrazioni, consigliando di trattare questi due temi nella loro più complessa interazione, anziché affrontarli come questioni separate.
Offre sicuramente uno slancio anche per altri Paesi e per gli organismi internazionali affinché sul tema ci sia un’elaborazione sempre più approfondita e si trovino strumenti utili per rendere le migrazioni sicure.
Tuttavia, è utile ricordarlo, gli interventi di mitigazione, non possono riguardare solamente il tema delle migrazioni. C’è grande bisogno, infatti, di un approccio olistico e integrato su tutti i fronti affinché gli stessi effetti dei cambiamenti climatici possano essere mitigati – attraverso un cambio di politiche economiche e produttive – affinché anche i rischi per le persone siano contenuti a monte, senza aspettare che gli eventi precipitino a valle.
In copertina: effetti dell’uragano Katrina. Foto via Flickr.