L’11 ottobre 2013, a 61 miglia dalle coste dell’isola di Lampedusa, si consuma uno dei naufragi più drammatici che la storia recente del nostro paese ricordi.
La notte precedente un barcone partito da Zuwara, in Libia, carico all’inverosimile di profughi siriani sfuggiti alla guerra civile, è stato attaccato a colpi di arma da fuoco da una delle tante milizie libiche presenti in quelle acque. Si aprono delle falle e inizia a imbarcare acqua. Le persone a bordo chiamano i soccorsi, lo fanno con crescente disperazione e fino all’ultimo sperano che qualcuno arrivi a salvarle. Ma, nonostante gli aiuti siano stati chiesti in tempo e nonostante la presenza di una nave italiana non lontana dal luogo in cui si trovano, il disastro avviene: il barcone si rovescia e affonda, portando con sé sul fondo 268 persone. Tra loro ci sono anche 60 bambini.
Naufragio dei bambini lo chiameranno stampa e televisioni. Una tragedia che poteva essere evitata, diranno le vittime. Sul dramma pesa il ruolo svolto – o meglio non svolto – dall’Italia. A distanza di sei anni la vicenda approda finalmente in un’aula giudiziaria, grazie alla caparbietà dei sopravvissuti e dei loro avvocati. È grazie a loro se il prossimo 3 dicembre un processo appurerà le eventuali responsabilità di due ufficiali di Guardia costiera e Marina italiana accusati di rifiuto di atti di ufficio e omicidio colposo.
Ci siamo fatti raccontare cosa bisogna aspettarsi da Arturo Salerni, uno degli avvocati delle vittime che il Giudice dell’udienza preliminare ha ammesso quali parti civili al processo lo scorso 9 luglio.
Un naufragio in diretta
Per usare le parole di Lorenzo Bagnoli – che per noi aveva seguito il processo presso il Giudice per le indagini preliminari, finito con il respingimento della domanda di archiviazione – quella che si è consumata l’11 ottobre 2013 è stata una “strage per burocrazia”.
Alle 12.26 dell’11 ottobre Mohammed Jammo – medico siriano a bordo del peschereccio che sta affondando – chiama per la prima volta il Maritime rescue coordination center italiano (Imrcc), il centro di coordinamento delle operazioni di salvataggio con sede presso la Capitaneria di Porto a Roma: “Stiamo imbarcando acqua, siamo in pericolo, aiutateci”. Continuerà a farlo per le 5 ore successive senza ricevere altra risposta se non quella di contattare Malta.
Nel frattempo anche Malta ha iniziato a sollecitare l’intervento delle autorità italiane, e non a caso. Il pattugliatore della Marina italiana Libra è infatti a circa un’ora e mezzo di navigazione dal peschereccio, ma non riceverà ordini di avvicinamento per quasi 5 ore, arrivando vicino al peschereccio a tragedia consumata.
Di quelle telefonate esiste la registrazione completa che si può ascoltare grazie al lavoro di inchiesta giornalistica di Fabrizio Gatti, “Un unico destino”, che è anche agli atti del processo.
La lunga strada verso il processo
Come racconta l’Avv. Salerni anche il percorso che ha portato al processo, che partirà il 3 dicembre prossimo, è stato tortuoso.
Il primo passo in questa direzione risale all’ordinanza del Novembre 2017 quando il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Giovanni Giorgianni, dispone di non dare seguito alla richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica. Chiede anzi alla Procura di formulare una nuova accusa (con l’istituto dell’imputazione coatta) nei confronti di Luca Licciardi, comandante della centrale operativa della squadra navale della Marina, e del responsabile della sala operativa della Guardia Costiera, Leopoldo Manna. Li chiede anche per la comandante del pattugliatore della Marina Militare, Catia Pellegrino.
Già in quell’ordinanza il Gip, descrivendo uno sconcertante quadro fatto di rimpalli continui di responsabilità dichiarava: “È evidente come un ordine immediato di procedere alla massima velocità in direzione del barcone di migranti (come quello che ha fatto immediato seguito alla notizia del capovolgimento dello stesso) emessa subito dopo il fax delle 16.22 avrebbe permesso a Libra di giungere sul punto in cui si trovava il barcone anche prima del ribaltamento o, in ogni caso, in un momento che avrebbe consentito di contenere quanto più possibile le devastanti conseguenze”.
A seguito della mancata archiviazione è seguita l’udienza preliminare. Qui, se possibile, per le vittime e i loro difensori arriva la parte più dura.
Come ricorda Salerni – difensore nel processo tra gli altri di Yousef Wahid, che nel naufragio ha perso quattro figlie – i sopravvissuti al naufragio, per costituirsi parte civile nel processo, hanno dovuto dimostrare di essere parenti delle vittime i cui corpi, in molti casi, non sono stati recuperati. E di essersi trovati con loro sulle navi.
Come ricordavamo prima, il 9 Luglio scorso, la giudice Nicotra ha ammesso la costituzione dei parenti delle vittime come parti civili, ed è grazie a questa ammissione che si arriva al risultato più importante: il 16 settembre il Gup Nicotra ha rinviato a giudizio il capitano di fregata Licciardi e il capitano di vascello Manna. Il sostituto procuratore Sergio Colaiocco contesta loro i reati di rifiuto d’atti d’ufficio e omicidio colposo.
La Procura di Roma ha chiesto invece l’archiviazione dell’inchiesta su Catia Pellegrino “perché non sarebbe stata informata dai suoi superiori delle reali condizioni di pericolo”, richiesta contro cui l’avvocato Salerni, insieme agli altri legali, ha presentato opposizione (la Gip ha poi negato l’archiviazione per la seconda volta e ha richiesto altri sei mesi di indagine).
L’importanza del processo
A distanza di più di sei anni dal naufragio, dunque, i fatti di quel l’11 ottobre del 2013 passeranno al giudizio di un Tribunale. Non un fatto da poco, perché sono pochissimi i casi in cui si è potuto procedere a un accertamento giudiziario delle responsabilità delle autorità in un naufragio con così tante vittime.
Un passaggio fondamentale, sottolinea Arturo Salerni. “Innanzi tutto perché ci darà la possibilità di fissare in maniera inequivocabile le responsabilità che portarono alla strage consumata quel giorno”. Responsabilità che non riguarderebbero solo i due indagati ma che chiamano in causa anche i Ministeri da cui dipendono i due ufficiali facenti funzione, quello delle Infrastrutture e quello dell’Interno.
E aggiunge: “Oltre a chiamare in causa i Ministeri per la loro responsabilità civile, ci auguriamo poi che nello stesso processo possano emergere elementi relativi alla responsabilità del comandante della nave Libra, che per ora è archiviata”.
Ma, conclude l’Avv. Salerni, al di là dell’accertamento delle responsabilità e delle strategie processuali, il primo obiettivo resta quello di ridare dignità e centralità alle vittime. Proprio per questo gli avvocati stanno lavorando affinché possano essere ammesse ancora più parti civili: “E’ giusto portarli davanti al collegio, davanti ai giudici, così da permettere che siano loro a raccontare, con le loro parole, cosa succede quando per 5 ore si viene lasciati soli in mezzo al mare in attesa di morire”.
Immagine di copertina: frame tratto dal lavoro giornalistico di Fabrizio Gatti “Un unico destino”