Tra il 1° gennaio e il 31 maggio 2018, secondo i dati del Ministero degli interni, sono sbarcati in Italia 13.430 migranti e rifugiati. Questo rappresenta un calo del 77,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017, quando erano sbarcate in Italia 60.228 persone.
Di coloro che sono arrivati appunto nei primi cinque mesi dell’anno, secondo la stessa fonte sono 9.214, ovvero il 68,6 per cento, quelli partiti dalla Libia: un calo del 84,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017, quando 58.258 migranti e rifugiati erano sbarcati dalla Libia, ovvero il 96,7 per cento del totale.
Il calo si inscrive nel quadro del Memorandum d’intesa tra Italia e Libia, voluto dall’ex ministro dell’interno Marco Minniti e firmato a febbraio 2017 dal premier italiano Paolo Gentiloni e dal capo del Governo di accordo nazionale di Tripoli, Fayez al-Serraj, per frenare il flusso di migranti irregolari attraverso la Libia verso l’Italia.
Da allora, in ottemperanza degli accordi, l’Italia ha rafforzato la capacità tecnica, tecnologica e materiale dei guardacoste libici di intercettare e soccorrere migranti e rifugiati in partenza dalla Libia e riportarli a riva, dove rischiano di subire gravi e ben documentate violazioni dei diritti umani, compresi abusi e torture, nei centri di detenzione libici.
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) in Libia ci ha detto che tra il 1° gennaio e il 31 maggio 2018 6.835 migranti e rifugiati sono stati soccorsi o intercettati in mare e riportati sulle coste libiche. I dati si basano su aggiornamenti forniti dalla Guardia costiera libica, le forze di sicurezza libiche, la Mezzaluna Rossa e altre organizzazioni locali e, a partire dal 2018, sono riportati nel cruscotto Maritime Update Libyan Coast pubblicato con cadenza mensile sul Displacement Tracking Matrix di OIM.
OIM Libia ci ha anche detto che il dato aggiornato al 13 giugno 2018 era di 7.114 migranti e rifugiati soccorsi o intercettati e riportati in Libia.
In termini assoluti, queste cifre sono inferiori rispetto al 2017, quando nei primi cinque mesi 7.361 persone erano state riportate sulle coste libiche. Il totale a fine anno era di 18.900 respingimenti. Questi numeri divergono leggermente da quelli incompleti pubblicati sul DTM per lo scorso anno, e ci sono stati forniti anche essi da OIM Libia.
Tuttavia, se li consideriamo come percentuale delle partenze dalla Libia – ovvero come percentuale del totale degli arrivi in Italia provenienti dalla Libia più i migranti riportati sulle coste libiche, al netto dei morti e dispersi in mare – il quadro cambia radicalmente.
Al 31 maggio 2018, il 42,6 per cento dei migranti e rifugiati che sono partiti dalla Libia e sono sopravvissuti al viaggio in mare sono finiti al punto di partenza. Si tratta di un aumento notevole rispetto allo stesso periodo del 2017, quanto la quota era dell’11,2 per cento.
Poi ci sono i migranti e rifugiati che hanno perso la vita in mare, anche nell’ambito delle attività della Guardia costiera libica.
In termini assoluti, il numero di migranti morti o dispersi sulla cosiddetta rotta del Mediterraneo centrale sta diminuendo. Al 31 maggio, 388 persone risultavano morte o disperse dall’inizio dell’anno, un calo del 76,4 per cento rispetto ai 1.642 morti e dispersi registrati nei primi cinque mesi del 2017 secondo le stime del Missing Migrants Project dell’OIM, che si basa su dati propri e su dati delle autorità nazionali e dei media. Il calo è in linea con la riduzione degli arrivi in Italia.
Anche il tasso di mortalità è calato lievemente nello stesso periodo, passando dal 2,43 per cento nei prime cinque mesi del 2017 all’1.91 per cento quest’anno. Questi dati tengono conto sia degli arrivi in Italia, sia dei respingimenti in Libia.
Tuttavia, i dati per il primo semestre potrebbero raccontare una storia diversa, perché nel mese di giugno si sono verificati in mare numerosi incidenti mortali.
OIM Libia ci ha detto che nel 2017 sono stati registrati lungo le coste libiche 334 morti, mentre altri 1.267 migranti risultavano dispersi, cioè il 56,1 per cento del totale dei 2.853 morti e dispersi registrati nel Mediterraneo centrale lo scorso anno. Inoltre, Christine Petré di OIM Libia sottolinea che “il numero vero è probabilmente molto più alto”.
All’inizio di maggio, Global Legal Action Network (Glan) e l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione (Asgi), con il sostegno di ARCI e della Lowenstein International Human Rights Clinic della facoltà di legge di Yale, hanno presentato un ricorso contro l’Italia alla Corte europea per i diritti umani (Cedu) di Strasburgo. Il ricorso riguarda lo “scontro” avvenuto il 6 novembre 2017 fra la nave umanitaria operata dalla Ong tedesca Sea Watch e una motovedetta della Guardia Costiera libica durante un’operazione di soccorso coordinata dal Centro di Coordinamento Marittimo (Mrcc) della Guardia costiera di Roma, durante il quale sarebbero morte fino a 34 persone, tra cui due bambini.
Delle circa 140 persone a bordo del gommone in difficoltà, 59 sono state soccorse da Sea Watch e portate in Italia e 47 sono state riportate dalla Guardia costiera in Libia. Lì, alcuni hanno subito gravi violazioni dei diritti umani, compresi la detenzione, le percosse, lo stupro e la tortura al fine di ottenere un riscatto dai loro parenti.
Nel ricorso – presentato per conto di 17 sopravvissuti, di cui due respinti in Libia e 15 sbarcati in Italia – l’Italia viene accusata di aver violato l’Art. 2 (diritto alla vita) e l’Art. 3 (diritto a non subire torture o trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (ECHR) ed art. 4 del quarto Protocollo (divieto di respingimenti collettivi), in base anche a prove fornite da una scrupolosa ricostruzione realizzata da Forensic Oceanography, che fa parte dell’agenzia Forensic Architecture con sede all’università Goldsmith di Londra.
Non si tratta del primo ricorso contro l’Italia per intercettazioni e respingimenti in mare: nel 2012, nel cosiddetto caso Hirsi, il paese fu condannato per aver violato l’Art. 3 EHCR e l’Art. 4 Protocollo 4 nell’ambito di un intervento effettuato in mare il 6 maggio 2009, quando circa 200 persone a bordo di tre gommoni vennero intercettate dalla Polizia e dalla Guardia costiera italiane in zona SAR maltese, trasferite su navi militari italiani e consegnate alle autorità libiche nel porto di Tripoli.
Qui la differenza sta nel fatto che l’Italia avrebbe agito indirettamente attraverso la Guardia Costiera libica, effettuando il respingimento per procura e in violazione del principio di non -respingimento, secondo il quale un rifugiato non può essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate.
Nel suo rapporto Mare Clausum, Forensic Oceanography sottolinea come l’incidente del 6 novembre sia “paradigmatico delle nuove drastiche misure adottate dall’Italia e dall’Unione europea per arginare a ogni costo il fenomeno migratorio in tutto il bacino del Mediterraneo”.
“Questa politica di contenimento a più livelli opera secondo una duplice strategia che mira, in primo luogo, a delegittimare, criminalizzare e allontanare le ONG dedite a ricerca e soccorso dal Mediterraneo centrale; e, allo stesso tempo, a garantire sostegno materiale, tecnico e politico alla Guardia costiera libica, così da consentirle di intercettare e riportare i migranti in Libia in maniera più efficace”, continua il documento.
A giudicare dai dati sui respingimenti in Libia sembra che la strategia stia funzionando. E non è un caso se, poco dopo essersi insediato al Viminale, il neoministro degli interni, Matteo Salvini, abbia lodato il “discreto lavoro” fatto dal suo predecessore Minniti e dichiarato che “non smonteremo nulla di ciò che di positivo è stato realizzato”.
“Lavorerò per rendere ancora più efficaci le politiche di controllo, di allontanamento, di espulsione,” ha aggiunto il vicepremier e leader del partito xenofobo ed euroscettico Lega.
Il governo sta “lavorando” per fornire ulteriori motovedette alla Guardia Costiera libica, secondo il ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Danilo Toninelli, e Salvini è andato in visita ufficiale a Tripoli, anche se per ora senza ottenere risultati dai suoi colloqui con il governo Serraj.
In copertina: un’unità della Guardia Costiera libica fotografata dalla nave Golfo Azzurro della Ong ProActiva Open Arms il 15 agosto 2017