Bazou Ider è in piedi all’ingresso di casa, lungo una delle ampie strade in terra battuta di Agadez, in direzione del quartiere Toudou. Una tenda di stuoia ci protegge dal sole ancora rovente di fine settembre. I nipoti corrono nel cortile, mentre le donne della famiglia battono i semi di miglio per la boule, sedute attorno a un tavolo basso, fatto di rami intrecciati. Ider, un uomo di 55 anni dallo sguardo fiero, conosce da vicino le dinamiche della migrazione nella regione di Agadez. E conosce il Sahara, “come le cinque dita della mia mano”, sottolinea mostrando l’ampio palmo.
La sua vita e quella della moglie Amsaddou, una donna minuta e decisa, sono cambiate radicalmente dall’autunno del 2016, quando il governo del Niger ha deciso che il passaggio di migranti da Agadez verso Libia e Algeria doveva cessare. “All’improvviso, applicando una legge di cui non avevo mai sentito parlare” – dice, ancora incredulo – e iniziando ad arrestare chi, come lui, favoriva questo passaggio.
“Da anni trasportavo passeggeri verso Dirkou o Assamaka”, continua entrando nel salotto, “e conosco ogni granello di sabbia delle piste”. Come centinaia, forse migliaia di altri connazionali, Ider ha scelto di smettere. “Non perché temessi i controlli”, specifica, “ma per rispettare le decisioni delle autorità”, ovvero la legge 36 ‘sul traffico illecito di migranti’ – un testo adottato nel maggio del 2015 ma applicato in pochissimi casi, almeno fino al settembre dell’anno successivo.
Per la famiglia, dice, “è stato un disastro totale”. Venticinque persone, tra figli, nuore e nipoti, vivevano grazie alla sua attività. “Ora facciamo fatica a pagare le tasse scolastiche per i bambini e dobbiamo andare sempre al risparmio sul cibo”. Come molti colleghi, l’ex-autista sperava anche di ottenere una compensazione, un contributo pubblico che potesse sostituire, almeno in parte, gli introiti del trasporto dei migranti. Ma così non è stato.
Ricominciare con tre mucche
L’unica in famiglia a ottenere un aiuto è stata invece la moglie Amsaddou, selezionata insieme ad altre 29 donne per il “Progetto di appoggio alle mogli e madri degli operatori della migrazione irregolare nel comune di Agadez”, gestito dall’Association des Femmes Nigeriennes contre la Guerre, una Ong locale. Un’iniziativa minore, all’interno del maxi-programma Paiera – Piano d’Azione a Impatto Economico Rapido, finanziato dal fondo fiduciario per l’Africa dell’Unione Europea con 8 milioni di euro e rivolto alla riconversione dell’economia migratoria nell’enorme regione di Agadez.
“Con i fondi del progetto”, racconta Amsaddou Ider, “ho acquistato tre mucche, che lascio pascolare fuori città”. Per la prima volta in vita sua sta guadagnando qualcosa, e non intende fermarsi. “All’inizio ero preoccupata, mi chiedevo come avremmo vissuto”, confessa corrucciando la fronte, “ma questo progetto mi ha dato fiducia”. Con i ricavi della vendita del latte spera infatti di “comprare alcuni montoni e poi un congelatore, arrivando ad aprire un chiosco di bibite fresche”.
Nulla a che vedere con i profitti del marito, che per un solo viaggio verso Libia o Algeria, di cinque o sei giorni in totale, guadagnava “tra i 150 e i 200 mila franchi CFA”, la moneta della maggior parte delle ex colonie francesi africane, cioè fra i 228 e i 300 euro, l’equivalente dello stipendio mensile di un agente di polizia. Questo guadagno è comunque un segnale positivo, di cambiamento, per lei e la famiglia.
“Forse adesso mi lascerà”, scherza Bazou. La sua battuta provoca la reazione immediata della moglie – “no, non lo farò” – ma va a toccare quello che per molti autisti e cokseurs, gli intermediari del grande mercato della migrazione agadeziana, è un nervo scoperto: la perdita di ruolo nella comunità e nelle famiglie.
Come oltre 6 mila “attori della migrazione” di tutta la regione – venditori di bidoni d’acqua, gestori dei ghetti, procacciatori di clienti, ristoratori e appunto autisti – Ider ha depositato un dossier per accedere ai fondi del progetto Paiera. Un milione e 500 mila franchi CFA a testa, l’equivalente di pochi viaggi verso la Libia, per avviare una nuova attività economica. “All’inizio i proprietari di veicoli non erano ammessi”, spiega scrollando le spalle, “perché l’Unione Europea ci considera criminali… Ma i criminali sono quei pochi che hanno otto, dieci pickup o più, fanno traffico di droga e altro, non certo noi; guarda la mia casa, ti sembriamo ricchi?”, dice indicando lo stretto cortile, chiuso da un muro di paglia e argilla.
Un pezzo di storia del Niger contemporaneo
La biografia di Ider ha diversi punti in comune con quella di altri passeurs della regione di Agadez, e aiuta a capire l’impatto, e i rischi, del tentativo di chiudere la rotta dall’Africa occidentale alla Libia che passa attraverso il Niger. Di etnia tuareg, come la maggioranza della popolazione di Agadez, a meno di 30 anni combatte nella prima ribellione del nord del paese. Una guerra civile a bassa intensità, che dura cinque anni e mobilita tutte le comunità di questa porzione di deserto, grande quanto la Francia, e in particolare tuareg e tebu, un’antica popolazione nomade che vive fra Niger, Ciad e Libia.
Deposte le armi, Ider sceglie di essere integrato nella Guardia Nazionale, come previsto dagli accordi di pace. A ricordarlo, sul muro spoglio del salotto, spazio principale della piccola abitazione in terra battuta, rimangono due attestati. La formazione come tiratore scelto da parte di addestratori francesi, in Togo e Burkina Faso, e un riconoscimento per la partecipazione alla missione di pace delle Nazioni Unite in Costa d’Avorio, nel 2004. Ma il tiralleur Ider lascia l’esercito nel 2007, quando una seconda ribellione minaccia l’unità nazionale del Niger, spaccando le comunità di Agadez. A convincerlo è il fratello, che trasporta migranti verso l’oasi di Dirkou, sulle rotte per la Libia, e verso Assamaka, al confine algerino. Come molti ex-ribelli, appoggiati da un governo ansioso di tenerli lontani dalle armi, Ider diventa trasportatore.
“Ci sono due cose che sappiamo fare, noi gente della migrazione”, spiega, “e sono combattere e guidare nel Sahara: abbiamo lasciato la prima per la seconda; ora l’Europa ci ha chiesto di lasciare anche la migrazione, ma cosa ci offre in cambio?” Se per adesso, sostiene Ider, “non stiamo pensando di tornare alle armi, ma piuttosto di sanzionare con il voto i politici che agiscono su ordine dell’Unione Europea, il vero rischio sono i giovani, che non vedono prospettive”.
Paiera, il programma di riconversione avviato a inizio 2017, tarda a diventare operativo, ostaggio della burocrazia e delle difficoltà a identificare i veri attori del business migratorio. Anche quando lo sarà, riuscirà però a finanziare solo il 3 per cento delle richieste presentate, come annunciato da rappresentanti dell’Unione Europea a fine luglio. Mentre riunioni e conferenze si susseguono fra Agadez e la capitale Niamey, le partenze da Agadez proseguono, in un estenuante gioco a nascondino fra autisti e forze di sicurezza. Sempre meno, ma sempre più nascoste, pericolose e remunerative.
In copertina: un gruppo di migranti di ritorno dalla Libia nel villaggio di Tourayat (fotografia di Giacomo Zandonini, come tutte le foto di questo articolo)