Si parla sempre più di immigrazione, ma in modo sempre più superficiale e politicizzato, senza analisi e senza le voci attive dei protagonisti. Questo in sintesi il quadro che emerge dal settimo rapporto redatto dall’associazione Carta di Roma con Osservatorio di Pavia e Demos&Pi, e presentato il 17 dicembre alla Camera dei deputati. Un lavoro che, analizzando carta stampata e telegiornali, restituisce la rappresentazione del fenomeno migratorio nel sistema informativo nazionale per l’anno che si sta chiudendo. Confermando alcune tendenze già emerse nei periodi precedenti, ma segnando anche dei cambi di rotta.
“Il paese dell’irreale”: una rappresentazione falsata
Si chiama “Notizie senza approdo” il settimo report, ad indicare già dal titolo una dinamica presente negli anni passati, ossia la costruzione di una rappresentazione mediatica dell’immigrazione non aderente alla realtà e ai dati. “La realtà è stabile, con una presenza straniera intorno all’8,7%, in linea con gli anni precedenti”, spiega Ilvo Diamanti durante la presentazione del lavoro. Ciononostante, l’esposizione mediatica è sempre alta, anzi nel 2019 addirittura in crescita: il tema è apparso sulle prime pagine dei quotidiani analizzati – Avvenire, La Stampa, Il Giornale, La Repubblica, il Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano – il 30% di volte in più rispetto al 2018, e nel primo semestre del 2019 i telegiornali presi in considerazione – le edizioni prime time di Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto e TgLa7 – hanno dedicato all’immigrazione il numero più alto di servizi degli ultimi quindici anni, pari a quanto registrato nel secondo semestre del 2017, in periodo pre-elettorale.
Quello che cambia nel 2019 è il dato sulla percezione: se fino a poco tempo fa la rappresentazione mediatica e il senso di insicurezza legato all’immigrazione andavano di pari passo, alimentandosi reciprocamente, ora si nota un’assenza di correlazione. Da questo punto di vista il 2019 risulta emblematico, con una grande e continua attenzione al tema, ma un calo di dieci punti dell’insicurezza percepita nei confronti degli ‘stranieri’. Perché? “Seguendo le logiche della comunicazione, gli immigrati sono diventati oggetto di spettacolo – spiega Diamanti. Questo tipo di rappresentazione è accettabile solo se considerato fiction. Siamo il paese dell’irreale. I media non informano, al contrario insistono sulle paure cercando la costruzione dello spettacolo: le notizie ansiogene alzano l’audience. Ma tutti gli spettacoli se ripetuti all’infinito annoiano: nel paese si registra un abbassamento del senso di paura, che viene dunque banalizzata, normalizzata”. Oggi i cittadini che guardano all’immigrazione con ansia sono il 33%: un dato importante, ma che va rapportato a quello di due anni fa, quando erano il 43%.
La politica come protagonista
Nel report trova conferma una tendenza già emersa nel 2018, ossia la centralità della politica nella scena dell’immigrazione: nei telegiornali, in oltre 1 servizio su 3 è presente la voce di esponenti politici e istituzionali. Il tema migratorio è declinato prevalentemente in chiave di confronto politico, privo di approfondimento e tematizzazione. “Se le parole diventano accessorio del dibattito politico si svuotano di significato. La politica lancia slogan e le redazioni si adeguano. E gli slogan sono fatti di parole: ‘invasione’ nel 2019 è stata scritta nei giornali 730 volte. Ma se i dati ci parlano di altro, il giornalismo deve, da una parte, riportare la realtà e, dall’altra, chiedere conto a chi questi slogan li grida”, sollecita il presidente di Carta di Roma, il giornalista Valerio Cataldi.
Il tema migratorio viene spesso utilizzato come campo di battaglia politica e i media focalizzano l’attenzione su dinamiche di scontro, a discapito di un serio approfondimento. Non a caso “la voce narrante relativa alla questione migratoria, in particolare in televisione, è stata quella dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. In certe reti quasi un terzo delle interviste sul tema delle migrazioni è costituita da interviste a Salvini. Nel Tg2, oltre un quarto. Nel Tg che presenta di meno la voce dell’ex ministro dell’interno, il Tg3, Salvini rappresenta comunque quasi un intervento su dieci”, il più delle volte senza contro-narrazione. Solo a giugno i media hanno indicato una voce opposta, quella della capitana di Sea Watch 3 Carola Rackete: ma piuttosto che inscrivere il dibattito all’interno di una dinamica di informazione e approfondimento, i media hanno costruito una narrazione duale, in cui Rackete è stata indicata come antagonista all’ex ministro in un’ottica di “rinforzo al frame emergenziale conflittuale”.
Di cosa parliamo quando parliamo di immigrazione?
Tanto sulla carta stampata quanto in televisione l’immigrazione occupa uno spazio importante: guardando alle prima pagine, su tutto il 2019 sono solo 29 i giorni senza copertura, mentre nei notiziari, su 304 giorni analizzati, solo 1 giorno non riporta notizie legate al tema. Questo però non si traduce in una rappresentazione articolata e completa: al contrario, si evidenzia l’aumento di visibilità di alcune dimensioni tematiche e la contrazione di altre. Il report segnala in particolare un incremento di notizie rispetto ai flussi, e a quella che nel dossier viene definita ‘società e cultura’, andando a indicare il tema della cittadinanza, il razzismo, l’inclusione sociale delle seconde generazioni. Mentre criminalità e sicurezza sono stabili rispetto alle rilevazioni degli ultimi due anni, ed economia, lavoro e terrorismo risultano marginali, è il dato relativo alla narrazione dell’accoglienza a subire una forte contrazione, arrivando a una copertura del 9% sui giornali, a fronte del 51% per quanto riguarda i flussi e del 23% per società e cultura.
Lo stesso trend si registra nei notiziari, dove nel 2019 si ritrovano i valori più alti del quinquennio per la categoria ‘flussi migratori’, con il 48% dei servizi connessi a eventi e dichiarazioni “relativi a partenze, arrivi, porti, navi”. Allo stesso tempo si osservano i valori più bassi degli ultimi 5 anni per la narrazione dell’accoglienza (8%).
In particolare la narrazione mediatica si concentra sulle operazioni delle navi delle ong, con uno sviluppo giornalistico calato nella cronaca: “nel corso del 2019 si assiste a una sorta di ‘serializzazione’ del soccorso in mare”, con aggiornamenti quotidiani funzionali alla spettacolarizzazione e strumentalizzati per diventare terreno di scontro politico.
Residuale la copertura relativa alla rotta balcanica, con solo 13 servizi nei notiziari. Quello che continua a rimanere assente è, come già osservato nel 2018, l’informazione sui contesti di partenza, l’approfondimento sulle ragioni e i luoghi che originano i flussi.
Strategie di disumanizzazione
“In linea generale migrante è la parola più usata. Non si usa più il termine immigrato, e si contrae l’utilizzo di rifugiato e profugo che, laddove emergono, non sono mai agenti, quanto piuttosto agiti. Anche dall’uso delle parole si evidenzia la scomparsa del tema dell’accoglienza: da migrante si diventa straniero”. Così la curatrice del dossier Paola Barretta evidenzia i risultati dell’analisi lessicale condotta quest’anno sui termini ‘migrante’, ‘rifugiato’ e ‘profugo’. Se tutte le parole seguono una curva dall’andamento crescente fino al 2018, nel 2019 si registra un forte calo nell’uso di tutti i termini ad esclusione di ‘migrante’. Ma l’analisi che emerge nel dossier è soprattutto qualitativa, e risponde a una specifica domanda: in che misura attraverso il loro ripetuto uso nella stampa italiana, le parole rifugiato e profugo perdono parte dei loro tratti semantici e in particolare il loro tratto umano? Stando al dossier, i due termini rimanderebbero in parte alle cause degli arrivi, attivando una complessità non funzionale al discorso mediatico: da qui la preferenza per il “termine-ombrello migrante [..] più neutro, [..] persona che si sposta senza che di questo spostamento vengano prese in considerazione le cause – come in profugo -, le conseguenze giuridiche – come in rifugiato – e neppure la direzione del movimento – immigrato”. Laddove utilizzati, ‘rifugiato’ e ‘profugo’ perdono le loro specificità giuridiche e suggeriscono “un basso livello di individuazione”: si parla dunque di rifugiati e profughi come categoria omogenea, nel loro insieme, oppure come problema. In quest’ottica “vengono spesso raffigurati come bambini” da aiutare, senza capacità di azione, oppure, laddove attivi, come “invasori”.
Il silenzio dei protagonisti
A fronte di una grande esposizione mediatica, le voci attive dell’immigrazione restano sullo sfondo. Il dato complessivo del 2019 vede la presenza in voce di migranti e rifugiati pari al 7% – la metà dell’anno precedente – con una netta prevalenza maschile: 86% uomini e 14% donne. Inoltre, laddove presenti, le interviste ai protagonisti sono inquadrate in cinque cornici principali: il frame della debolezza e della fragilità, che descrive le persone come inermi e bisognose di aiuto; l’alterità e minaccia, con un focus sull’assenza di legalità; la rivendicazione, che rappresenta la cornice più proattiva, con interviste a lavoratori che chiedono la tutela dei diritti; l’aspetto comunitario, con interviste a cittadini stranieri focalizzate su eventi che riguardano la loro comunità; infine il frame del razzismo, che dà spazio alle vittime. “Se facciamo il paragone con altri temi la differenza è lampante – afferma ancora Paola Barretta. Ad esempio, se si parla di economia troviamo esponenti politici ma anche rappresentanti di categoria. Invece con l’immigrazione i protagonisti restano sullo sfondo”.
È su questa assenza che, durante la presentazione, interviene Djarah Kan, rappresentante del blog Future: “Ho iniziato a scrivere osservando quanto la narrazione della realtà fosse falsata. Dobbiamo ristabilire il principio della verità come composizione di più voci”.
Immagine di copertina via Unhcr/Twitter