Il Parlamento Europeo che si riunirà oggi a Strasburgo per la prima sessione plenaria della nona legislatura è il più frammentato di sempre. Il numero di gruppi politici non è mai stato così elevato, i due grandi partiti che hanno dominato l’emiciclo, Popolari e Socialisti (PPE e S&D), sono ai loro minimi storici e la maggioranza che andrà a votare la nuova Commissione potrebbe essere completamente inedita, coinvolgendo liberali e verdi. Per contro, i sovranisti hanno accresciuto il numero dei loro deputati, ma rimangono divisi e all’opposizione.
In questo contesto, quale spazio avrà il tema immigrazione, ora che i numeri degli arrivi sono sensibilmente diminuiti? Come si discuterà di una questione cruciale per il futuro dell’UE che, però, potrebbe non essere più in cima all’agenda politica? Quali decisioni verranno prese, dopo quanto visto durante la cosiddetta crisi dei rifugiati? Rispondere non è facile. La situazione è fluida, ma mettere alcuni punti fermi è possibile. A porre il primo ci pensa Raphael Shilhav, EU migration policy advisor di Oxfam International.
Uno nuovo scenario
“Oggi, rispetto al 2015, ci sono molte più conoscenze e, soprattutto, meno senso di urgenza. Negli scorsi anni, le istituzioni europee sono state spinte a prendere decisioni: sentivano di dover mostrare all’opinione pubblica che agivano per rispondere a quella che era presentata come una crisi. Ora è diverso: è un’opportunità da cogliere per fare le scelte giuste”. Tra le sfide che il nuovo Parlamento dovrà affrontare la più immediata è il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, per l’approvazione del quale, in autunno, dovrebbero iniziare i negoziati con il Consiglio UE.
Il Quadro finanziario pluriennale, che in pratica è il budget UE, contiene al suo interno anche tutte le voci più rilevanti in materia di immigrazione: accoglienza, integrazione, rimpatri, gestione delle frontiere e collaborazione coi paesi terzi. Tra queste, secondo Shilhav, spicca la creazione di un Sistema di asilo comune europeo, che preveda un meccanismo di condivisione delle responsabilità e sia così capace di ridurre la sfiducia tra i governi UE. Il tema è strettamente legato alla riforma del Regolamento di Dublino, che è stata votata durante la passata legislatura, ma non è ancora stata approvata dagli stati membri in sede di Consiglio Europeo.
“Questo episodio, da un lato, ci ricorda che in materia di immigrazione la gran parte del potere è ancora in mano agli stati membri e non alle istituzioni europee. Dall’altro, però è un esempio positivo perché lo scorso Parlamento è riuscito a trovare un punto di equilibrio tra le istanze dei diversi gruppi politici”, prosegue Shilhav, augurandosi che questa convergenza diventi più frequente nei prossimi cinque anni.
Il ruolo dei sovranisti
Anche Evita Armouti, advocacy officer di Jesuit Refugee Service (JRS) Europe spera in una coalizione parlamentare che abbia “un approccio più basato sui diritti umani e più favorevole ai migranti”. Ad ostacolarla potrebbe essere il primo ministro ungherese Viktor Orbán, il cui partito Fidesz ha preso più del 52% alle ultime Europee conquistando 13 seggi. Pur essendo attualmente sospeso dal PPE per le sue posizioni illiberali, Armouti teme che Fidesz possa tornare in gioco e che le sue dure posizioni anti-migranti finiscano per influenzare l’intero Partito Popolare. Per contro, l’esperta di JRS Europe, sembra meno preoccupata dal neonato gruppo sovranista Identità e democrazia, guidato dalla Lega e dal Rassemblement National di Marine Le Pen. “L’estrema destra rimane frammentata e il gruppo di Salvini non è riuscito a diventare la terza forza del Parlamento”.
Solon Ardittis, direttore di EurAsylum, la vede diversamente. A suo parere, i 73 parlamentari di Identità e democrazia saranno in grado quanto meno di disturbare, se non di influenzare, il dibattito in materia di immigrazione. “Da un lato, ci sarà più spazio per la disinformazione che questi partiti propongono costantemente. Dall’altro, pur non essendo in grado di bloccare con i loro numeri i provvedimenti, spingeranno i partiti mainstream a essere più cauti e a fare proposte meno coraggiose”.
Il risultato, secondo Ardittis, sarà “una sorta di stagnazione: qualsiasi provvedimento in materia di immigrazione avrà una lunga gestazione”. Alcune indicazioni per per capire se si tratta di una previsione azzeccata, arriveranno già nei prossimi giorni, quando il nuovo Parlamento eleggerà i presidenti delle commissioni. Per il capitolo immigrazione, sono particolarmente importanti le commissioni DEVE e, soprattutto, LIBE.
Esternalizzazione e continuità
A prescindere da chi occuperà i ruoli chiave nell’emiciclo di Strasburgo e all’interno della nuova Commissione Europea, un dato sembra già certo. L’esternalizzazione delle frontiere, che l’Unione Europea ha messo in pratica negli ultimi anni e confermato con il Migration Partnership Framework del 2016, sembra destinata a continuare. “Per quanto sia legittimo mettere in dubbio la scelta Ue di affidare parte delle politiche di frontiera a paesi con livelli discutibili di rispetto dei diritti umani, non credo vedremo grandi cambiamenti in futuro. Si è raggiunto un sostanziale punto di equilibrio”, commenta Ardittis, che fa attualmente parte di un gruppo di esperti incaricato di valutare proprio queste politiche per conto della Commissione UE.
In un contesto come questo, secondo Shilhav di Oxfam International, diventa fondamentale quindi tracciare una netta divisione tra la dimensione interna ed esterna delle politiche europee. “Per esempio – spiega – abbiamo bisogno che l’UE intervenga in Niger per alleviare la povertà e creare vera inclusione. Non che promuova interventi pensati per fermare quei migranti che un giorno potrebbero arrivare qui. Lo stesso vale per la Libia, dove l’urgenza è l’aiuto umanitario”.
Il rapporto coi paesi terzi è un tema cruciale anche per Armouti di JRS Europe, per la quale l’esternalizzazione proseguirà, ma con modalità differenti. Per i paesi di origine e transito dei migranti la gestione dell’emigrazione diventerà sempre più una condizione necessaria per collaborare con l’Europa, anche in altri settori. “Accordi commerciali o in materia di visti verranno usati sempre di più come delle leve: se i paesi terzi non gestiscono adeguatamente l’emigrazione, ci saranno ripercussioni sui benefici e sugli incentivi che l’UE concede loro”.
Un approccio non nuovo ma sempre più esplicito, sancito a maggio da un documento del Consiglio Europeo e ribadito dall’Agenda 2019-2024 appena approvata, che sommerebbe gli accordi di questo tipo a quelli siglati negli scorsi anni, come la controversa intesa con la Turchia del 2016. Eppure, conclude preoccupata Armouti, “queste strategie portano senza dubbio a violazioni dei diritti umani. E, soprattutto, ponendosi come obiettivo di fatto l’allontanare i migranti dalle nostre frontiere, minano seriamente il diritto di ogni persona a lasciare qualsiasi paese, che è sancito dalle normative europee e internazionali”.
In copertina: Il Parlamento in seduta plenaria a Strasburgo (foto: European Union 2017 – Source : EP, come tutte quelle presenti nell’articolo)